5 Novembre 2007

Waterfront ossia come leggere un articolo sul porto (prima puntata)

Non so se avete mai visitato il porto di Amburgo. E’ un punto di riferimento per chiunque intenda parlare di porti e portualità. Vale da solo un viaggio. E in Europa non è nemmeno il primo porto, visto che la palma spetta a Rotterdam. Nel 2006 Amburgo ha movimentato 8.860.000 Teu (unità di misura dei containers) contro i 9.690.052 Teu di Rotterdam.

Immaginate che da Venezia a Fiume esista un unico fronte mare adibito a portualità ossia strutture portuali collegate tra loro con Trieste baricentro, affiancate da una rete ferroviaria efficiente che trasporta le merci in ogni direzione. Ecco. E’ forse un po’ riduttivo, ma almeno rende l’idea di cos’è un vero sistema portuale sul mercato.

Nel 2006, se questo fosse un sistema, da Venezia a Fiume (inclusi Porto Nogaro, Monfalcone, Trieste e Capodistria) sono stati movimentati poco più di 851 mila Teu. A voi il raffronto.. Aggiungo che nel 2006 Gioia Tauro ha movimentato quasi 3 milioni di Teu mentre Genova solo un milione e 600 mila. E, per la curiosità di tutti, fornisco anche i dati 2006 relativi ai ‘nostri’ porticcioli:

Venezia 316.641 Teu

Porto Nogaro n.p. (o almeno non ho trovato il dato in rete)

Monfalcone 645 Teu

Trieste 220.310 Teu

Luka Koper 218.970 Teu

Luka Rijeka 94.390 Teu

Il solo fatto che ogni ragionamento vada fatto in Teu spiega anche al profano che un porto non è navi, banchine, spazi, magazzini e attrezzature, ma merci che partono e arrivano a ritmo costante. Il resto è funzionale alle merci e sulle merci va strutturato.

Il meccanismo è semplicissimo: una fabbrica produce merce, qualcuno dall’altro capo del mondo la compra. E’ nell’interesse di entrambi che la roba arrivi il più velocemente possibile a destinazione dal momento che prima arriva, prima va sul mercato e prima va sul mercato prima la si vende e prima s’incassa. E’ nell’interesse di entrambi anche che il mezzo che trasporta la merce costi il meno possibile.
In linea di massima oggi gran parte delle merci sono prodotte nell’est asiatico, mentre l’Europa resta ed è un ottimo acquirente e rivenditore. Dal 1896 esiste il canale di Suez che permette alle merci dirette via mare in Europa di non dover circumnavigare l’Africa, ma entrare direttamente nel Mediterraneo (scusate se sono molto didattica, ma l’abitudine a parlare di porto con triestini mi costringe a tenermi sotto l’ovvio). Quindi il Mediterraneo è strategico per il rifornimento di tutto il nord e centro Europa. Dal Mediterraneo le merci arrivano ad Amburgo prima. E non a caso i tedeschi hanno ‘comperato’ Gioia Tauro.
Quando dico comperato significa che terminalisti a capitale tedesco hanno acquisito strutture in territorio italiano. Gioia Tauro, in controtendenza con la politica italiana in materia di questione meridionale, è fornita di collegamenti ferroviari abbastanza rapidi verso il Brennero. Idem Genova. Invito tutti a visitare l’intermodale di Verona e metterlo a confronto con la medesima struttura di Cervignano. Basta passarci davanti in treno una volta per capire.

Se poi vogliamo affrontare la questione da un punto di vista tutto italiano (alla base dell’importanza che avrebbe il Corridoio 5, se non si fosse accartocciato su se stesso) diciamo anche che la struttura ferroviaria incontra in Austria, a Innsbrueck, una strozzatura che rallenta il viaggio delle merci. A pensar male si potrebbe dire che non è interesse di Francia e Germania (con l’Anschluss economico dell’Austria) vedersi intralciare i traffici su un corridoio Atlantico/ Centro e nord Europa che funziona egregiamente da anni. Meglio un Suez- Mediterraneo- Gibilterra- Atlantico?
Ma torniamo alla merce. A terra c’è qualcuno che opera per movimentarla, dal momento che nessuna nave può permettersi il lusso di partire e rientrare vuota (da noi il problema non si pone perché gli unici armatori sopravvissuti si occupano di rimorchiatori). Se ha fortuna opera anche in distretti industriali.

Esistono inoltre normative europee che limitano il traffico su gomma, cosa impensabile per un paese come l’Italia dove anche le scarpe sono state sostituite dalle quattro ruote.
In questo contesto inseriamo il porto di Trieste. Se Venezia sopravvive grazie alla crocieristica e a Porto Marghera, Trieste esiste principalmente grazie ai traghetti turchi. Il traffico di Tir rende molto a chi li sbarca e li imbarca. Se si escludono gli addetti della dogana, qualche casa di spedizioni (entrambe figure che spariranno con l’ingresso della Turchia nella Ue) e un po’ di gente che apre e chiude i portelloni e dirige il traffico è però difficile immaginare un rilancio occupazionale ed economico del porto via traghetti.
Non c’è (a parte la Ferriera) attività industriale, lo sappiamo. Il sistema ferroviario è inesistente. Una strozzatura rallenta tutto a Ronchi, la ferrovia Pontebbana – rinata nuova già vecchia (ci sono problemi d’altezza nelle gallerie) – si arresta nel ‘collo di bottiglia’ di Villach e verso est non esistono collegamenti. Non restano che i Tir, contingentati dalle norme europee: ma i camion, per quanto veloci, a ovest si fermano sul passante di Mestre. Verso nord (direzione Austria-Germania) ci sono già quelli in quota che attraversano il Brennero con merce sbarcata a Genova, verso est quelli che partono da Koper, che ha provveduto in tempi ultrarapidi a ristrutturare sistema ferroviario e stradale.
Quando Ect (terminalista olandese che gestisce il porto di Rotterdam) acquisì con gara il Molo VII sicuramente non lo fece per beneficenza. Ect controlla anche reti ferroviarie e, se la città non le avesse messo i suoi ben noti bastoni tra le ruote, molto probabilmente avrebbe provveduto ad ovviare a questi scompensi. Il porto di Trieste, rispetto agli altri porti dell’Adriatico, ha fondali alti che possono ospitare tutti i tipi di navi. E’ la sua peculiarità e il suo reale valore.
Ma Ect se n’è andata (se volete saperne di più chiedete) e nessuno può sostituire il primo terminalista europeo con il primo nel mondo (Hong Kong che per inciso è compartecipe di Ect).
Da allora sul porto di Trieste si sono fatte innumerevoli chiacchiere, ma nei fatti non è successo nulla. E men che meno succederà se la città per prima non deciderà d’investire sul porto.

La Mula

Tag: , , , , , , , , , .

4 commenti a Waterfront ossia come leggere un articolo sul porto (prima puntata)

  1. Mr x ha detto:

    Bello l’ articolo. Evidenzia problemi che sono ben noti
    tra chi bazzica nell’ambiente del porto ma pressoche sconosciuti
    alla maggior parte dei Triestini. Non dimentichiamoci che la
    realta’ del porto di Trieste non è solo molo 7° ma , sopprattutto,
    terminal SIOT e sbarco ex petroliere ( i numeri che fanno LE statistiche sono ormai questi due )

    Poi ci è rimasto veramente poco altro ( carbone in Ferriera , poca merce varia tra Scalo Legnami e Adriaterminal ).
    Poi il deserto quasi.

    Purtroppo il tutto non è che dipenda poi troppo da Trieste ( e chi la governa ); chi puo anadare a Roma a “batter cassa” per potenziare le linee ferroviarie o infrastrutture ?
    Come evidenziato bisogna fare sistema tra tutti i porti menzionati, anzi bisognerebbe , anzi questo sistema ad oggi dovrebbe gia esistere…

    Ma come si fà a fare coincidere interessi cosi alti quando, nel nome del piu bieco campanilismo , solo nella ns regione esiste un porto per provincia ?

    Perche non si è pensato a questo prima di investire in porti ( P Nogaro in primis ) che servono a pure realta locali e che pero’ costano , a livello infrastrutture ed investimenti, poi a tutti noi cittadini del FVG senza fare MAI una politica a lungo termine ?

    Cosa pensate che Hamburg of Rotterdam siano nati in una notte ?

    Ho letto che i sindaci di Venezia e Trieste ( nonstante diverse
    appartenenze politiche ) hanno intenzione di trovarsi e fare un protocollo da presentare al Governo sulle problematiche comuni
    di queste due citta e porti come sistema Nord Est.
    Mi sembra una cosa intelligente ma se non ci sara’ coesione e intento comune in ambito regionale andremo a fare un altro buco nell’ acqua.

    ps

    Non dimentichiamoci che Koper prima di fare “sistema” con noi ci pensano non cento ma mille volte.

    Dopo ECT al terminal container abbiamo avuto il simpatico intermezzo di Luka Koper e devo ancora capire come sia stato possibile dare in gestione il terminal del molo 7 al piu vicino , aguerrito e diretto concorrente.

    Hanno investimenti veri sia tedeschi che austriaci, hanno rate piu economiche delle ns ( il costo della vita incide …),hanno un traffico di merce varia che si puo solo che invidiare e , dulcis in fondo , nessuno deve dimenticare che sono il PORTO della Slovenia e non , come Trieste , un porto italiano.

    Ogni volta che innaugurano una bitta nuova là ci va il ministro…

  2. djn ha detto:

    Anche visitando il porto di Amburgo è difficile farsi un idea di quanto sia esteso realmente.
    Una decina di anni fa sono sbarcato da una petroliera proprio nella città anseatica. Era notte fonda quando ho preso il taxi per l’aereoporto, quindi ho pensato bene di fare di prendere sonno dopo aver chiesto quanto sarebbe durato il tragitto (un ora, mi disse il tassista). Ad un certo punto mi sveglio e vedo che il taxi è fermo in fila davanti ad una struttura di tettoie illuminate del tutto simile al valico di Fernetti. Già arrivati? Troppo presto, mi dice l’orologio: appena mezz’ora dalla partenza. Poi capisco: è l’uscita dal porto! Di notte, colle strade libere e lo stile di guida ‘decisionista’ di un tassista del Nord Europa c’è voluta mezz’ora solo per andare dal molo alla barriera di uscita.
    Qualche ora dopo ero a Trieste, di nuovo su un taxi. Forse cinque minuti scarsi per veder sfilare alla mia destra sia il porto vecchio che quello nuovo, un altro minuto e mezzo e tanti saluti anche al terminal delle petroliere. Sarà che guidava alla triestina?

  3. stefi ha detto:

    Molto interessante.
    Possibile sapere le ragioni di fuga di ECT?
    Soliti problemi politici?
    siamo pur sempre in Italia (ahimé)…!

  4. La Mula ha detto:

    Per capire le ragioni della ‘fuga’ di Ect bisogna dare un quadro ‘storico’ dell’arrivo degli olandesi. E vi chiedo scusa, ma, essendo passati tanti anni e non avendo più le carte sottomano, vado a memoria. Pertanto sarò estremamente semplice e probabilmente anche imprecisa, ma sicuramente non politica. O almeno non come s’intende oggi la politica.

    La legge 84/94 che prevedeva la privatizzazione dei porti nazionali non piaceva molto, ma andava attuata, condizione necessaria posta dalla Ue. Tutti li cedettero a Sinport (Fiat), tranne Trieste che indisse una gara, vinta da Ect.

    Se Sinport avesse avuto anche Trieste avrebbe potuto vendere a PSA (l’Autority di Singapore) tutti i porti italiani. In realtà ha venduto a Psa tutti i porti italiani meno uno, il nostro. Suppongo non se ne rallegrasse.

    L’Ap di Trieste riuscì anche a ridurre di 100 unità circa il numero di lavoratori, mettendoli in carico a Ect ed ottemperando così ai dettami di legge in perfetta trasparenza e secondo le norme previste. In pratica l’Autorità portuale di Trieste aveva operato al meglio e per il meglio. A quel punto toccava al terminalista fare il suo.

    Subentrarono alcuni fattori:
    1) il mandato dell’Ap giuliana è giunto al termine. Il presidente Lacalamita non viene riconfermato e al suo posto viene eletto Maresca, in modo molto discusso (in primis mancava la terna di nomi previsti per legge).
    2) Il clima interno al porto non era infuocato, di più. Bisogna non dimenticare che negli anni precedenti c’era stato uno scontro durissimo tra Pacorini e la Compagnia portuale, che a suo tempo il segretario generale Marina Monassi (persona a cui va riconosciuta più che una certa grinta) era stato sfiduciato da Lacalamita, che molti operatori vedevano messi in pericolo benefit decennali. E che la classe dirigente triestina, pur non investendo nel porto, non aveva nessuna intenzione di cedere a chicchessia il giocattolo.
    3) La politica di portualità italiana non è incomprensibile, ma di più. E visto che oltre che santi e poeti siamo anche navigatori ciò è particolarmente strano

    Io non penso che Ect abbia levato le ancore per motivi politici, ma per normalissimi motivi economici. Tirate le somme del primo anno (con qualche miliardo di perdita) e vista la situazione (a cui aggiungiamo anche un ascensore fatto esplodere da non si sa ancora chi) ha deciso che non valeva la pena lavorare a e per Trieste, città, che a detta di un amministratore di Ect “si siede sul Molo Audace e guarda l’orizzonte, aspettando che prima o poi arrivi una nave”.

    Se io fossi un qualunque operatore portuale triestino che ‘voga contro’ non ci metterei nulla a mettere in perdita il terminalista: faccio arrivare le navi al venerdì sera e le faccio ripartire il lunedì mattina. Il terminalista paga i lavoratori a straordinario festivo e notturno. Non so se è andata così (bisognerebbe ricostruire i traffici delle merci). Sta di fatto che con la sola forza del pensiero – o meglio del non pensiero- Trieste ha allontanato una multinazionale.

    E non ha nemmeno registrato il brevetto per venderlo al Chapas….

    La Mula

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *