11 Aprile 2024

Massimiliano d’Asburgo, Carlotta e il gatto Max vanno in Brasile

el sunto Massimiliano, Carlotta e il gatto Max partono verso il Brasile, in questa anteprima del simpatico libro di Carolina Tomasella e Lorenza Fonda

Gatto MaxMassimiliano d’Asburgo, la moglie Carlotta e il gatto Max sono i protagonisti di questo piccolo estratto del libro di Carolina Tomasella e Lorenza Fonda “Gatto Max – Impicci e pasticci a Miramare“, dedicato alle avventure del famoso gatto mascotte del Castello per tanti anni.

MAX VA IN BRASILE

A Grignano era una bellissima giornata autunnale, di quelle col sole alto e l’aria ancora piacevolmente tiepida, il mare era calmo e piatto e il cielo azzurro era senza nuvole.
Max zompettava tranquillo lungo i pontili del porticciolo, mentre un poco di brezza muoveva i rametti più sottili degli alberi e faceva cadere le foglie ingiallite. Erano appena tornate in porto due barche di pescatori, la Emma e la Starlight. Un gruppetto di persone in religioso silenzio si era riunito nei pressi dei loro ormeggi per comprare qualche pesce appena pescato o un sacchettino di cozze luccicanti dai pescatori, che non avevano ancora finito di legare le barche alla banchina. Max si era avvicinato anche lui al gruppetto sperando in un paio di sardoni freschi, che sicuramente qualcuno gli avrebbe donato con piacere: era conosciuto a Grignano come il gatto del bianco Castello, che svettava sul promontorio proprio sopra il porticciolo e che si poteva vedere dal mare facendo solo un paio di bracciate verso il largo partendo dagli scogli del molo.
Gatto era là seduto a pochi passi dalla Emma quando la voce profonda del capitano ruppe il silenzio del momento: “Attento, per tutte le Nereidi! Prendila! Rincorrila! Sta rimbalzando verso le auto!”.
Tutti si voltarono verso una grossa boa rosa che rotolava velocemente e pericolosamente sul molo… Un pescatore aveva mancato la presa (o il capitano l’aveva lanciata troppo alta, mah!) e la boa era sfuggita rimbalzando all’impazzata. Max si era appena girato verso l’origine di quelle grida quando vide davanti agli occhi felini un’enorme cosa rosa che gli arrivava addosso, rimbalzandogli proprio sulla testa.
PUM!!!
Il gatto all’improvviso vide stelle e vortici colorati davanti agli occhi e, per la botta ricevuta, si morse pure la lingua coi denti aguzzi, con quelli che ancora aveva, insomma. Con la testa che gli girava e gli pulsava cercò di alzarsi e camminare ma fece soltanto un paio di passi barcollando in tondo finchè non cadde su un fianco privo di sensi.

All’improvviso si svegliò col muso bagnato e i baffi arricciati all’insù gocciolanti di acqua salata. Aprì gli occhi scuotendo la testa che non gli faceva più alcun male e mise a fuoco la scena che gli si presentava davanti agli occhi: era mattina presto e si trovava disteso sul pavimento del piccolo porticciolo del Castello vicinissimo all’acqua, il mare era agitato e grandi onde si infrangevano sugli scogli del molo. Da dove si trovava vedeva un’enorme nave ormeggiata a poche centinaia di metri dal Castello: un bellissimo battello a vapore con il gran pavese svolazzante. Era la nave S.M. Kaiserin Elisabeth, un piroscafo a ruote costruito nel cantiere di Pola nel 1854.
1854… a vapore… Com’era possibile che fosse… ma aspetta! Che strani abiti indossavano le persone che si davano da fare con casse di legno e pacchetti sigillati portandoli dal Castello verso il molo… Max lentamente si toccò i baffi… erano di nuovo arricciati all’insù com’era di moda nell’… ‘800!!! Max era nuovamente piombato nel passato! Che bello! Un’altra avventura iniziava per il vecchio gattaccio!
Max si alzò e salì le scale del porticciolo del Castello, arrivato su si sedette vicino alla balaustra guardando verso un paio di persone che si muovevano vicino all’ingresso del palazzo.
“Signor Tegetthoff!!!”, la voce di Massimiliano d’Asburgo era alta e squillante, “Signor Tegetthoff, comandante! Si fermi un secondo, per favore! Devo metterla a conoscenza di una novità che riguarda il nostro magnifico viaggio!”
“Dica, caro arciduca!”, rispose il comandante del battello, e continuò: “Oh! Come sono felice! Quest’autunno del 1859 rimarrà scritto negli annali! La Kaiserin Elisabeth in Brasile! Un viaggio importante, una rotta difficile, un oceano pieno di insidie… Saremo i primi, mio caro arciduca, i primi ad attraversare l’oceano con una nave a vapore austriaca! Correnti fortissime, tempeste, onde altissime, più del suo Castello… ma sotto il mio comando, sotto il mio controllo, nulla, dico NULLA, mio prezioso amico, potrà andar storto e noi passeremo alla storia”.
“Comandante, ammiro la sua forza ed il suo entusiasmo,” disse Massimiliano, “e sono felice anch’io, come un bulbo di tulipano rintanato nella tiepida terra primaverile, ma devo aggiornarla su una cosa: mia moglie, l’arciduchessa Carlotta, verrà con noi.”
Tegetthoff sbiancò.
“No, vabbè… Allora lo dica, caro amico, che qui si vuole portare scompiglio… e anche un po’ di sfiga”, disse il comandante con voce all’improvviso sottile e provata.
Massimiliano alzò le palpebre e scosse la testa in segno di sconsolato assenso.
“Caro Wilhelm, lo ha chiesto proprio lei… Ma non si preoccupi, la prego! Ormai le donne non portano più sfortuna a bordo! È una superstizione antica e sorpassata, suvvia! E poi Carlotta ha promesso di mantenersi in disparte, di seguire alla lettera le sue preziose indicazioni… la riconosce come capo indiscusso della missione e…”
Tegetthoff lo interruppe: “Me la vedo l’arciduchessa a rispettare le regole di bordo, come no! È conosciuta, sa, sua moglie per essere un vero peperino! Una pepata dispensatrice di rogne”.
Massimiliano rispose: “Carissimo comandante, io la capisco, vede… ma non ho avuto modo di… ho cercato… le garantisco che farò di tutto per…”.
“Sarà… spero che lei abbia ragione…”, sospirò il comandante avviandosi, decisamente più gobbo di prima, verso la barca a remi che lo avrebbe portato a bordo del battello per gli ultimi preparativi.

“Kaiserin Elisabeth!!!”, una voce femminile si sentì squillare in tono sprezzante nel piazzale davanti al Castello. “Che bella scelta! Proprio un’idea geniale! Ma come si fa, come si può!!!”
Carlotta era appena uscita dal portone del palazzo seguita da due dame di compagnia, che trascinavano a fatica le sue enormi valigie di pelle. Aveva addosso un gonfissimo abito da viaggio di seta pesante color malva scuro, uno scialle di lana leggero sulle spalle e i capelli sistemati nella solita crocchia sotto un delizioso cappellino in tinta. Pay, il suo maltese, sbucò dalla gonna e si mise a correre verso la balaustra, dove aveva visto il suo amico Max.
“Mio candido giglio di mare,” le disse Massimiliano. “Che c’è che non va?”
Carlotta subito rispose con voce arcigna: “Quella nave non va! La Kaiserin Elisabeth!!! Con quella sfacciata polena sulla prua! Quell’immagine di tua cognata, scostumata, col petto in fuori nascosto appena da un velo di pizzo e da una collana di perle! Io, dico, IO, dovrei viaggiare su una barca che porta il nome di colei che sempre mi rifiuta e mi percula a corte???”.
Massimiliano le rispose con aria sconsolata: “Ma non è la nave la cosa importante, mio zuccheroso fiore di gladiolo… Il viaggio è importante, lo sai! Già ho perso il giro attorno al mondo della Novara, che io stesso avevo programmato e progettato, a causa di quei due anni passati nel Lombardo-Veneto, anni difficili, mia dolcezza… che mi hanno duramente segnato e rattristato nell’anima… ma ora ho la possibilità di rifarmi! Un nuovo viaggio! In Brasile!!! Una terra esotica, colorata, allegra! Là potrò studiare nuove specie botaniche, scrivere libri, disegnare nuovi fiori! Lo sai quanto io ci tenga, mia cara moglie!”.
Massimiliano già si vedeva a camminare nella foresta con lo zaino in spalla e un notes in mano, pantaloni leggeri infilati negli alti stivali di pelle e una cuffia di lino bianco da adagiare sulla testa per proteggerla dalle zanzare. Sognava di scoprire foglie di piante sconosciute, di farsi strada con il machete fra cespugli di fiori profumati e colorate orchidee calanti dai rami degli alberi, di raccogliere esemplari nuovi di anthurium selvatici da sistemare nelle sue scatolette per poterli poi studiare, analizzare, descrivere e disegnare nei suoi diari, come facevano i veri scienziati, i botanici della sua epoca.
Carlotta si raddolcì, cosa che aveva quasi dell’incredibile, e guardò il marito con aria leggermente meno infastidita: “Va bene, va bene! Salirò su quella… barca. E speriamo bene, va”.

gatto max massimiliano d'asburgo

“Maxxx!!! Mio amico fra gli amici, bau!”, Pay era sempre contentissimo di incontrare Gatto.
“Cosa sta succedendo?”, chiese Max. “Perché tutta questa confusione?”
“Ci stiamo preparando per un viaggio! Un viaggio davvero speciale! Andiamo nell’esotico Brasile! Caro amico, vieni con noi! Saliamo sulla nave e partiamo insieme verso i tropici, ci sono scimmie, camaleonti, pappagalli di tutti i colori là, bau!”, Pay era fuori di sé dall’entusiasmo.
Max invece era un po’ indeciso… un gatto su una nave… non aveva un grande rapporto con l’acqua, lui… gli piaceva berne un po’ quando aveva sete, tutto là. Ma viaggiarci sopra…
“Non so, Pay… sono tentato ma vedi, sono abituato a stare coi piedi per terra io.”
“Ma dai, forza! Sarà un’esperienza magnifica, vedrai! Andiamo! Corriamo giù verso la barchetta a remi! Sta per fare un altro giro fino al battello per portare a bordo le ultime valigie della mia padroncina! Saltiamo su e facciamoci portare verso nuove avventure, bau!”
L’euforia del cagnolino contagiò alla fine anche Gatto, che corse insieme all’amico verso la piccola imbarcazione che stava per lasciare il porticciolo del Castello.

Erano passate parecchie ore dalla partenza della Elisabeth. La nave era ormai in mare aperto e proseguiva il suo viaggio in modo spedito fra le onde accompagnata da un trio di delfini, che danzavano e saltavano davanti alla sua prua.
Tutti si erano sistemati nelle proprie cabine, era stato servito il pranzo e ora ognuno era al proprio posto: l’equipaggio al lavoro, il capitano al comando e l’arciduca, nella sua splendente divisa blu da contrammiraglio, in piedi vicino alla balaustra a guardare lontano con il suo cannocchiale. Max e Pay, invece, passeggiavano sul ponte della nave, annusando l’odore della salsedine e godendosi il sole poco prima del tramonto.
“Amici miei! Cosa fate voi qui a bordo di mia nave?”, una voce roca e profonda fece girare Max e Pay, distogliendoli dalla loro passeggiata.
Ivan, il gatto russo conosciuto al porticciolo di Grignano qualche tempo prima, si stava avvicinando a loro col sorriso sul muso.
“Ivan! Ma che piacere! Cosa ci fai qui?”, chiese Max al gattone che ormai li aveva raggiunti.
“Ivan è stato scelto come capo di guardia di polizia per controllo di topi sulla barca. Se topo non dà problemi, polizia di barca dà lui pagnotta e morso di formaggio e bicchiere d’acqua ogni giorno e permette lui passeggiata ad aria aperta su ponte di nave ogni sera al tramonto. Ma se topo ruba da cambusa o morsica caviglia di marinaio… beh, allora topo viene rinchiuso in gabbia prigione e tenuto là fino arrivo di barca a destinazione, con solo galletta scondita e sorso di acqua ogni due giorni. Ma ditemi piuttosto cosa spinto voi a salire su piroscafo?”
Pay scodinzolando rispose subito a Ivan: “Siamo saliti con i miei padroncini arciduchi! Siamo all’avventura! Alla scoperta dei tropici! Pronti a stupirci davanti bellissimi fiori colorati, piatti di cibo esotico e buonissimo e simpatici animali di specie finora mai viste e conosciute, bau!”.
“Simpatici animali! Oh mio piccolo ingenuo amico! Tu mai visto ragno delle banane di Brasile?!? Con zampe grosse come sigari e croce su schiena?”, Ivan esplose in una risata felina. “O falena di foresta, con giganti ali con teschio tatuato sopra! O piante carnivore con graaandi bocche affamate che aspettano te nascoste fra innocui cespugli, sotto ai quali si accampano indisturbati scorpioni gialli! Quelli mordono te senza motivo e inizi a sudare fino a che muori vomitando! O serpente Jararaca, lungo e velenoso. Inghiotte te in un secondo come colazione! Ah ah ah!!! Oh, e senti questa: te vuoi fare bagno rigenerante? Ecco che anguilla elettrica aspetta te per friggerti come anello panato di totano.”
Pay ebbe un sussulto. Si era immaginato che il Brasile fosse una terra colorata e accogliente, ma non aveva messo in preventivo di poterci trovare pericoli e minacce alla sua stessa piccola vita. Questo nuovo pensiero smorzò un pochino il suo entusiasmo per il viaggio appena intrapreso.
“Comunque, miei spericolati amici, venite con Ivan! Vi porta a vedere nave più da vicino! Cambusa con scorte di cibo e di acqua fresca (fino a che dura), infermeria per marinai malati o feriti e bellissimo laboratorio per scienziati di bordo, con ampolle, libri, mappe e strumenti per misurazioni scientifiche di ogni tipo.”
Avviandosi sottocoperta, i tre passarono vicino ad una sedia a sdraio sistemata sul ponte della Elisabeth. Seduta là, in modo poco elegante, c’era Carlotta, sprofondata nel suo vestito color malva. Con una mano l’arciduchessa reggeva un panno umido, che teneva appoggiato sulla fronte, e con l’altra si tappava la bocca. La fronte era sudata e i capelli arruffati scendevano a ciuffi dalla crocchia e si appiccicavano sul viso bagnato. Una dama di compagnia la sventolava con un grande ventaglio di pizzo guardandola con aria spaventata, mentre un’altra stava in piedi a qualche passo di distanza, con una ciotola in mano, pronta ad intervenire ad un suo cenno.

“Signor Tegetthoff!!! Capitano!!!”
L’arciduca era sorridente e felice camminando sul ponte della nave verso il posto di comando. Il cielo cominciava a colorarsi di rosa, l’aria era fresca, il rumore delle onde era così piacevole da sentire… Si può dire che era del tutto felice.
“Capitano!!!”
Il signor Tegetthoff, invece, non aveva lo stesso sguardo. Era incupito e a dir poco nervoso.
“Caro arciduca…”, disse a Massimiliano quando questi si era avvicinato a lui felice come una pasqua.
“Capitano! Oh, come sono eccitato, mio caro amico!”, iniziò l’arciduca. “Il viaggio è iniziato benissimo! Il tempo è ottimo! La nave è perfetta! Se continua così, arriveremo con giorni di anticipo sui nostri programmi!”
“Iniziato benissimo…”, ripetè il capitano. “Caro arciduca, su questo non siamo d’accordo per niente.”
“Oh, caro Wilhelm… Che problema c’è??? Non mi dica così… non mi smorzi l’entusiasmo, la prego”, disse Massimiliano improvvisamente triste in volto.
“Vuole la verità? Bene, eccola qua,” lo aggredì il capitano. “Sua moglie, sua moglie è il problema. Siamo salpati da quanto? Nemmeno un giorno! Eppure ha già discusso con tutti, qui a bordo! La cabina è troppo piccola, la toilette troppo sporca, le sdraio troppo scomode! Ha avuto da ridire anche con il cuoco! E lei sa quanto sia permaloso il cuoco! Lo ha incolpato di servire cibo avariato, per tutti i santi, quando è chiaro a tutti che il suo stato di malessere è colpa del mal di mare! Dico, l’ha vista? Come pretende di arrivare fino in Brasile in quelle condizioni??? Sta male ed è nervosa e se la prende con l’equipaggio. Oh, no, caro Massimiliano. Qui c’è da fare qualcosa. Quella donna deve sbarcare il prima possibile.”
Massimiliano non rimase sorpreso da quelle dure parole. Aveva incontrato la moglie qualche minuto prima ed era stato pure lui investito dal fiume di lamentele di Carlotta, la quale era evidentemente nata per stare sulla terraferma e non in mezzo al mare.
“Caro Wilhelm,” rispose costernato. “Lei ha perfettamente ragione. La mia cara consorte ha insistito per partecipare a questo maestoso viaggio nonostante le mie non troppo velate obiezioni. Ho tentato di sconsigliarla molte volte, ma lei capirà la difficoltà dell’impresa. Ma devo confidarle una cosa, mio capitano: forse ho trovato un modo. Forse ho capito come fare per convincerla. Se tutto va bene, entro domani ce ne saremo liber… volevo dire, entro domani avrò convinto la mia dolce orchidea a tornare a casa. Mi auguri buona fortuna, amico mio.”
“Beh, che dire…”, rispose il capitano un po’ sollevato. “Le auguro buona fortuna, in bocca al lupo e pure in culo alla balena. Senza alcun riferimento, sia chiaro…”

gatto max massimiliano d'asburgo

Gatto era appallottolato su una balaustra della nave. Era passata da poco la mezzanotte, il cielo era sereno e si vedevano una miriade di stelle: alcune erano solitarie, altre formavano bellissimi disegni e tantissime erano riunite in una scia luminosissima che attraversava il cielo luccicando. Max era in dormiveglia, si stava gustando il momento in cui si sarebbe addormentato pacificamente concentrandosi sui piccoli schizzi di acqua salata che, a intervalli quasi regolari, gli arrivavano sul muso: quando un’onda sbatteva sulla prua della nave, ecco, dopo circa tre quattro secondi, arrivavano gli schizzi. Era divertente!
“Max, amico, bau…”
Max aprì controvoglia gli occhi gialli e vide Pay che lo guardava con occhietti tristi.
“Che succede, amico mio?”, disse il gatto sbadigliando. “Ti vedo piuttosto depresso, cosa ti turba in una pacifica serata come questa?”
“Max, le parole di Ivan mi hanno fatto pensare molto… Diciamo che mi hanno lasciato un po’ perplesso… spaventato… ehmm… terrorizzato, in realtà, bau!”, si confidò il cagnolino.
“Spiegati meglio, Pay”, rispose Gatto.
Pay alzò il musetto verso l’amico e disse: “Vedi, io ero eccitatissimo all’idea di partecipare a questo viaggio… come sai sono un sognatore… l’idea di girare il mondo, vedere posti nuovi, diversi, mi aveva affascinato veramente tanto. Ero entusiasta…”.
“Ma?”, lo incalzò Max.
“Ma Ivan mi ha messo davanti la reale realtà. Che è piuttosto dura, mi sa,” continuò il maltese. “Io sono un esserino piccolo, delicato… un colpo di vento e mi viene la congiuntivite, un po’ d’acqua nelle orecchie e mi viene l’otite, mangio un po’ di più e mi si blocca lo stomaco… se non mi spazzolano ogni giorno, poi, divento un gomitolo infeltrito… figurarsi con l’umidità che ci sarà in Brasile! Come potrei, poi, affrontare quei serpenti, quei ragni, quei pericoli! Le mie zampette sono fatte per i tappeti, non per scappare come un fulmine fra le mangrovie! Insomma, riassumendo: ho paura! Bau!”
Il cagnolino era veramente terrorizzato! Tremava come una foglia e le sue zampine sudate lasciavano impronte umidicce sul ponte della nave mentre si spostava su e giù in preda all’ansia.
“Caro amico,” confessò Max, “anche io sono rimasto piuttosto intimorito dalle parole di Ivan. All’idea di quel ragno che ti fa l’agguato fra le banane, mi è venuto un brivido dalla testa alla punta della coda. E ora tu… il fatto che anche tu sia rimasto così colpito da quelle parole, mi spaventa ancora di più… Ma ormai siamo qui, le cose non dipendono da noi… possiamo solo sperare che vada tutto bene e che magari succeda qualcosa che…”
In quel momento un grosso meteoroide entrò nell’atmosfera terrestre lasciando una scia luminosissima nel cielo.
“Max!! Guarda! Esprimiamo un desiderio! Subito!!!”, esclamò Pay.
“VOGLIAMO TORNARE A CASA!”, dissero in coro i due amici.

Carlotta era nella sua cabina. Si era chiusa dentro e aveva allontanato le dame di compagnia subito dopo che queste l’avevano aiutata a togliere il pesante vestito, il bustino e la crinolina. La lunga camicia da notte di mussola di cotone e pizzo era sistemata sul cuscino e Carlotta se la infilò da sola per poi sedersi sul letto con un tonfo. Era stravolta. Mai avrebbe pensato di soffrire così tanto a bordo di una nave. Era pentita di aver insistito per partire col marito, e ora non sapeva come risolvere la situazione senza passare per una donna debole ed incapace.
Toc! Toc! Nel silenzio della notte, Carlotta sussultò al suono di quei battiti.
“Chi è?”, disse.
“Mio gelsomino, sono io…”, la voce di Massimiliano la rassicurò.
“Entra, marito. Ma sappi che di coccole non ne ho proprio voglia”, disse Carlotta sospirando. L’arciduca aprì la porta della cabina e Max e Pay sgattaiolarono dentro e andarono a sedersi sotto la piccola scrivania di legno d’abete.
“Mia giuggiola, sono qui perché avevo bisogno di confidarmi con qualcuno: una grande preoccupazione mi tormenta da qualche ora”, disse Massimiliano con voce mesta.
“Cosa succede, marito? Mi sei sembrato molto tranquillo, prima, a cena. Cosa ti turba adesso?”, chiese Carlotta.
L’arciduca entrò nella cabina vestito da notte con la candela in mano e si sedette alla scrivania.
“Vedi, mia violetta, la notte fa pensare e un grande timore mi è nato nel cuore. Pensavo al nostro Castello… lo abbiamo abbandonato per partire per questo lungo viaggio, lo abbiamo lasciato nelle mani di operai e arredatori, intenti a finire i lavori di arredamento… tutta gente capace, certamente… ma chissà se, ora che noi non ci siamo, continueranno a lavorare come si deve! Carlotta… e se al nostro ritorno trovassimo le pareti rivestite da una tappezzeria di un celeste sbagliato? Magari uno stucchevole turchese, o un tetro carta da zucchero addirittura! E se al posto dei miei adorati ananas ci facessero ricamare, che ne so, dei manghi? O delle noci di cocco? Ti immagini, mia passiflora, tutte le pareti piene di palle pelose… e i miei libri!!! se approfittassero della mia assenza per leggerli, sfogliarli, senza riporli poi nella corretta collocazione?”
Carlotta lo guardava pensierosa.
“E come pensi di fare per evitare queste sciagure?”, disse.
L’arciduca rispose sicuro: “Ci ho pensato, mia cara. L’unica soluzione è trovare una persona fidata, una persona capace, autorevole, preparata, una persona a cui affidare la nostra preziosissima casa, il nostro parco, il nostro promontorio. Ma chi… CHI??? Mio bocciolo di rosa, chi mai potrebbe essere all’altezza, a chi potremmo affidarci a occhi chiusi…”
L’arciduchessa ebbe un sussulto, un’idea le esplose nella testa: “Massimiliano. So chi potrebbe essere la persona giusta. Io”.
“Ma dolcezza,” esclamò l’arciduca. “Non potrei mai chiederti un simile sacrificio. Hai voluto così tanto partire con me. Come faccio a permetterti di rinunciare a un’esperienza del genere… certo, però, chi mai più di te potrebbe essere all’altezza di un simile compito…”
Carlotta insistette: “Marito. Sono pronta al sacrificio. Domani saremo a Madeira. Là io sbarcherò e, dopo un paio di giorni di vacanza, prenderò un treno per tornare a casa. È deciso”.
Max e Pay si guardarono stupefatti! Il loro desiderio si era avverato!
“Mio ramoscello di fiori di pesco! L’idea che ci sia tu a sovraintendere ai lavori mi rende finalmente sereno e tranquillo. Non so come potrò mai ringraziarti…”
“Non preoccuparti, marito. Ci sono tante cose che potrai comprarmi in Brasile, in effetti mi manca una bella collana di smeraldi da mettere con quel nuovo vestito verde che mi è appena arrivato da Parigi…”
Massimiliano annuì, la baciò sulla fronte e, sollevato dal fatto che il suo piano aveva funzionato, uscì dalla cabina della moglie. Carlotta era finalmente rilassata, convinta di aver risolto lei stessa il suo problema, facendo pure una bella figura. Si stese sul letto e sorrise felice: l’indomani sarebbe finalmente scesa da quella maledetta barca.

“Bene, mio fiore di protea tropicale, allora vai e sovraintendi come solo tu sai fare.”
Massimiliano era in piedi accanto alla moglie, mentre i marinai stavano calando i bauli di Carlotta dalla nave con due spesse corde e molte parolacce. In mare, accanto alla Elisabeth, c’era una piccola barca che attendeva Carlotta e le sue dame per portarle a riva, nel porto di Madeira. Il capitano Tegetthoff aveva reputato che non fosse necessario arrivare proprio proprio fino in porto con la nave, per non perdere tempo prezioso, e l’arciduchessa sbuffava all’idea di doversi calare come una scimmia dalla balaustra del piroscafo.
“Se non avessi così tanta fretta di scendere da sta barca, troverei molto da ridire su questa cosa”, borbottò.
“Dimmi, mio tesoro?”, disse Massimiliano, che non aveva sentito bene le parole della moglie.
“Nulla, nulla… fammi andare, va,” rispose Carlotta. “Ti manderò delle missive per mantenerti al corrente sul progresso dei lavori al Castello. Cerca di farti vivo anche tu, ogni tanto.”
“Non dubitarne, mio giaggiolo! Ti spedirò delle poesie scritte di mio pugno prendendo spunto dai colori e dai profumi di quella terra esotica e sconosciuta, che…”, stava dicendo estasiato l’arciduca.
“Sì, sì. Manda, manda. Arrivederci, marito, e buona fortuna.”
Carlotta cominciò a scendere sulla scaletta che la collegava alla piccola imbarcazione sotto al piroscafo, sulla quale c’erano anche Max e Pay, che si erano fatti calare insieme all’ultimo baule. L’enorme vestito e la crinolina dell’arciduchessa ingoffavano molto i suoi movimenti, ma la voglia di andarsene era così grande che la discesa stava procedendo comunque in modo spedito e senza intoppi.
“Bene, signor Tegetthoff levi l’ancora e accenda i motori! Si riparte!”, urlò Massimiliano.
“Aspetti, contrammiraglio!!!”, gridò un marinaio appostato vicino alla balaustra. “L’arciduchessa sta ancora scendendo!”
Massimiliano alzò gli occhi e strillò: “Marinaio, mi avverta quando mia moglie è arrivata giù”.
“Certamente, contrammiraglio”, rispose ad alta voce il marinaio.
Cinque secondi dopo: “È arrivata, marinaio?”, urlò Massimiliano.
“Non ancora!”, gridò il marinaio.
Massimiliano malediva la scelta delle scarpe della moglie: scarpette laccate col tacchetto… adattissime a scendere in quel modo da una nave
“Adesso è arrivata?”, urlò l’arciduca saltellando da un piede all’altro, agitato dalla fretta di ripartire per il suo amato viaggio.
“Non ancora, contrammiraglio!”, gridò il marinaio. “Ma aspetti, sta… ops! Contrammiraglio! L’arciduchessa è scivolata ed è caduta di schiena sulla scialuppa! Si vede una nuvola di stoffa e… oh, che bei mutandoni bianchi! Sembrano quelli che ho visto su quel giornale spinto giù al porto…”
“Marinaio!!!”, strillò Massimiliano. “Distolga immediatamente lo sguardo dalle pudenda della mia consorte e mi dica se è arrivata!”
“È arrivata, contrammiraglio!”, urlò sorridendo maliziosamente il marinaio.
“Allora, capitano!!! Si levi l’ancora e si accendano i motori!!! Si riparte! Verso nuove e strabilianti avventure!!!”

Max si svegliò intontito. La testa gli pulsava e davanti agli occhi vedeva ancora stelline roteanti e scintillanti. Cercò di alzarsi sulle quattro zampe e, non appena ci riuscì, sentì delle grida felici tutte attorno a lui: “Sta bene!!!”, “Evviva!!!”, “Il gatto non è morto!!!”, “Ovvio!!! Hanno nove vite!”, “Una l’ha appena persa, però!”. E poi giù risate e applausi.
Gatto si rese conto di essere in mezzo ad un gruppo di persone che puntavano tutte lo sguardo su di lui. Si voltò ancora e vide il capitano della Emma che batteva forte le mani e che urlava: “Marinaio! Lancia subito un paio di sardoni a questo felino! Come risarcimento per l’incidente! Ah ah ah!!!”.
Un minuto dopo, Max vide arrivare ai suoi piedi due scintillanti pesci freschi di giornata. Senza capire ancora bene cosa era successo e cosa stava succedendo, li prese in bocca e si avviò trottando malamente verso gli alberi. Di navi e di barche, per oggi, ne aveva abbastanza.

Gatto Max – Impicci e pasticci a Miramare”, del prezzo di 15 euro, è già disponibile in libreria, nonché online nella nostra bottega dei libri e su amazon.

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