Sbagliato parlarne il 10 febbraio, mettendo le memorie l’una contro l’altra. Sbagliato parlarne per negare o minimizzare le foibe. Ma sbagliato ancor di più non parlarne. Per fortuna ci sono i Paolo Rumiz e i Moni Ovadia, in attesa che il Presidente Napolitano si ricordi anche di questa memoria. Perché un crimine non ne giustifica un altro, ma una memoria non cancella un’altra. Da “la Repubblica” di domenica 13 Aprile:
I volenterosi carnefici del Duce
Non c´erano camere a gas e nemmeno lavori forzati, ma si moriva lo stesso. Semplicemente di fame e di malattie Toccò a decine di migliaia di internati sloveni e croati
Perché i campi fascisti ubbidivano agli stessi imperativi di quelli
hitleriani: terra bruciata, pulizia etnica, spazio vitale alla razza vincitrice
Nuovi documenti e un libro abbattono per sempre il mito della “brava gente”
Un generale annota a mano:
“Individuo malato = individuo che sta tranquillo”
PAOLO RUMIZ
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Stessi corpi nudi, stessi occhi vuoti, scheletri senza natiche e
pance gonfie come tamburi. Certo, non era Auschwitz, non c´erano camere
a gas, e nemmeno lavori forzati. Ma si crepava egualmente, come mosche.
A fare il lavoro bastava la fame, il freddo, la malaria, le cimici, la
scabbia, la dissenteria, il tifo petecchiale. Bastavano le punizioni,
le adunate, la paura di essere prelevati come ostaggi per le
fucilazioni di rappresaglia.
Dentro il filo spinato non c´erano ebrei,polacchi, ucraini.
C´erano sloveni e croati, ma la sporcizia e il tanfo
erano gli stessi. Sulle torrette di guardia stavamo noi, «italiani-
brava-gente», non i tedeschi, ma l´imperativo categorico era identico.
Fare terra bruciata, annientare quegli uomini-pidocchi, bonificare le
terre del nemico, pulirle etnicamente, offrire spazio vitale alla razza
egemone.
Non ci furono solo i campi di Hitler. Anche l´Italia ha avuto
i suoi. Nel territorio nazionale, incluse le aree jugoslave annesse
nella primavera del 1941, i lager furono ben centosedici, e i più
malfamati vennero destinati alla «razza slava».
Fino all´8 settembre del `43 inghiottirono decine di migliaia di persone,
in gran parte vecchi, donne e bambini, talvolta neonati, dei quali morirono di stenti quasi uno su tre. Dei croati – i più numerosi – abbiamo dati
approssimativi, ma sappiamo che i soli sloveni furono ventiquattromila,
dei quali settemila non tornarono. Tanti, per una popolo di un milione
e mezzo di abitanti.
Centosedici furono i campi del Duce, ma solo
quattro monumenti fuori-circuito ricordano la sofferenza dei deportati:
a Roma, San Sepolcro, Barletta e Gonars in Friuli. Per loro, nessun
giorno della memoria. Nessun accenno sui libri di scuola.
Un tema tabù,
dove s´è cercato per anni, con pochi mezzi e scarsa pubblicità. Le
testimonianze, terribili, ci sono: le hanno raccolte studiosi come
Costantino Di Sante, Spartaco Capogreco, Tone Ferenc, Eric Gobetti, ma
sono sempre rimaste una cosa di nicchia, non sono mai entrate nella
coscienza nazionale. Ora altre voci bucano la cortina del silenzio.
Lettere di donne recluse, ritrovate negli archivi della prefettura di
Udine, dove ha funzionato l´ufficio-censura dell´esercito di Mussolini.
Lettere mai inoltrate al destinatario; invocazioni disperate di nonne,
ragazze, madri, che spesso non hanno commesso nulla e non sanno perché
sono state internate. E poi i racconti delle ultime sopravvissute, che
a distanza di sessantacinque anni hanno scelto di rompere la diga del
dolore.
Un materiale terribile, raccolto da Alessandra Kersevan nel
libro Lager Italiani, ora in pubblicazione per conto della casa
editrice Nutrimenti. Un testo da leggere, se vogliamo fare i conti con
noi stessi.
Marija Poje è di Stari Kot, paese completamente distrutto
dai nostri dopo la deportazione degli abitanti. Nel febbraio del `42
viene internata sull´isola di Arbe (Rab) dove funziona il campo più
grande della Dalmazia. Il motivo ufficiale è: protezione dalle
incursioni partigiane. In realtà è una forma di brutale occupazione.
Marija ha un bimbo di tredici mesi ed è anche incinta. Al campo,
racconta, «non avevamo niente da mangiare e i bambini piangevano
terribilmente… ci hanno messo sotto tende militari… e anche lì era
solo pianto e gemito di bambini». Poi il trasferimento a Gonars, dove la
fame comincia a uccidere. Inedia, freddo, assenza di medicine. Come
cibo solo brodaglia e un pezzo di pane grande «come un´ostia».+
Racconta Marija, oggi ottantenne:
«A me poi è morto questo bambino appena nato,
mi è morto questo figlio della fame e del freddo… Era magro, solo
ossicini, era come un coniglietto. Due giorni di agonia prima di
chiudere gli occhi. E proprio quel giorno per la prima volta gli
avevano dato… un po´ di latte freddo. Ha avuto il latte la prima
volta quando è morto. Poi l´hanno portato via ed ero così malridotta che non
ho potuto accompagnarlo nemmeno sulla porta della baracca. Sono rimasta
là. E ancora adesso ho questo desiderio spaventoso, il desiderio di
quella volta. Il ricordo dei giorni terribili in cui ho desiderato che
morisse prima di me… io non ho potuto andare là, non sapevo neanche
dove fosse sepolto».
Stanka è una slovena di origine rom che oggi vive
in Friuli. I suoi genitori con otto figli vennero internati ad Arbe e
poi a Gonars. La testimonianza è raccolta da Andrea Giuseppini, autore
di un documentario sulla deportazione degli zingari nei campi fascisti.
«Ci hanno portato in carcere a Lubiana, poi ci hanno portato in questa
isola… Rab, in Dalmazia sarebbe… Tanta di quella fame… Non ierano
baracche, nelle tende e dentro buttata paglia e lì si dormiva come le
bestie. Ieramo in tanti, cinquemila, forse anche di più. I bambini
morivano di fame. I piccoli neonati li nascondevamo sotto la paglia
perché prendevamo il rancio su di loro… Nascondevano i bambini morti
per prendere il mangiare che dopo mangiavano quegli altri».
Bambini nudi e scalzi anche d´inverno che rovistano tra i rifiuti di cucina,
mortalità spaventosa, tisici, gente senza mani, senza gambe, quasi
ciechi. I medici del campo protestano, chiedono più cibo e medicine, ma
l´ordine dall´alto è «affamare».
Il 17 dicembre 1942, il generale Gastone Gambara, comandante del XI Corpo d´armata, annota a mano su un foglio che ci è giunto intatto:
«Logico ed opportuno che campo di
concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato
= individuo che sta tranquillo». Anche le medicine non servono, fa
notare il capo del campo di Gonars, colonnello Vicedomini. Bastano
«fasce addominali di flanella», consiglia agli infermieri, che vengono
accusati di favoreggiamento al nemico. Crudeltà gratuite, per le quali
nessuno ha pagato, alla fine della guerra.
Francesca Turk, un´altra detenuta la cui lettera è stata bloccata dalla censura: «Caro fratello,
non so se ci rivedremo oppure se moriremo prima… periremo di freddo e
di fame… viviamo nei patimenti e nella paura. Ti scongiuro di
mandarmi un po´ di pane secco, perché temo per la mia vita e quella dei miei
bambini… Ogni giorno muoiono da cinque a sei persone; periscono anche
i giovani, come le pannocchie. Fa freddo intenso, non abbiamo la stufa,
non spero più di rivedere il mio paese».
Paola Rausel: «Se avessi
saputo ciò che mi attendeva, avrei ucciso prima i bambini e poi me
stessa, perché non è possibile sopportare ciò che sopportiamo ora.
Muoiono specialmente gli uomini e i bambini… gli uomini cominciano a
gonfiarsi e a perdere la vista, poi muoiono. Per fortuna che la mamma è
morta».
Prima delle deportazioni c´erano i rastrellamenti, i villaggi
distrutti. Racconta Slavko Malnar, deportato nel 1942 all´età di cinque
anni dal suo villaggio del Gorski Kotar, massiccio montuoso sopra
Fiume:
«Il 27 luglio l´esercito fascista incendiò tutto il nostro paese…
Ci dissero che ci avrebbero protetti dai banditi comunisti
partigiani. Figuratevi quale protezione… hanno rubato il bestiame e
tutti i beni mobili, e ci hanno cacciati in un campo dove in pochi mesi
sono morte trentacinque persone solo del mio paese. Lo stesso è
successo per gli altri villaggi».
Nel gennaio del `43 la Croce Rossa segnala al ministero degli Esteri che nel campo di Renicci (Arezzo) i reclusi ex jugoslavi versano «in condizioni miserevoli» e molti di loro «si sono ridotti a nutrirsi di ghiande».
Talvolta – i partigiani italiani lo sanno – i fascisti erano peggio dei tedeschi.
Non era programmata solo la fame, ma anche le umiliazioni.
Battista Benedetti, radiotelegrafista nel campo nell´isola di Zlarin in Dalmazia, racconta che per aspettare il rancio queste larve umane erano obbligate a stare
in piedi in fila per delle ore e, quando arrivava «la brodaglia», la
colonna «cominciava ad agitarsi» e allora piovevano bastonate dei
sorveglianti. «Ma la cosa più terrificante era quando alcuni di questi
malcapitati, accecati dalla paura di restare senza rancio… uscivano
dalla fila e correvano verso il cibo, e allora le bastonate non si
contavano più e i poveretti, non riuscendo più ad alzarsi, venivano
portati via».
I malati di dissenteria portavano addosso gli stessi
vestiti del momento della cattura, intrisi di feci, fino alla fine.
Giacevano in un tanfo orrendo in barelle fuori dalle infermerie,
all´aperto in pieno inverno, e – racconta un testimone – i loro «occhi
vitrei… sporgevano dalle orbite». Per seppellire i corpi, in alcuni
campi in Dalmazia, noi italiani usavamo le grotte. Sì, proprio le
foibe, dove a fine guerra sarebbero stati uccisi per rappresaglia
migliaia dei nostri, ma anche tanti croati, bosniaci e sloveni.
«La foiba – racconta Battista Benedetti nel suo libro di memorie – ingoiava
i miseri resti di questi malcapitati che, fatti scivolare, di solito
dalla parte dei piedi, nel baratro, scomparivano; la cassa vuota veniva
riportata dal gruppo degli accompagnatori, per essere utilizzata con
altre vittime».
La gente che arrivava nei campi erano già «relitti
umani», denuncia il console italiano a Mostar Renato Giardini
nell´aprile del `42. Sono i mesi in cui i tedeschi pare sfondino in
Russia e raggiungano i giacimenti del Caspio, e questa speranza
moltiplica lo sforzo bellico nei Balcani, si trasforma in bestiali
rastrellamenti. Giardini vede «mandrie di vecchi, donne e bambini,
laceri, scalzi e affamati… erranti da una contrada all´altra…».
Vede «bambini morti lungo la strada… e i loro corpi gettati dai genitori
stessi nei burroni. I poveri contadini da una parte sono vessati dai
partigiani… dall´altra gli italiani gli incendiano i villaggi,
distruggono le case, gli razziano il bestiame, credendoli partigiani».
E poi «intere zone distrutte… la gente anche non combattente
ammazzata senza pietà… a volte anche le donne seguono la stessa sorte…
i campi resi deserti e squallidi… e tutto ciò serve solo a ingrossare le file
del nemico».
«Furia sanguinaria», «disumana ferocia», «barbarie»: così
– ricorda lo studioso Livio Sirovich – il capo dello Stato ha definito
il 10 febbraio il comportamento dei nostri vicini a proposito delle
foibe.
Nello stesso discorso, i comportamenti anti-slavi degli
italiani, messi in atto fin dal 1920, sono descritti come «guerra
fascista». Perché? Per l´enormità imparagonabile di Auschwitz? Per la
nostra mancata Norimberga? Per il mito del «bono italiano» che non
muore? Per i depistaggi dei servizi segreti dopo il `45? Per Spartaco
Capogreco la colpa principale è della politica della memoria iniziata
dieci anni fa: «Una politica del ricordo per decreto, dove non c´è mai
la parola fascismo». Una strategia che alimenta certe memorie con
leggi, fondi, ricerche, e ne dimentica altre. «E questo è solo
l´inizio. Nelle scuole nessuno più sa cos´è il 25 aprile. Ora
aspettiamo solo un decreto ministeriale che lo abolisca».
Il coraggio che non abbiamo
MONI OVADIA
falsa coscienza,
revisionismo e furbizia inquinano la nostra memoria nazionale e
ipotecano il nostro futuro. Da qualche anno è stato istituito il giorno
del ricordo che celebra la tragedia delle foibe e dell´esodo dei
profughi istriani. I dolori di quella povera gente vanno commemorati ed
è doveroso chiedere verità e giustizia per le loro sofferenze. Ma una
destra intrisa di umori e nostalgie fasciste – e non solo essa –
strumentalizza quei dolori e quelle tragiche morti. Si assiste alla
progressiva rimozione dei crimini commessi dai fascisti italiani contro
sloveni, croati, montenegrini, serbi, per non parlare di quelli
perpetrati contro le popolazioni libiche, etiopi, eritree, albanesi e
greche.
Questa rimozione ha uno scopo evidente: assolvere il fascismo,
costruire un patriottismo di maniera, pervertire il rapporto fra
carnefice e vittima. Non solo l´antisemitismo, le leggi razziali, le
uccisioni degli antifascisti, ma anche le torture, gli stupri i
saccheggi operati dai fascisti italiani con efferatezza talvolta simile
a quella nazista sono documentatissimi.
La Bbc nel suo documentario TheFascist Legacy (l´eredità fascista)
ne parla e li mostra diffusamente.
La Rai ne ha fatto curare l´edizione italiana dal regista Massimo Sani
solo per tenerla “insabbiata” da anni nei suoi cassetti. I paesi che
hanno sofferto a causa dei crimini fascisti hanno chiesto
l´estradizione di centinaia di criminali di guerra italiani, i più
tristemente noti dei quali si chiamano Roatta, Graziani, Badoglio, ma
non uno di questi carnefici è stato consegnato alla giustizia.
Non si possono onorare le proprie vittime con dignità e onestà rimuovendo la
proprie responsabilità e criminalizzando la Resistenza che ha riportato
l´Italia alla libertà e alla democrazia. Furbizia e ipocrisia sono un
micidiale cocktail che occlude gli orizzonti della credibilità, quindi
quelli della prosperità nazionale, e di tutte le relazioni
internazionali più fertili. L´Italia abbia il coraggio di prendere
esempio dalla Germania che grazie al riconoscimento ininterrotto delle
proprie enormi colpe è oggi una delle democrazie più prospere ed
affidabili del mondo.
Se fosse rimasta l’Austria-Ungheria, colla sua notoria tolleranza, tutti questi fatti non sarebbero avvenuti.
Quando sento parlare di “revisione” dei libri di scuola, credo che la prima revisione debba essere fatta proprio per ciò che concerne l’Austria-Ungheria. Siamo stati educati su testi e da testi assolutamente anti-asburgici. Ci hanno insegnato che gli austriaci erano prepotenti e crudeli, ecc. ecc.
Perdiamo anni scolastici dietro ad un romanzetto come i “Promessi sposi” solo per lo stesso motivo. Nello stesso tempo, i nostri giovani crescono ignorando i fasti di Vienna e di Praga, non sapendo – ad esempio – che nel XIX secolo ed all’inizio del XX città come Lubiana e Zagabria avevano più banche e teatri di Roma, all’epoca villaggio di preti e nobili corrotti (a scuola andrebbe proiettato sovente IL MARCHESE DEL GRILLO a questo proposito, e non sto scherzando).
Il delirio lo si raggiunge quando si fanno circolare “favole” tipo quelle che descrivono gli austriaci come slavofili anti-italiani, ecc. ecc.
Per cui concordo con te, Giovanni, e – se non lo hai già letto – ti segnalo il libro LA FRONTIERA di Franco Vegliani.
un vecchio amico di famiglia, nel ’42 era soldato nei territori yugoslavi. nel ’43 dopo l’8 settembre aveva disertato ed era tornato in italia. ancora quarant’anni dopo diceva:”in yugoslavia non posso andarci, non ho coraggio. con tutto quello che gli abbiamo fatto…”. si riferiva proprio a questi campi…
ciao
DV
X Federico Degni Carando
Anche in Slovenia c’era (ora meno) questo ” delirio lo si raggiunge quando si fanno circolare “favole” tipo quelle che descrivono gli austriaci come” invece di slavofili anti-italiani come italianofili – anti-sloveni, croati, cechi eccecc.
Sia ben chiaro che non penso assolutamente che certe cose succedano solo in Italia.
A questo proposito voglio subito chiarire che se in Italia è “trascurata” (lo scrivo usando le virgolette per sottolineare che è un eufemismo…) la memoria dei crimini compiuti contro le genti allogene ed alloglotte, in Slovenia e Croazia la memoria dei crimini delle foibe, ad esempio, è totalmente assente.
Dunque, se dobbiamo fare passi avanti noi, lo devono fare anche gli amici sloveni e croati. L’ideale sarebbe farli assieme questi passi avanti, come più volte si esortato a fare da diverse parti. Ci vorrebbe una cerimonia ufficiale, presenti Napolitano, Turk e Mesic’. Potrebbe toccare dei luoghi simbolici come la foiba di Vines, la Risiera e il lager di Gonars.
Ma i presidenti preferiscono “glissare”.
Poi ci sono casi allucinanti, come ciò che è successo tra gennaio e febbraio: Napolitano va a Lubiana da Turk e parla di “riconciliazione di fatto” e di “incomprensioni” che in passato ci colpirono reciprocamente.
Quelle “incompresioni” dopo poche settimane tornano ad essere “feroce pulizia etnica” se l’interlocutore non è più Turk, ma Mesic’.
Si badi bene: Mesic’ e Napolitano, la scorsa estate, si facevano fotografare sorridenti mentre si stringevano la mano e dichiaravano che tutto era stato chiarito (relativamente all’incidente diplomatico del 10.02.2007).
Ma lo scorso 10 febbraio Napolitano è voluto tornare sulla questione… riaprirla. Perché? Che bisogno ce n’era? Le acque erano calmissime, perché agitarle di nuovo?
Chi di voi ci capisce qualcosa senza pensar male?
Io ho già fatto peccato…
Federico, tu solitamente così informato? Dire che in Slovenia non se ne parla? Due commissioni governative che monopolizza metà telegiornale ogni volta che inizia a scavare, inchieste giornalistiche, cerimonie commemorative che si tengono ormai da quasi vent’anni, un procedimento giudiziario contro un potente dell’epoca, memoriali costruiti e curati a spese delle istituzioni, tesi di laurea… il tutto ovviamente amplificato dai politici di turno che ci sguazzano di gusto. Ho paura che tu abbia preso una cantonata.
Quanto a re Giorgio, l’unica cosa certa è che non verrà di sicuro a dirlo a noi il motivo delle sue picconate. Che si tratti del pagamento di un qualche debito politico o di intrallazzi di palazzo, possiamo essere ragionevolmente certi di due cose: che non lo ha fatto per sbaglio o sbadataggine, e che come ogni altra iniziativa politica nello Stivale il motivo vero è di politica interna.
Caro Dejan, felice di essere smentito! Riesci a mandarmi in privato, o fallo pure qui così che conoscano tutti, i dettagli di tutto ciò che hai sentiticamente elencato?
Basta rivolgersi a Google per essere sepolti da 11mila risultati:
http://www.google.si/search?hl=sl&q=povojni+poboji&btnG=Iskanje+Google&meta=cr%3DcountrySI
Hvala!
La storia è molto più complessa di quello che dite voi.
Vogliamo cancellare i Domobranci con il loro capo Leon Kotnik?
Vogliamo cancellare gli ustascia di Pavelic con annesso Jesenovac?
Vogliamo non ricordare i massacri dei titini verso i monarchici serbi?
E le SS albanesi kosovare?
Quindi è totalmente falsa l’equazione slavi=antifascisti e anti italiani.
I collaborazionisti furono altrettanti quanti i partigiani.
La dissoluzione della Jugoslavia socialista affonda le radici in quelle lontane contraddizioni secondo me.
Vogliarmo cancellare il filo spinato a Lubiana durante la guerra?
La provincia di Lubiana annessa al regno d’italia ?
La prima grande razzia di Lubiana ?
Dal gennaio al 23 febbraio 1942 le autorità civili e militari italiane cinsero con filo spinato e reticolati l’intero perimetro di Lubiana, disponendoun ferreo controllo su tutte le entrate e le uscite della città. Il recinto era lungo ben 41 chilometri e nel suo corso vennero dislocati sessanta posti di guardia, nonchè quattro stazioni fotoelettriche. La città venne divisa in tredici settori e furono raccolti 18.708 uomini che furono controllati nelle caserme con l’aiuto di delatori sloveni dissimulati; 878 di questi uomini furono mandati in campo di concentramento.
Nei libri di storia io non l’ho studiato, me l’ha raccontato mia nonna che l’ha vissuto………
http://www.viveresenigallia.it/index.php?page=articolo&articolo_id=127612
leggiti questo documento e dimmi se i croati erano o no fascisti.
http://forum.axishistory.com/viewtopic.php?f=51&t=131722
Guarda il Generale Leon Rupnik con i nostri connazionali domobranci.
Quello che e’ mancato a mio avviso e’ stato il fatto che non ci sono stati processi per i carnefici chiunque essi fossero.
Giusto!
Ed è lì che si sono poste le basi per i disastri degli anni ’90.
Perchè ognuno manteneneva la sua memoria senza che fosse stata fatta giustizia.
Ancora oggi devo dire.
Anni fa ricordo che la sette(La7 Tv) fece vedere un documentario dove l’allora Yuogoslavia dopo la guerra chiese agli alleati l’estradizione dei criminali italiani per processarli, in quel documentario si vede come, specialmente gli inglesi, fecero ogni possibile schermaglia diplomatica per evitare l’estradizione.
Ma a quel punto, se fossero stati consegnati i criminali italiani, sarebbero venuti meno i motivi di annessione dell’Istria e Fiume. Oppure si voleva la botte piena e la moglie ubriaca?
Ti confesso che mio nonno fu domobrano e di lui non si seppe più nulla.
La mia famiglia fuggì da Aidussina..non ti dico dove,ma mia nonna profondamente cattolica ed anticomunista ha mitizzato per tutta la vita mio nonno.
Mia nonna era slovena di Lubiana.
Mio nonno di Milano
Le foibe in Istria enel Carso sono conosciute da sempre, non sono un’invenzione fascita; il fondo della foiba di Basovizza a Trieste è piena di canoni e carri austriaci della prima guerra; chi li ha buttati? Basovizzza non è ‘le foibe’, ma l’ultima foiba usata nel dopoguerra durante l’occupaziote titina con ancora trenta metri cubi di resti umani; a Capodistria tutti hanno potuto vedere i camioncini sloveni con i prigionieri tedeschi prelevati come prigionieri dal penitenziario poi distrutto portati al mattino in località vicine ma non conosciute e tornare nel pomeriggio con le sole divise; i soldati italiani carcerati sono stati risparmiati, Norse perchè prigionieri della ritirata dopo l’8 settembre e considerati non fascisti; gli infoibatori non avevano essun ritegno perchè erano in gran parte serbo-montenegrini e nessuno li conosceva: tutte le ore erano buone, nessuno si nascondeva; io personalmente penso che i partigiani italiani della brigata Garibaldi non abbiano infoibato nessuno, perchè questo era un dovere che solo un partigiano titino poteva fare; non potevano tornare a casa senza aver ucciso un nemico, sarebbe stata l’infamia per tutta la vita; Trieste è stata occupata e non liberata pechè è stata innalzata subito la bandiera jugoslava e le scritte sui muri ‘Trst je nas” ‘Istra je nasa”; non si fidavano dei partigiani italiani perchè italiani, lo dimostra il fatto che quando gli italiani si sono dimostrati filosovietici, sono finiti tutti a Goli Otok (leggi Mauthausen) o in altri poeti simili a mangiare sassi e morire coperti dal proprio sterco. Nessuno dice mai queste cose, le associazioni A.N.P.I. italiane non ne vogliono sapere; 2000 lavoratori monfalconesi sono andati nel paese della libertà ed essendo comunisti convinti si sono trovati anche loro nemici del popolo, finendo come gli altri a Goli Otok, vicino all’isola di Arbe, tranne qualcuno che è riuscito a non farsi acchiappare. Trieste è stata occupata perche ‘dove c’è un serbo la c’è la Serbia’. V.V.