15 Marzo 2024

Orando – Un bicchiere di spritz

el sunto Secondo episodio della serie di racconti di Davide Stocovaz dedicati alla figura del personaggio di fantasia Orando

È incredibile come, a causa della teoria della relatività, quando si sta male il tempo rallenta il suo scorrere. Ogni ora trascorsa nella mia solitudine mi sembrava insopportabile. Solevo restarmene seduto in cucina, fumando una sigaretta dopo l’altra, lanciando occhiate nervose all’orologio appeso alla parete.
Per dimenticare Marina ricorrevo spesso alla bottiglia. Poco importava se il vino era rosso o bianco, non faceva differenza. Ciò che desideravo era riuscire, in qualche modo, a cancellare dalla mente la nube di ricordi che mi legava ancora a lei.
Avevo perso ogni interesse nella lettura di romanzi e di poesie. Persino lo scrivere, che avevo sempre trovato liberatorio, una corsa sfrenata nella fantasia entrando in una nuova dimensione, mi risultava pesante, talmente tanto da non riuscire a stendere nemmeno una frase di senso compiuto.
Già, diventare uno scrittore professionista era uno dei sogni che mi scintillavano nella testa fin da quando ero ragazzino. Fu ai tempi della scuola elementare che, su consiglio della mia insegnante di italiano, lessi il mio primo libro: una storia d’amicizia tra un mostriciattolo simile a un ragno e un bambino della scuola elementare. Da allora, lettura e scrittura si erano abbracciate dentro di me, facevano parte del mio stare al mondo, della mia stessa anima.
La stessa Marina gradiva questa mia vocazione e mi spronava a insistere nello stendere quello che, in futuro, sarebbe potuto diventare il mio primo romanzo. Ora, avendola persa inesorabilmente, era come se avessi perso anche la mia più grande ispirazione. Bere e fumare, avvelenare mente e anima pur di dimenticare: queste erano le mie principali attività in quel periodo.
La sera, che arrivava sempre troppo lentamente, tendevo a uscire di casa per sfogare i nervi con una lunga passeggiata tra le ombre della città. La vita notturna triestina mi accoglieva a braccia aperte, senza però avere un granché da offrire: ragazzi e adulti si addossavano nei bar o nei vicoli adiacenti a bere e a chiacchierare. Tra quei volti sorridenti o rilassati, si celavano mondi a me sconosciuti, di paure, insicurezze, fragilità. Il tutto coperto molto bene dalle maschere dell’ essere umano.
Come spettro della notte, chino su me stesso, vagavo senza meta apparente, soffermandomi nei locali del centro bevendo birra e vino, alternandoli alle sempre presenti sigarette.
Ogni mia passeggiata notturna terminava sempre in Piazza Barbacan, una pozza d’asfalto tra i palazzi sovrastanti la città vecchia. Era luogo di ritrovo della gioventù triestina, grazie soprattutto ai numerosi locali presenti.
Anche quella sera, approfittando del bel tempo, ebbi la fortuna di trovare un posto a sedere in un angolo di un bar, in testa alla piazza. La giovane cameriera impiegò cinque minuti a manifestarsi e le ordinai uno spritz bianco senza ghiaccio. Naturalmente, ero già ubriaco, con la mente che scivolava in un dolce oblio.
Il chiacchiericcio concitato dei molti giovani presenti sembrava un nugolo di zanzare che mi tempestava i timpani; spesso, qualcuno esplodeva in una sonora risata e, da qualche parte, un bicchiere in vetro si frantumava a terra.
Ricordo di aver afferrato il bicchiere di spritz e di aver scolato un grosso sorso quando, abbassando il capo sulla piazza, vidi una figura a me familiare farsi largo tra i presenti. Ci misi qualche secondo a riconoscerlo. Era quello strano tizio che ebbi modo di conoscere proprio lì, qualche sera prima.
Ottenebrato dall’alcol, non mi riuscì di ricordare subito il suo nome.
L’uomo doveva avermi intravisto da lontano, perché scivolò tra gli astanti e, sorridendo, mi si fece incontro.
– Ci incontriamo di nuovo -, commentò fermandosi a un passo dalla sedia vuota.
– Così pare -, mormorai in un modo che sembrava più un rutto alcolico.
– Posso sedermi? –
– È un mondo libero, no? –
Scostò la sedia con calma e prese posto. Beveva anche lui uno spritz bianco, ma col ghiaccio che tintinnava nel bicchiere.
Restammo in silenzio per un po’ di tempo, scambiandoci solo qualche occhiata di sfuggita.
L’uomo aveva circa sessant’anni, un fisico taurino dalle spalle larghe, folti capelli bianchi e due occhi di un azzurro intenso, talmente vivaci e luminosi che persino le basse luci della sera non riuscivano a smorzarli.
– Non ricordo il tuo nome -, ammisi dopo un po’.
– Mi chiamo Orando. Immagino non sia un nome semplice da ricordare. –
Avevo raccontato tutto a quell’uomo qualche sera prima: gli avevo raccontato di Marina, della nostra storia finita, perciò mi aspettavo qualche possibile domanda in merito. Invece, Orando si limitò a sorridermi e continuò a bere in silenzio.
– Sto perdendo me stesso -, brontolai a sorpresa, senza un motivo apparente; era più uno sfogo della mia anima martoriata dal dolore.
– Sono in molti a farlo. Ma l’importante è cercare un modo per ritrovarsi. –
– Ti è mai successo di perderti? –
– Sì, in passato sì, è successo diversi anni fa. –
– E cos’hai fatto? –
Orando prese un respiro profondo. Mi guardò dritto negli occhi.
– Ho scoperto lo Zen. –
– E cosa significa? –
– Lo Zen è un insegnamento che va al di là delle parole; rivela l’essenza della mente dell’uomo. Attraverso lo Zen un uomo riesce a vedere nella propria natura e, con impegno e disciplina, può raggiungere il Satori, l’Illuminazione. –
– E c’è un modo per studiarlo? –
Orando contrasse il volto in un sorriso pacifico. Sollevò il suo bicchiere e iniziò a versare lo spritz nel mio. I cubetti di ghiaccio scivolarono come piccoli iceberg. Lo guardai senza reagire.
L’uomo continuava a riempire il mio bicchiere di spritz senza fermarsi. Osservai la bevanda che stava traboccando e colando sul tavolo di legno.
– Ma cosa fai? Non vedi che non ce ne sta più? –
Allora Orando si fermò, mentre una chiazza nera si stava allargando alla base del tavolo.
Fissò i suoi occhi lucenti dentro ai miei, il suo sorriso non si spense.
– Come questo calice, tu sei colmo delle tue opinioni e preconcetti. Come posso mostrarti lo Zen se non svuoti il tuo bicchiere? –
Rimasi interdetto per alcuni secondi, a osservare con sguardo vacuo il bicchiere traboccante.
Orando esplose una risata cristallina. Poi si allungò sul tavolo e mi diede una pacca sulla spalla.
– Ne vuoi un altro? Offro io. –
Ancora interdetto dalla sua dimostrazione, riuscii solo ad annuire con la testa. Allora Orando alzò una mano facendo un cenno alla cameriera.
Il resto della serata proseguì in un calmo silenzio, per niente imbarazzante.
E quando si fecero le tre di notte e i locali iniziarono a chiudere, ci salutammo con il proposito di rivederci in quello stesso luogo un’altra volta.

(CONTINUA)

RINGRAZIAMENTI:

Desidero ringraziare molto Rebecca Campisi per avermi suggerito il personaggio di Orando dopo una lunga serie di riflessioni.

Qua trovi i libri dell’autore Davide Stocovaz.

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1 commenti a Orando – Un bicchiere di spritz

  1. massimiliano ha detto:

    Bel racconto, breve, diretto ed essenziale senza fronzoli inutili, e anche un bel concetto da esplorare. Complimenti mi sono divertito. Grazie di cuore
    Massimiliano

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