Linea 12 (Ex O.P.P. – Borgo S. Pelagio)
Credo di non aver mai fatto caso a questo piccolo autobus parcheggiato in Piazzale Gioberti, scansato dai più importanti 6 e 9 che dal rione di San Giovanni (un tempo meta delle passeggiate in campagna) portano i triestini fino alla costa.
Eppure eccolo lì, porte aperte e un percorso interessante.
A bordo sono l’unico under 70, circondato da una fitta selva di anziane, capelli cotonati e immancabili borse della spesa. Si scambiano a gran voce aggiornamenti clinici e fisioterapici, in un festival del farmaco geriatrico che non teme orecchi indiscreti.
E poi sbuca lei. Avrà una cinquantina d’anni portati male, un paio di croc verdi ai piedi e un gilet nero come ostinata nota d’eleganza. Saluta tutti sfoderando gli unici denti che ha, entrambi sulla stessa fila, a comporre un sorriso vampiresco da mercato rionale. Accompagna ossessivamente i capelli dietro all’orecchio e va su e giù per l’autobus dribblando stampelle e vene varicose.
“La gavessi 20 centesimi che go de telefonar?” domanda in giro, finché una delle teste cotonate non l’accontenta. Lei scende dall’autobus ancora fermo ed entra nella cabina telefonica. La vediamo tutti mentre, cornetta cucita all’orecchio, discute animatamente con qualcuno, mentre controlla l’ora e ribadisce cose sbuffando qua e là. Insomma, mentre fa tutto ciò che chiunque di noi fa al telefono.
Eccetto comporre il numero.
“Cossa la vol” mi fa l’anziana spiandola da dietro i vetri “ghe go dà. Ma miga sempre, eh. Una volta me ga chiesto 5 euro, per una telefonada. Insomma, me pareva un poco tropo”.
Capisco subito che quest’autubus è uno dei tanti mondi a sé che gravitano per le strade di Trieste. Se la 13 mi era sembrata un paese su sei ruote, questo ha più l’aria di essere una calda osteria, di quelle profumate di vino e kren all’ora di pranzo.
L’autista (si chiama Boris e lo salutano tutti) mette in moto e scalda i motori. Via del Capofonte è ripida e stretta, quasi un sentiero verso una zona nascosta da alberi e curve troppo esigenti, così chiamata perché qui si trovava il “capofonte”, dal quale si diramavano le gallerie sotterranee dell’acquedotto teresiano che portavano l’acqua alle fontane del centro.
Le anziane scendono una dopo l’altra, in un affaticarsi cauto di giunture, e appena mettono piede fuori vengono spintonate dai refoli di borino. Ho visto sedani e carote ballare il rock’n’roll in quelle borse di plastica.
L’autobus è quasi scarico. Nei pressi della piazza, gente nuova è pronta a salire. È il cambio della guardia, perché la 12 ha questo di particolare: il suo percorso è diviso in due, e così i suoi passeggeri. Era il turno degli anziani, ora tocca a loro.
Tatuaggi, piercing, zaini: un’insalata mista di studenti e lavoratori occupa posti ancora caldi. Anche loro salutano l’autista, e qualcuno si appende alla sbarra per una chiacchierata. Ma siamo pur sempre diretti verso l’ex manicomio, e ben altri personaggi devono entrare in scena.
Già ubriaco, 40 anni intascati da qualche parte, sembra scomparire dentro a quel maglione troppo grande. In mano ha una bottiglia di Coca Cola piena d’acqua, che non beve. Punta in giro il naso graffiato, grignando tra sé il suo essere di estrema destra. Chi gli siede di fronte indossa grosse calze bianche in pendant con i capelli, il braccio appeso a una stampella per la gamba malconcia. Quando il “destrorso” mi borbotta anagrammi di anatemi, l’altro mi strizza l’occhio per rassicurarmi che in realtà è innocuo. Poi gli risponde, svelando una voce rauca forse ancora più incomprensibile della sua. Ma tra loro si capiscono che è un piacere.
La 12 imbocca l’ingresso dell’ex Ospedale Psichiatrico: costruito nel 1908 con una struttura a padiglioni (moderna all’epoca), divenne ben presto luogo dove rinchiudere gli elementi ritenuti pericolosi per la società. È qui che, dal 1971, Franco Basaglia diede il via alla sua sperimentazione. Oggi un piccolo autobus sfiora padiglioni abbandonati a braccetto con quelli risanati, gestiti da diverse realtà cittadine (come l’azienda sanitaria e l’università).
Su una delle tante curve, sotto gli occhi di Marco Cavallo, l’autobus inizia a fumare. “E’ l’acqua” dice l’autista senza scomporsi. Il fumo entra in vettura, avvolgendo una ragazza che, dimenticata sui sedili posteriori, continua impassibile a parlare da sola. Una coppia di carabinieri non fa caso a noi né alla nostra lunga scia vaporosa, che ci segue come lo strascico di una sposa.
La 12 è un aereo in avaria che raggiunge testardo il capolinea. Due manutentori sono già sul posto pronti al lavoro; in un baleno diventano l’attrazione degli uomini stanati dai bar, con mani annodate dietro la schiena e piedi infilati in sandali e calzini (retaggio crucco? Mi piace vederla così).
Torno a casa nel sole, con la consapevolezza che la mia città sia impeccabile nel lasciar intravedere se stessa, soprattutto negli angoli meno in vista.
Scritto ascoltando “Frizzle Fry” dei Primus
Complimenti per “Frizzle Fry”, autentco capolavoro!
Questo xe il più bel post tuo che go leto finora sula TT. Desso voio ciapar anche mi quel bus.
Grazie Dario, no te se pentirà della 12 😉
me aggrego ai elogi meritatissimi. Me vien anche mi voja de saltar su un autobus che(come te lo descrivi ti ) si chiama…poesia!
e se la TriesteTrasporti no fa de ti el suo aedo e no te “mecenatizza” la pubblicazion de un libro la ga perso un’opportunità irripetibile.
Xe dal primo articolo che su twitter taggo la Trieste Trasporti. Silenzio di tomba… 😉 Grazie Fiora!
Ottimo articolo. Da utente della 12 confermo parola per parola. E i sedani rock en roll sono un’immagine degna della miglior letteratura! 🙂
chissà perché 😉 gavessi caro che te me regaleria qualche emozion riferida alle linee 42( -4-6 indiferente ) e 26.
Farne altrettanti “streetcars named desire”? sarà dura!
Te sfido! 🙂
…. forsi se te me le riscati un bicc, molo l’auto e me ciogo la tessera mensile.
CAPITO T.T.?????!!!!!
mi adoro sta rubrica.
desso secondo mi manca la ciliegina postgrungerock: la 10 dele 7.42 coi muli che va a scola e i veci che li manda remengo. o quela dele 13.14, cole storie del ritorno (ciò che stronza quela de italian, me ga piconà, ciò te ga visto Piosem, se ga missià con Ziasquin propio davanti de Congen…)
mitico.
Sulla 6 ghe go provà, ma tuti se fa i afari sui, e i altri parla solo che crucco perché xe turisti che va a Miramar…
eh, ma la 6 xe poco rapresentativa de quel mondo.
sula 10 dele 7.42 da valmaura xe tute le nagane mujesane, le tare de borgo, le bobe de valmaura e le legere de servola, figon! 😉
no sta pensar, manna. quel che xe la 10 per le scole italiane, xe la 6, la 9 e la 35 per le superiori slovene.
ti caro skaiosgaio va là ‘ndove che ti porta il cuore, ma almeno un abonamento anual in omagio,giusto per no farse nasar,l’Azienda dovessi cacciarlo ,no?!
e sula 6, 9 e 35 se senti sto strepitoso sloven parlà in triestin, tipo: “Čò, sem študiral cel noč in šta štronca mi je pikonirala comunque. Ma tanto ormai znam, da me bo bolirala, baštarda de baba!”
mi lo sentivo de picio sula 4, me fazeva un casin rider 😀
sula 6 dopo pranzà devi esser un bel casin d’estate (estate? forsi riva una el prossimo ano)
cussì tanto per curiosità inteletuale…a che ora xe più squinzie sula linea che passa per l’università?
Me ricordo la 17 quasi sempre piena, soprattutto la mattina (piena anche de controllori!)
@15
sula 42 stesso fantasioso divertentissimo mismas idiomatico,sfsn!
Abitavo in borgo S.Pelagio quando ero piccolina e la via che arrivava al borgo si chiamava Via alle Cave e noi non avevamo idea di abitare in Borgo S. Pelagio e le case non erano state ristrutturate. Si andava alla scuola elementare e a fare la spesa ogni mattina a piedi e si risaliva a piedi. È stato grazie alle mamme dei numerosi bambini che all’epoca abitavano nel borgo che fu istituita la linea 12, dopo non poche richieste e proteste e piccole manifestazioni con i bambini che sostenevano cartelli del tipo: dateci l’autobus per andare a scuola!
Noi abitanti della parte alta di S.Giovanni la sentivamo così nostra questa linea che più di una sposa arrivò in autobus davanti alla chiesa di S.Pelagio dopo aver concordato con l’autista una corsa con una fermata “speciale”.
Un tempo, prima che esistesse il biglietto orario, chi arrivava in Piazzale Gioberti con le linee 6 o 9 poteva salire sulla 12 con lo stesso biglietto, perché la corsa su quest’ultima era intesa come un prolungamento delle corse delle due linee maggiori.
Scusate l ignoranza, dove trovo gli altri? Complimenti. Avevo voglia di sorridere un po’
Grazie Giuliana, è molto interessante. Mi sono permesso di condividere questo tuo ricordo sulla pagina facebook del mio blog (https://www.facebook.com/Mezzinudi)
@21 Letizia gli altri articoli o qui: https://bora.la/autore/fabio-marson/
o qui: http://mezzinudi.com
Ciao!
…che refoli de vite su sta rubrica de “in-bus-ahi” !
complimenti !!!
(devo dir che i commenti che poi se accumula xe la spirale del morbin triestin e de come el vedi el mondo: “quel ocio particolar fatto de particolari”…)