Il Collio goriziano è stato recentemente oggetto di promozione turistica, per la neo inaugurata rete ciclabile già citata su Bora.la.
Domenica pomeriggio, cartina alla mano, sono andata in bici sul Collio a esplorare i nuovi percorsi. Partenza dalla stazione di Cormons, inoltro sui percorsi messi a nuovo presso La Subida, e passaggio attraverso la Piana del Preval.
Le vie e i percorsi sono stati riassestati con la ghiaia, i dissuasori di legno, le piazzole di sosta e le panchine che intendono essere “di design”. La Piana del Preval era una zona paludosa fino agli anni Quaranta del secolo scorso. La trasformazione in campi coltivati è stata parte delle bonifiche volute nel Ventennio. Oggi, in rappresentanza della ex zona umida, sono rimasti soltanto alcuni invasi d’acqua, in parte nascosti e non accessibili, e che presso Mossa sono stati usati come riserva di pesca.
Sbircio tra i canneti dei laghetti maggiori, scorgo grandi uccelli bianchi che si radunano sull’acqua. Mi fermo a visitare le vasche minori a metà strada tra il Torrente Versa e il Torrente Oblino, mi siedo a bordo stagno, accompagnata dal fruscio del vento. In questo stesso punto, l’anno scorso, avevo apprezzato una festa di api che passavano di fiore in fiore; quegli stessi cespugli, ora, li ho trovati secchi.
Tra le canne alla mia destra adocchio una coppia di grossi rospi, zampe maculate, occhi fissi verso di me. Un po’ troppo fissi, per essere intenti a mimetizzarsi. Mi alzo cercando di non far rumore, ma la cautela è superflua. Ormai son già col bastoncino in mano che cerco di stuzzicarli, e ho la conferma che sono stecchiti. Incollati uno sull’altro.
Con un po’ di disgusto noto che, quasi nel punto esatto in cui ero seduta, c’è un altro rospo secco, e a quel punto la curiosità mi apre gli occhi, e realizzo come tutto l’orlo dello specchio d’acqua sia diventato un cimitero di rospi. Esemplari da quindici centimetri l’uno, zampe incluse, ne conto una dozzina solo nel primo metro.
Cosa strana, spesso li vedo a coppie, aderenti come se si volessero compattare in formazione.
Questo aspetto mi fa venire il sospetto che la moria sia arrivata in tempi molto brevi. Avvelenamento? Attacco improvviso di un agente patogeno? Oppure si tratta di un evento che in questa stagione può essere naturale?
Un biologo o un tossicologo che volesse studiare il fenomeno, troverebbe gli esemplari ancora in uno stato di conservazione sufficientemente buono. Potrebbe analizzarne i tessuti, campionare l’acqua dello stagno, chiedere la rimozione dei rifiuti osservabili a pochi metri di distanza, oppure intervistare i viticoltori sull’ultima data di applicazione di fitofarmaci (posso pensare che una pioggia li abbia fatti concentrare negli invasi d’acqua oltre i livelli tollerati dagli anfibi?). Oppure potrebbe visitare le riserve di pesca dei “Laghetti rossi” di Capriva, andando a caccia di esemplari estranei alla catena alimentare locale, nell’ipotesi di effetti invasivi.
Le zone umide della nostra regione sono monitorate, tra gli altri, dai Tutori degli stagni. Tecnici e volontari seguono lo stato di salute dei luoghi ad alta presenza di specie locali, occupandosi di recupero ambientale, risanamento, ripristino e mantenimento di stagni naturali e artificiali, diffusione dell’informazione e sensibilizzazione dei cittadini sulle pratiche di tutela e valorizzazione delle zone umide.
Chi volesse approfondire il fenomeno qui segnalato, può farlo visitando il punto di osservazione indicato nella foto di seguito: stagno piccolo, il terzo dei quattro, zona Russiz di Sopra.
Brava Paola, bel lavoro. Hai provato a scrivere ai Tutori degli stagni? O a contattare qualche struttura pubblica? Non conterei solo su La Bora.
Potrebb’essere un caso di chitridiomicosi:
http://www.ecosistema.it/centroanfibi/ululone04%20-%20chitridiomicosi.htm
La malattia ha devastato le popolazioni delle rane in alcune zone del Regno Unito anche se sembra in regressione negli ultimi anni (forse le rane stanno diventando resistenti come i conigli alla myxomatosi).
Ci sono diversi casi analoghi accaduti questa primavera. In nessuno di questi ci sono i segni lasciati dal chitridio. Ciò non vuol dire nulla, ma senza verifiche bio-molecolari, o almeno sintomi compatibili, non è possibile parlare di infezione da chitridio. Se raccogliete campioni, comunque, surgelateli e fatemeli avere. Qualcosa si può tentar di capire. Segnalo a tutti, comunque, che estese morie di anfibi in amore possono avvenire anche per bruschi cali della temperatura. Trovare anfibi innamorati congelati non è infrequente. Luca Lapini.
@Leslie:
Sì ho contattato TutoriStagni e l’erpetologo (cioè l’esperto di rettili) di Udine
@Paul Tout: interessante la segnalazione, infatti una malattia a rapido decorso potrebbe essere coerente con l’aspetto che ho osservato, degli animali in posizione naturale e non scomposta (ma con ulcere – ve ne ho risparmiato le foto più esplicite), e come ipotesi di lavoro forse meriterebbe anche una indagine per la sua possibilità di diffondere verso altre specie (tipo nelle riserve di pesca dei “Laghetti rossi” di Capriva)
@Luca Lapini:
grazie per il commento (infatti è lui l’erpetologo, ovvero esperto di rettili & anfibi, di cui parlavo: mica un commento qualunque!)
interessante
Le morie di anfibi in periodo primaverile sono un fenomeno complesso con spiegazioni spesso varie e sorprendenti.
Due di esse sono già state ricordate: la chitridiomicosi (attualmente rilevata in FVG in un numero limitato di casi che non hanno portato a estinzioni di massa) e le gelate tardive e repentine che avvengono dopo un primo accenno di primavera (è quanto avvenuto quest’anno: anfibi in migrazione in massa con piogge sciroccali attorno al 20 febbraio e poi vento secco e gelate ai primi di marzo).
Tuttavia le cause possono essere ulteriori, ne citerò solo alcune, tutte già riscontrate personalmente nei nostri territori.
1) Gli anfibi (soprattutto i rospi e nella foto dell’articolo si vede un maschio di rospo comune, Bufo bufo) hanno in zona inguinale un tratto di pelle particolarmente sensibile e permeabile all’assorbimento. Ciò li aiuta in fase terrestre ad assorbire umidità dal suolo per non disidratarsi e a rilevare (“sentire”) alcune caratteristiche di acqua e suolo. Quando questi animali in migrazione riproduttiva attraversano un campo o un vigneto recentemente cosparso di concimi chimici (quei granuli chiari che gli agroindustriali spesso spargono proprio prima delle piogge) assorbono una tale quantità di nitrati e sali di potassio che spesso risulta loro letale, dopo qualche ora di agonia (e quindi non muoiono nei campi ma qualche centinaio di metri più oltre).
2) Uno sversamento di sostanze inquinanti mentre gli anfibi sono già in acqua in amore (altrimenti, “innamorati sì, ma tanto scemi no”, difficilmente entrano in acque avvelenate, grazie proprio alla loro capacità cutanea ed olfattiva di rilevarle).
3) La gran quantità di animali in movimento attira pure una massa di predatori o potenziali predatori che spesso, un po’ come accade ad alcune faine o volpi in un pollaio, uccidono nell’eccitazione più animali di quelli che poi possono o vogliono mangiare. Ciò accade soprattutto con i rospi, che da molti non sono particolarmente appetiti, e che quindi vengono a volte solo uccisi a beccate o artigliate da corvidi, aironi, allocchi, anatre, oche, tacchini o poiane e poi solo parzialmente o per nulla consumati (nel rospo della foto sembra di vedere una grossa ferita in zona scapolare destra). Famoso il caso dei “rospi esplosivi di Amburgo” della primavera 2005 (www.independent.co.uk/news/world/europe/stone-the-crows-exploding-toad-case-solved-489894.html) dove una manciata di corvi uccisero (bucandogli e mangiandogli solo il fegato) addirittura un migliaio di rospi (che poi si gonfiavano di dolore sino a scoppiare).
Un caso simile (a scala molto minore) si è avuto lo scorso anno al Civico Orto Botanico di Trieste dove uno sparuto gruppo di cornacchie grigie ha fatto fuori quasi tutti i rospi comuni adulti in riproduzione nelle vasche (quest’ anno, anche grazie ai monitoraggi del collega Maurizio Bobini, sembra tutto sia a posto).
4) Infine il caso più meschino, ma da non escludere: il gran numero di animali in riproduzione attira anche degli Homo (sapiens?) dotati di particolare sadismo. Nel marzo 2005 a Villa Giulia (Trieste) e nel giugno 1998 a Sella Sompdogna (Udine) un paio di adolescenti imbecilli fecero fuori da soli “per divertimento” centinaia di rospi smeraldini e tritoni alpestri (sassate, bastonate, calci, flobert).
Le cause possibili sono quindi molte e, come è stato giustamente ricordato, è bene portare a conoscenza “le emergenze ambientali ai Musei di Storia Naturale competenti per territorio”, come giustamente recita la L.R. 60/76.
Vale la pena ricordare, come si rileva anche dal già linkato sito dei Tutori Stagni, che in Regione vi sono 3 Musei di Storia Naturale: Udine (a cui, con 4.905 km2 di territorio provinciale, spetta la raccolta dati maggiore), Pordenone (2.178 km2, meno della metà di Udine), e Trieste (pur monitorando anche Gorizia, solo 678 km2, meno di un settimo di Udine).
Attesi questi obblighi va poi ricordato che la raccolta di animali deceduti è ora regolamentata dall’articolo 13 del D.P.R. 74 dd 20/03/09 (Regolamento attuativo Art. 96 L.R. 9/2007).
Ricordo, per chi volesse saperne di più, il corso:
“GESTIONE E CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ NELLE PICCOLE ZONE UMIDE D’ACQUA DOLCE”
che la Società Erpetologica Italiana e l’European Pond Conservation Network
terranno al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste dall’ 11 al 16 aprile (info: sportellonatura@comune.trierste.it).
Salute e felicità,
Nicola Bressi
(Commissione Conservazione Società Erpetologica Italiana,
Conservatore Museo Civico di Storia Naturale di Trieste)
molto interssante, bell’intervento
dovrebbe essere la Polizia Provinciale competente in questo caso
Mitico Nicola Bressi, grazie per tutte le informazioni aggiunte!