Nel 2002 a Cuba con Eliades Ochoa dei Buena Vista Social Club
11 Settembre 2023

Intervista a Piero Purich, storico per studi e musicista per passione

el sunto La bella intervista di Maria Fuchs a Piero Purich, storico e musicista

Saxofonista, musicista e anche storico, Piero Purich fino al 2017 era conosciuto come Piero Purini, in seguito ha ripreso il cognome d’origine della sua famiglia, italianizzato forzosamente nel 1929.
Come saxofonista ha collaborato con innumerevoli musicisti locali ed internazionali, mentre come storico ha pubblicato diversi libri tra i quali “Metamorfosi etniche” nel 2010 e più recentemente “La farina dei partigiani”.

Cosa la identifica meglio e come si sposano queste sue due competenze?

Innanzitutto diamoci del tu. Faccio molta fatica a definirmi. Direi che sono storico per studi e musicista per passione. Tenere insieme questi miei due aspetti, così differenti, è piuttosto difficile: l’unica volta in cui sono riuscito a farli coesistere senza schizofrenie è stato nel 2015, quando ho allestito lo spettacolo “Rifiuto la guerra. Pacifisti, renitenti, disertori ammutinati: la grande guerra dalla parte di chi cercò di evitarla”, una conferenza-concerto assieme a Aljoša Starc-piano, Olivia Scarpa-fagotto e Paolo Venier- voce.

Ci racconti di questa esperienza?

Negli ultimi anni faccio il pendolare tra Trieste e Ronchi, paese di mia moglie, per cui mi capita spesso di passare davanti al sacrario di Redipuglia. Nel vedere quelle centinaia di migliaia di persone morte per (e in) un pezzo di terra che non sapevano nemmeno dove fosse, ho sempre provato un senso di pietà e di rabbia: penso a  uomini strappati alle loro famiglie, a contadini strappati alle loro terre e obbligati ad uccidere o morire. Sono convinto che la diserzione fosse l’atto più coraggioso per restare umani. Ho studiato la prima guerra mondiale, le vicende dei renitenti, dei disertori e degli ammutinati e ho pensato di creare una narrazione storica inframmezzata da brani di rivolta di tutti gli eserciti coinvolti. Si tratta quindi di uno spettacolo plurilingue, in cui sullo sfondo del palcoscenico vengono proiettate le traduzioni dei testi cantati, assieme a quasi duecento foto originali che illustrano le reali condizioni dei soldati.

Sei stato anche insegnante anche di teoria e composizione musicale (piccolo ricordo personale nell’anno 1997/98, abbiamo composto insieme un brano musicale intitolato ”Nada y Todo”, un esperienza che mi ha dato moltissimo).

Ricordo con grande piacere e affetto il mio periodo di insegnante alla Scuola 55, era la scuola in cui avevo studiato musica anch’io e devo moltissimo soprattutto a Gabriele Centis e Fabio Mini che per me sono stati dei grandi maestri sia da un punto di vista musicale che umano, oltre che dei carissimi amici. Credo inoltre di aver imparato tantissimo proprio dai miei allievi, dato che siete stati voi a insegnarmi a insegnare. Nello specifico il corso che hai frequentato tu è stato una specie di esperimento: doveva essere un corso di teoria e solfeggio, ma ho capito presto che gli allievi, in gran parte dopolavoristi, non avevano né il tempo, né la voglia di studiare la lettura musicale. Allora, dopo aver sondato gli interessi dei partecipanti, di comune accordo abbiamo deciso di modificare il corso: avrei spiegato come si “tirano giù” le note e gli accordi di una canzone. Il corso si è trasformato in “teoria e composizione” ed è stato utile sia per gli allievi che per me, perché in corso d’opera ho capito molti trucchi e regole armoniche. Alla fine, come ricordi tu, siamo riusciti a comporre tutti assieme un brano più che valido, che poi è stato eseguito durante il saggio di fine anno.

Sei stato anche un musicista nel celebre Pupkin Kabarett. Cosa ti ha dato?

Sono stati vent’anni di divertimento e di grande soddisfazione. Oltre che con il cast di Pupkin ho avuto il privilegio di lavorare assieme a grandi professionisti, quali Paolo Rossi, Bebo Storti, Antonio Cornacchione. Inoltre ho imparato molto dai miei colleghi della Niente Band, in particolare da Flavio Davanzo e Riccardo Morpurgo che ritengo tra i migliori musicisti in Italia. I lunedì sera avevamo solo qualche ora per preparare brani diversi ad ogni spettacolo, è stata una palestra davvero impegnativa, ma molto gratificante: ho appreso tantissimo da un punto di vista musicale ed artistico.
Purtroppo dopo il Covid, quando lo spettacolo è ripreso, non sono stato più convocato: dopo vent’anni di collaborazione non c’è stata nemmeno una telefonata di spiegazione, ringraziamento o commiato. Devo confessare che questo finale mi ha lasciato dentro una grande amarezza.

I tuoi prossimi impegni?

Continuo a collaborare con diversi gruppi ed ensemble, ma quelli che mi stanno più a cuore sono due: l’Etnoploč trio, assieme ad Aleksander Ipavec–Ipo alla fisarmonica e Matej Špacapan alla tromba e il gruppo sloveno Dej Š’en Litro. Con i primi facciamo un repertorio che spazia nella musica etnica di tutto il mondo: klezmer, balkan, tango, jazz, blues più brani di nostra produzione difficilmente etichettabili. I  Dej Š’en Litro (la traduzione dallo sloveno significa “Dai, ancora un litro”, tutto un programma…) sono un gruppo di trubači, cioè di strumenti a fiato, con cui facciamo musica di tutta la ex Jugoslavia. Con loro ho avuto l’onore di suonare nel 2004 al leggendario festival di Guča in Serbia. Siamo stati il primo gruppo sloveno a partecipare al festival e abbiamo ricevuto il secondo premio come gruppo straniero (cioè non serbo). Sono anche stato premiato come miglior sax tenore del festival: poi mi hanno spiegato che tutti gli altri gruppi avevano solo sax contralti…
Sia con gli Etnoploč che con i Dej Š’en Litro, dopo gli anni catastrofici del Covid, abbiamo ripreso a suonare con una certa frequenza (comunque inferiore a prima del 2019). Purtroppo le occasioni di suonare in situazioni dignitose a Trieste sono molto poche (considera ad esempio che nei Dej Š’en Litro siamo dai sette ai dieci elementi e a volte ci è stato proposto di suonare senza nemmeno un rimborso spese benzina adeguato per i lubianesi), perciò con entrambi i gruppi mi capita molto più spesso di suonare in Slovenia, in Austria, in Friuli o, nelle vicinanze, in Bisiacaria.

Hai dei concerti che ti sono rimasti particolarmente impressi?

Ce ne sono diversi per motivi differenti: a Guča ho suonato davanti a cinquantamila persone, una sensazione impressionante. Come posti più suggestivi direi il castello di Schönbrunn a Vienna e a Venezia su una barca storica durante la Festa del Redentore, proprio sotto al Palazzo Ducale. Come storico, invece, ricordo l’emozione e il rispetto quando ho fatto uno spettacolo nel campo profughi libanese di Sabra e Chatila, vicino a Beirut, dove nel 1982 sono stati massacrati centinaia di palestinesi. Ma non voglio finire con una nota così triste: nel 2003 ho suonato nella Casa della Trova di Santiago de Cuba, il posto dove sono nati i Buena Vista Social Club. Mentre stavo suonando con dei musicisti locali si è aggregato al gruppo Eliades Ochoa, uno dei fondatori del leggendario gruppo cubano, che alla fine mi ha detto: “Raramente ho sentitio suonare ‘Hasta siempre’ con questo trasporto.” E’ stata una soddisfazione enorme.

 

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