A passare come “il regista salva-migranti”, Andrea Segre non ci sta.
Eppure mercoledì c’era anche lui a Gorizia nella cordata di (poche) persone che si è mobilitata per scongiurare la tragedia: con le forti piogge il fiume Isonzo minacciava di esondare, rischiando di trascinare via con sé gli oltre cento profughi che da mesi non trovano altra “casa” che i suoi argini.
Il primo a denunciare l’assenza delle istituzioni di fronte all’emergenza è stato proprio lui, il regista originario di Dolo, nei giorni scorsi in Friuli Venezia Giulia per presentare il suo ultimo documentario, “I sogni del lago salato”.
«Lunedì sera ero a Gorizia per presentare il film e l’indomani sono andato a visitare “la giungla” dell’Isonzo. Ne avevo sentito parlare sia dagli attivisti sia dagli stessi richiedenti asilo: vivono sugli argini del fiume in attesa che la Commissione territoriale decida sul loro diritto di protezione. Secondo lo Stato italiano dovrebbero nel frattempo avere diritto all’accoglienza, invece di fatto sono abbandonati a se stessi e non hanno potuto fare altro che accamparsi lungo gli argini dell’Isonzo. Afghani e pachistani: tende della Caritas come tetto, falò come riscaldamento. Poi li ho lasciati: dovevo andare a Trieste, sempre per un’altra tappa di presentazione del documentario. Ma mercoledì mi sono svegliato con una loro telefonata: avevano paura del fiume che si stava ingrossando».
Il resto è cronaca. A fare cordata una decina di persone, fra cui l’assessora provinciale alla Cooperazione Ilaria Cecot, i volontari delle associazioni “Ospiti” di Udine e “Insieme con voi” di Gorizia, gli attivisti dei Centri sociali e di altre associazioni in difesa dei migranti.
Giunti sul fiume, li hanno chiamati uno ad uno. Racconta l’attivista Luca Tornatore: «Nessuno aveva pensato di avvisarli del rischio che correvano. Alcuni bisognava convincerli a venir via: tutto ciò che avevano, tende bagnate di fango in riva a un fiume in piena».
Prima li hanno portati all’entrata dei padiglioni di SposaExpo, poi da lì all’asciutto della stazione ferroviaria. Sempre Segre racconta che gli aiuti delle istituzioni sono arrivati in ritardo, e che c’è voluta la pressione da Roma del senatore Luigi Manconi – presidente della Commissione Diritti Umani- affinché la Prefettura di Gorizia trovasse una soluzione.
Il coniglio estratto dal cilindro si chiama di nuovo “Cie” e ha sempre sede a Gradisca. In regime di Cara, ma fatto sempre di grate. I numeri snocciolati: con il trasferimento di circa 185 profughi a Gradisca, l’ex Cie ora conta 150 persone; l’adiacente Cara 205. Praticamente più di 350 richiedenti asilo stanno nel comune di Gradisca, 6.500 anime.
E le istituzioni? Litigano.
Secondo l’assessora provinciale Cecot «nel territorio serve un punto di prima accoglienza stabile, e non può essere il Cara, perché le procedure per ottenere il diritto di asilo possono durare anche un anno e mezzo… C’è bisogno di un centro più fluido, dove identificare le persone da dirottare poi all’accoglienza diffusa». Poi l’affondo: «Questa emergenza era tutt’altro che imprevedibile: da un anno queste persone dormono sul fiume e non si è mai voluti arrivare a una soluzione a causa della ritrosia del sindaco di Gorizia, Ettore Romoli». Quest’ultimo si difende: «A chi mi dice che non voglio i migranti rispondo che il piano regionale ne prevede 70 per Gorizia: non è che non li voglio, è che voglio il numero che mi spetta. Ci vuole una distribuzione più equa sul territorio provinciale e regionale». Nel frattempo, il suo assessore Del Sordi organizza la manifestazione “Scacciamoli”.
Pure per la sindaca di Gradisca, Linda Tomasising, l’ex Cie non può essere una soluzione. «Una volta svuotata Gorizia, lì i migranti continueranno ad arrivare. Ci vuole un protocollo per organizzare la prima accoglienza e dare ai migranti le indicazioni corrette: hanno paura di allontanarsi da Gorizia dove devono materialmente sbrigare le pratiche per ottenere i documenti>».
Oltre all’ex Cie, un’altra soluzione era stata proposta dalla Provincia, che ha offerto una sua proprietà, il Padiglione A nel comprensorio del Parco Basaglia.
Spiega il presidente Enrico Ghergetta: «L’offerta era valida solo se la Prefettura ci avesse fatto espressa richiesta scritta specificando il periodo richiesto e le forme di gestione previste, ma tale richiesta non è mai pervenuta. Appare chiara una incapacità di programmazione delle istituzioni preposte all’accoglienza, Prefettura in primis, che allora come oggi ci fa dire che questo sistema è fallito e che l’accoglienza andrebbe tolta alle Prefetture e trasferita alle Regioni, possibilmente con la individuazione di un commissario straordinario regionale».
A tagliare la testa al toro l’esperto sui temi del diritto d’asilo, Gianfranco Schiavone, che presiede l’Ics, il Consorzio italiano di solidarietà: «Qui la legge non viene rispettata: il decreto 142/2015 prevede la prima accoglienza, che a Gorizia ancora non c’è».
Qui il racconto di Andrea Segre: http://andreasegre.blogspot.it/2015/10/gorizia-friuli-italia-la-vergogna.html
C’è un carosello per la Rai sul fumo di sigarette…..chissà se il nostro regista lo ha visto?
@John, chiedo venia, ho preso io questa foto, ero più concentrata sui contenuti!
regista salva migranti.. co tuti i cisti nostrani inveze ? me xè i clandestini che paga le tasse co cui vien dopo finanziado el zinema in sto Paese de furboni ? ah xè che ieutar i domaci no fa “social” no fa sinistroide pensar ai autoctoni..