10 Settembre 2014

Giro nella Storia: vietato filmare a Vimy

el sunto A piedi da Londra a Trieste, sui luoghi della Grande Guerra. Nella sesta puntata del suo diario, Nicolò Giraldi si ferma al Vimy Memorial.

Prima di arrivare a Vimy, a qualche chilometro da Notre Dame de Lorette, mi ritrovo a camminare in un piccolo sentiero infangato dove all’improvviso cominciano i primi segni di presenza canadese. Givenchy-en-Gohelle è un piccolo cimitero dove riposano alcune decine di soldati ed è rappresentato nella classica e bianca forma lapidaria che le nazioni del Commonwealth decisero per i loro caduti.

Piove maledettamente. Piove ancora. Non smette da qualche giorno. Quando finalmente da ovest entro nel territorio del Vimy Memorial, la prima cosa che intravedo sono cartelli che segnalano la presenza di ordigni inesplosi un po’ dappertutto. Sulla destra un cartello in prossimità del monumento alla Divisione marocchina parte del XXXIII corpo d’armata francese mi mette in guardia spiegandomi “Entrée interdite, munitions non éclatées”.

Un’altra targa mi riporta in Dalmazia per un attimo. Il monumento di Vimy, infatti, è stato ricavato dalla pietra bianca di una cava nei pressi di Traù, vicino a Spalato. Due piloni alti più di trenta metri ricreano la doverosa sensazione del sentirsi piccolo nei confronti del ricordo. Esattamente quello che delle scolaresche belghe non fanno.

Tiro fuori la telecamera e salgo i gradoni guardato a vista dalle statue meravigliosamente scolpite che sembrano realmente delle guardie. Bianche, bagnate dalla pioggia, sembrano non rendersi conto dell’ignoranza dei professori che accompagnano questo circo di inconsapevole giovinezza. Chiedo così, per curiosità, se conoscono la storia di queste zone ed il perché stiano visitando il memoriale. Mi dicono che si, in Belgio si studiano bene le vicende delll’Intesa. Ok, grazie. Ho capito. Ho capito che non c’avete capito praticamente niente.

Passare qualche giorno di vacanza, via da casa, via dal Belgio, via da tutto. Anche per i professori. D’altronde la sensazione che ho dimentica di com’eravamo quando ci portavano su l’Hermada, alla foiba di Basovizza, in Risiera o al castello di Gorizia. Giornate che significavano la libertà più assoluta. Lo capisci quando sei grande. Quando ti appassioni alle storie di casa tua. O di quelle di casa degli altri. Lo capisci da grande. Non prima. Ed è proprio per questo che mi preoccupa maggiormente la poca convinzione dei professori nel cercare di mantenere la calma. Non quella degli studenti entusiasti di correre su e giù per i gradoni del monumento.

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Quando scendo trovo alcuni turisti canadesi che fotografano. Mi chiedo da dove arrivo. Spiego il viaggio in quattro parole e condividiamo il pensiero sul silenzioso rispetto da avere in luoghi come Vimy. Chiedo loro di farmi una fotografia sotto i piloni. Scattano. Ringrazio e scendo verso il centro visite. A qualche centinaio di metri mi fermo per fare delle riprese. Piove ma queste immagini danno ancora di più il senso di cosa volesse dire trovarsi su questa collina tra il 9 ed il 12 aprile del 1917.

Mentre filmo arriva una macchina della sicurezza. Mi chiede se sono un giornalista e per quale motivo sto filmando. “We’re going to produce a documentary in Italy”. “That’s good, but follow me” mi dice l’addetto che mi carica in macchina e mi porta giù in direzione. Filmare a Vimy senza l’autorizzazione è da considerarsi cosa non gradita. Un po’ quello che non lontano da casa, al sacrario di Redipuglia, succede se non si passa attraverso il Ministero.

Lasciatevelo dire. Questi caduti non vi meritano, non è questo il motivo per cui combatterono.

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2 commenti a Giro nella Storia: vietato filmare a Vimy

  1. Vittorio Veneto ha detto:

    “Questi caduti non vi meritano, non è questo il motivo per cui combatterono.” Sante parole da scolpire a lettere di fuoco nella zucca di tutti i burosauri.

  2. sfsn ha detto:

    infatti: i xe morti per ingrassar quei che gaveva za i soldi. La patria (minuscola voluta) xe sta el prestesto per i gonzi

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