15 Gennaio 2013

La techno di Fatima Hajji ed il “local clubbing”

Ci sono varie declinazioni nella definizione “andare a ballare”, c’è chi la intende come una serata di puro svago senza badare alla musica, e chi la intende come rituale nel quale la caratteristica sonora ricopre più della metà del divertimento, è quest’ultimo il principio fondatore della cosidetta “club culture”.

Parlarne a livello regionale è una relativa novità, dato che la memoria dei clubbers ultratrentenni rimanda a lunghi ed estenuanti viaggi in macchina alla volta delle mecche della cassa dritta, mete che si trovavano ad almeno 150 Km di distanza da Trieste, in Veneto ma anche in Lombardia. La diffusione della techno negli ultimi dieci anni ha portato ad una frammentazione geografica che ha avuto il benefico scopo di portare un clubbing di alto livello a pochi chilometri da casa, salvando nel contempo parecchie patenti di guida e qualche vita umana. Uno dei locali che si stanno imponendo in regione è il Cube di San Giovanni al Natisone (UD): attivo da due anni, ha già visto sulla propria consolle ospiti di tutto rispetto come Speedy J e Felix da Housecat. La serata di Sabato scorso ha visto arrivare al Cube la spagnola di origini arabe Fatima Hajji, classe 1982 ed una devozione per quel sottogenere un tempo chiamato “schranz”, oggi definito semplicemente hard techno.

Il locale non è molto grande, ma è rifinito con cura ed è dotato di un impianto capace di far vibrare i pantaloni (e quello che ci sta dentro) senza mai andare in distorsione. Per sentire Fatima le prevendite sono arrivate anche da Padova, Treviso e dalla Slovenia, sempre molto vicina a questo tipo di serate, l’età media dei presenti è decisamente sotto i trenta. Cercando di ambientarmi pur sapendo che sono tra i più anziani anagraficamente, osservo la dj al lavoro , anche se è incomprensibile cosa stia facendo da tanto veloce muove le mani su tre cdj, mixer e giradischi. Di sicuro manipolare e mixare tracce che viaggiano a 140 bpm richiede una preparazione quasi atletica, la stessa richiesta per ballare decentemente in questo contesto. Il locale è stracolmo, la musica picchia forte e fa muovere con uno stile forzatamente aerobico, l’entusiasmo generale fa anche uscire da qualche bocca la terrificante frase “non sembra di essere in Italia”. Un’ulteriore sorpresa della serata è stato l’incontrare il triestino Matt Keyl nella sala superiore del club, dove regnavano ritmi più lenti ma non meno efficaci. Matt è qualcosa di più che un talento emergente: quando è chiuso nel suo studio sforna tracce che stanno facendo il giro del mondo (e sono suonate da dj del calibro di Marco Carola), quando si esprime in un dj set, lo fa con una precisione ed una sicurezza non comuni, lavorando molto sulla componente dinamica. Di lui e del suo stile se ne sentirà parlare ancora. Il Cube va quindi a completare l’offerta globale di ritmi in 4/4 della nostra regione, oggi divenuta competitiva anche su questo versante.

 

Le foto sono di Klemen Stular

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