Il prossimo che dice che a Trieste “no xe mai niente de far” farà i conti con il sottoscritto, siete avvisati. Il week end passato pareva di stare a Berlino con Pan Pot a girare i dischi ad Etnoblog il venerdì sera e la data bomba di Christian Prommer il sabato, in entrambi i casi a far da cerimonieri i local heroes di Electrosacher; solo per farvi capire l’eccezionalità della situazione ci tengo a sottolineare che il sottoscritto si è perso, per la prima volta in credo 15 anni, un live dei Laibach, sciaguratamente programmato in contemporanea a Nova Gorica.
Ma tralasciamo, che ho già sofferto abbastanza. Questo commento prende le mosse da una teoria che da tempo il vostro recensore ha elaborato: ogni essere umano ha bisogno di una certa esperienza fisica legata al ritmo, esigenza che non passa con l’età. È una cosa che sentiamo dentro, che in qualche maniera non sfrutta i canali della cognizione e arriva dritta dritta ai nostri muscoli: una bella cassa in quattro ci arriva a 16 anni come a 50, solo che a 50 ti vergogni un po’ se ti parte la gamba su Richie Hawtin e preferisci virare su qualcosa di più consono. Christian Prommer, che proprio un ragazzino non è, questa lezione l’ha mandata bene a mente e si è messo ad esplorare quei territori che segnano il confine fra jazz e house con il suo progetto Drumlessons che ha fatto tappa al Teatro Miela di Trieste sabato 30 aprile, all’interno della rassegna “Le nuove rotte del jazz 2011”, organizzata dal Circolo Culturale Controtempo (http://www.controtempo.org). Il concetto base di Drumlessons è: c’è del buono nella musica elettronica e nella house e quel buono è così buono che in qualunque maniera lo suoni viene bene. Pezzi di storia come Trans Europe Express, Jaguar o Around The World vengono smontati pezzo per pezzo e riassemblati con atmosfere jazz-deep house in un trascinante succedersi e sovrapporsi di pattern elettronici ed acustici. Siamo lontani mille miglia dai concetti di cover o di remix, non c’è traccia di pigrizia nell’operazione di Prommer, si tratta di riletture colte, capaci di rimuovere superfetazioni di maniera dell’originale, ricongiungendo l’esecuzione all’essenzialità più scarna delle strutture musicali.
Si parte con Sueno Latino, pezzo che cresce piano e conduce a uno dei pilastri minimal di scuola berlinese, Rej, sospinto da un riff che nella versione Ame ha la timbrica di un sinth bello ruvido e qui diventa un giro di piano dal sapore caraibico. La batteria di Matteo Scrimali conduce per mano una Higher State Of Consciousness che, se possibile, ha dinamiche ancora più accentuate dell’originale. Prommer gioca, si diverte e si alterna fra aggeggi elettronici e uno scarno set di percussioni tradizionali con cui contrappunta le parti più ritmiche delle esecuzioni. L’ipnotico groove del basso di Christian Diener, ad onor del vero un po’ troppo “dentro” nell’impatto complessivo della band, è la cifra stilistica di una Jaguar che noi avevamo imparato ad amare nella versione di Sebastien Leger. Chiude la scaletta il tris d’assi, Trans Europe Express – Strings Of Life – Around The World, accolte da un pubblico che conosce e vistosamente approva al punto che Prommer è costretto a richiamare la band per salutare il pubblico con un ultimo pezzo.
Una piccola nota di costume: è sempre più netta la sensazione che in Italia esista un pubblico del jazz che guarda con sospetto al mondo della musica da ballo e al suo pubblico mentre nel contesto europeo i pubblici si mischiano e si compongono di volta in volta. Prommer, infatti, in Italia si fa a teatro fra le poltroncine di velluto e nel resto d’Europa si fa nei club e la gente balla.
Prossimi appuntamenti per la rassegna “Le nuove rotte del jazz 2011”, Get The Blessing sabato 7 maggio, Nik Bartsch’s Ronin sabato 21 maggio e una chiusura alla grande con l’hammond di James Taylor e il suo Quartet mercoledì 1 giugno, sempre al Teatro Miela di Trieste.
ottimo pezzo!
io penso cha a 50 anni andrò ancora a ballare Hawtin