9 Marzo 2011

Serge Latouche domani a Trieste per la Festa regionale della decrescita felice

“Non ci può essere una crescita illimitata in un pianeta le cui risorse sono limitate, e ormai sono stati raggiunti e superati i ‘limiti del pianeta’: la decrescita, pertanto, è necessaria per risparmiare all’umanità la gravissima crisi alla quale ci sta portando l’attuale organizzazione economica e sociale”.
È da questa convinzione che sono partite le associazioni promotrici della IV Festa regionale della decrescita felice, che si aprirà domani, giovedì 10 marzo, a Trieste con una conferenza di Serge Latouche, in programma presso l’Aula Magna del Liceo scientifico statale “Galilei” (via Mameli 4) alle ore 17 sul tema “L’utopia concreta delle 8 R della decrescita”.

La festa, che si avvale del patrocinio della Provincia di Trieste, proseguirà sabato 12 marzo presso l’edificio H2bis del Dipartimento di Matematica dell’Università di Trieste con una giornata di studio e confronto che sarà aperta alle 9.30 dall’intervento di Franco Gesualdi, del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, e conclusa da Paolo Cacciari e Dalma Domeneghini alle 17.30. Durante la conferenza del giovedì al Galilei avrà luogo un’esposizione del gruppo artistico De-Art, mentre al termine della giornata di sabato il gruppo Labor.aquae proporrà lo spettacolo teatrale “Come un filo di paglia”.

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5 commenti a Serge Latouche domani a Trieste per la Festa regionale della decrescita felice

  1. Matteo Apollonio ha detto:

    Io ci saro’.

  2. Paolo Geri ha detto:

    Il commento di Paolo Rumiz

    Latouche, l’antipapa e l’anatema della Curia contro la decrescita:riflessioni sulla “scomunica” all’economista francese, in visita a Trieste, messo all’indice con il cardinale Martini e il priore di Bose Enzo Bianchi

    “Attenti, c’è un pericoloso sovversivo da tenere d’occhio mercoledì e giovedì a Trieste. E’ uno che parla di decrescita, di consumi da ridurre, di convivialità, di cooperazione. Semina notizie false e tendenziose; fustiga – pensate – la “teologia” dello spreco; spiega che la felicità viene prima del prodotto lordo di una nazione; dice che in meno di trent’anni le risorse del Pianeta saranno agli sgoccioli e potrebbe scatenarsi, anche prima di quella data, una guerra strisciante per l’accaparramento di ciò che il buon Dio ci ha dato in dote nei giorni della Genesi. Il pericolo pubblico porta il nome di Serge Latouche.

    E’ francese, ha 71 anni ben portati e i connotati sono capelli grigio ferro, una faccia da ramponiere e un’andatura un po’ zoppa dovuta al troppo camminare. E’ la seconda volta che viene dalle nostre parti. Il 10 luglio del 2008 parlò a “Onde Mediterranee” di Monfalcone, ma prima si fece un tuffo nel mare libero di Trieste, mangiò un piatto a chilometri zero di sardoni “impanai” e bevve una caraffetta di vino del Collio con acqua del sindaco. Passai qualche ora con lui, ignaro della sua pericolosità. Fui anzi incantato da quella sua litania francescana che sillabava l’abc della rinuncia. Il problema è che allora non sapevo quello che sarebbe successo. E cioè che il buon Serge – che nel frattempo ha incantato mezza Europa con i pifferi della decrescita – sarebbe diventato Antipapa e che la satanica investitura sarebbe arrivata nientemeno che dalla curia tergestina. Una scomunica collettiva, nei confronti di tutti i cattolici relativisti che non credono nell’infallibilità del papa, e tra loro, citate in bella evidenza, due persone: il nostro Serge Latouche, finalmente svelato nella sua vera natura, e padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose in Piemonte e costruttore di ponti con il cristianesimo d’Oriente.

    Lo svelamento è avvenuto per caso, navigando su internet, quando mi sono imbattuto nel periodico veronese “on line” che porta il titolo de “L’Occidentale”, quello che oggi viene trasferito a blocchi nel settimanale della diocesi di San Giusto “Vita Nuova”, ora giustamente epurato dei suoi redattori più ribelli e dei suoi interventi esterni più polemici, all’arrivo del nuovo pastore di anime Giampaolo Crepaldi, episcopo di queste terre ahimè esposte alle tentazioni dell’Oriente. E così, spulciando notizie, ho trovato un articolo di Stefano Fontana, attuale direttore del sunnominato giornale. Vi ho letto quanto segue: che oltre al teologo Hans Kung e al cardinale Carlo Maria Martini, rei di polemica contro Papa Ratzinger, ahimé ospitati da troppi giornali, vi sono molti “antipapi” che vivono dentro la Chiesa. E qui si citano “Docenti di studi teologici e degli istituti di scienze religiose, opinionisti che scrivono quotidianamente sui ngiornali cattolici, giornalisti dei settimanali diocesani, padri gesuiti e non che gestiscono centri culturali nella varie diocesi (il nostro “Centro Veritas”?). E in genere tutti coloro che credono debba essere il mondo a salvare la chiesa a che Enzo Bianchi e Serge Latouche siano il magistero”. Segni terribili, “di uno scisma strisciante o forse già in atto”, come se nei fatti e nella prassi quotidiana ci fossero non una ma due chiese. Firmato, Stefano Fontana.

    Sono rimasto lì a pensare: ma come avevo fatto a farmi deviare così tanto? Perché avevo sul comodino proprio i libri di Serge Latouche e di Enzo Bianchi? Perché a Bose mi ero tanto commosso in quel frugale refettorio illuminato dalla prima luce del mattino sotto le nevi del Monte Rosa? Allora ho cercato ancora, e ho trovato un altro articolo di Fontana, su “Vita Nuova”, dove il male appare ancora più chiaramente. Latouche accusa il Papa di credere troppo nello sviluppo, di avere citato ben 258 volte questa parola – appunto “sviluppo” – nell’enciclica “Caritas in veritate”, mentre in realtà è Latouche a non aver capito che sviluppo non è parola dannata perché è aumento qualitativo. Il contrario di crescita che invece è aumento quantitativo, quindi spreco. E qui l’accusa finale ai profeti del rallentamento mondiale: “Un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell’uomo e in Dio”.

    Ecco. Non avevo capito nulla. Ora rileggo le parole dell’ultimo libro di Latouche – “Come si esce dalla società dei consumi”, Bollati Boringhieri – e capisco il tranello. Parole ingannatrici come democrazia ecologica, decolonizzazione dell’immaginario, spirito del dono, economia della felicità, totalitarismo produttivista, opportunità della crisi. Emergono nella loro blasfemia, come le opere del priore di Bose, “Dare senso al tempo”, “Il pane di ieri”, “Ero straniero e mi avete ospitato” e altre. Perfidi depistaggi dal magistero del vescovo di Roma. Ora lo vedo. La mia mente si era arenata nelle caligine. Avevo creduto che gli antipapi, gli anticristiani annidati nel gregge di Dio, si nascondessero altrove: nel feticismo delle reliquie, in quello che ritenevo un indecente sfruttamento commerciale di Padre Pio, nei milioni di euro inghiottiti da personaggi che credevo discutibili al santuario croato di Medjugorje, oppure in certe spericolate profezie di “Radio Maria” giunta – pensavo anche qui a torto – al punto di credere che la Madonna avesse previsto l’attentato dell’11 settembre e tutte le fasi del conflitto di civiltà. Mio Dio.

    E io che credevo che il problema fosse la rapina globale e la finanza sempre più scellerata; credevo fosse la cacciata dei poveri dalle strade, il materialismo dilagante; pensavo, ovviamente a torto, che il disastro fosse la distruzione della scuola pubblica, una televisione che demolisce gli eroi ed estirpa i valori dalle nuove generazioni. Credevo che il male fosse nel pane non più conquistato col sudore della fronte e nella scalata al potere di uomini arroganti e palestrati. O negli ipocriti pluridivorziati e puttanieri che pontificano sulla famiglia Invece no. I “seminatori di male” sono il mio vecchio Serge che predica la solidarietà contro i supermercati, il buon padre Enzo che divide il pane e il vino prima di darmi la benedizione sulla strada d’Oriente, verso la Terrasanta. Sono, nella comunità ecclesiale triestina, ormai tutti lo sanno, gli uomini del precedente vescovo. Loro e le loro mogli, che farebbero bene, come si dice in Curia, a restare a casa e fare la calza anziché impegnarsi nel mondo. Che lezione di vita ho avuto. Per questa mia incapacità di capire chiedo perdono all’Onnipotente. E, già che ci siamo, una paterna benedizione al mio stimatissimo vescovo.

  3. mutante ha detto:

    bellissimo articolo! io non ci posso essere ma ho comperato il libro.

  4. Michela Bruni ha detto:

    Peccato sia stata organizzata di giovedì pomeriggio…

  5. annunziata rubino ha detto:

    Una volta si diceva “poveri ma belli”, il rischio oggi è di ritrovarsi ancora poveri ma “un po’ bruttini”.Tutto vero, tutto sacrosanto, ma una volta assaggiate le comodità non è facile rinunciarci,è un fatto.Dobbiamo aspettare di esserne veramente costretti da una forza maggiore?Il gioco è fin toppo scoperto e chi dice la verità all’evidenza troppo scomodo.Però……perchè parlare di decrescita, seppure con l’aggettivo di felice? A fronte della rinuncia, pur dolorosa, non potrebbe esserci una magnifica occasione di “crescita” umana? In questo articolo, il cui contenuto condivido in pieno e di cui mi piace molto anche la vena ironica, non riesco però a condividere lo stile, a cui ormai direi siamo assuefatti:quello del picconatore, tanto in voga in politica.
    Ho un grande desiderio di andare a Bose “in quel frugale refettorio illuminato dalla prima luce del mattino sotto le nevi del Monte Rosa”.Vogliamo parlare della “bellezza”, smettendo un po’ di curarci di lor, come disse il Poeta? Certo che l’Antipapa non ha il potere del Papa ma il rischio della demonizzazione è per tutti.Proporrei un altro titolo:”Festa Regionale della Crescita Felice”

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