2 Ottobre 2009

Dipiazza: “Il Comune ridurrà la partecipazione in Acegas”. Ma è giusta la strada della privatizzazione?

(testo già apparso su Facebook)

Ieri sera (30 settembre) Tele4 ha riportato una dichiarazione interessante di Roberto Dipiazza. Il nostro sindaco, dopo aver parlato con il suo omologo di Padova, ha deciso di ridurre la partecipazione dei due comuni in AcegasAps fino a scendere al 30%. “So cosa sto facendo”, ha aggiunto.

Peccato che non si tratti di una scelta politica ma di un obbligo derivante dalla legge. Ofsquare e/o il giornalista si sono dimenticati di spiegare che la vendità delle quote che i comuni di Trieste e di Padova detengono (indirettamente) in AcegasAps è imposta dal nuovo decreto Ronchi che ha modificato l’art. 23-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133, e che attua in questo modo una disposizione comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Infatti, nel caso dell’AcegasAps, si applica la disposizione per cui “gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2012; in caso contrario, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012;”

Tradotto: se entro la fine del 2012 Trieste e Padova non ridurranno la partecipazione al 30% , AcegasAps perderà la gestione dei “servizi pubblici locali di rilevanza economica”: rifiuti, energia elettrica, gas, e (forse) acqua. L’AcegasAps quindi deve essere privatizzata per disposizione di legge (e non per disposizione Dipiazza), altrimenti rischia di perdere gran parte del suo valore economico costituito dalle concessioni stipulate con i due comuni.

Mi auguro di non passare per il “solito cattocomunista” se dico di essere contrario a questo tipo di processo di privatizzazione. Credo fermamente che la proprietà e la gestione delle “reti” che consentono alle società (queste si in regime di libera concorrenza) di vendere energia elettrica e gas debbano rimanere saldamente in mano pubblica. Ancor più accortezza va riservata all’acqua che, in quanto bene scarso e vitale, non può essere considerata una merce e svenduta ai privati: l’intero servizio (proprietà e gestione delle reti e dell’acqua) deve rimanere pubblico.

Con un piccolo sforzo, il consiglio comunale di ogni città potrebbe salvarci dalla privatizzazione dell’acqua.
Basterebbe “apportare una modifica allo Statuto comunale che sancisca in modo inequivocabile che l’acqua è un bene comune e non una merce”, come suggerisce l’associazione dei Comuni virtuosi (www.comunivirtuosi.org), e “priva di rilevanza economica”, come aggiunge il comitato “Acqua pubblica” di Torino. In questo modo l’obiettivo della (ri)pubblicizzazione del servizio idrico sarebbe raggiungibile tramite la costituzione di enti di diritto pubblico.

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