29 Gennaio 2009

Gli universitari contro lo spostamento di Architettura a Gorizia

Gli studenti di Architettura di Trieste hanno scritto una lettera indirizzata alle autorità e alla cittadinanza in merito al previsto spostamento della facoltà a Gorizia. Ricordiamo che per uno scherzo della logica, e a causa di non pubbliche lobby, Giacomo Borruso (un economista) è Preside di questa facoltà.

Alcuni stralci della lettera degli studenti (scaricabile in pdf):

miriamo a portare a conoscenza delle autorità accademiche e civili il nostro disappunto per questa scelta che mina la vita futura della facoltà. Questa nacque dieci anni orsono per formare delle figure professionali a sostegno della specifica realtà triestina e proporsi come nuovo polo regionale. Tuttavia pochi anni dopo, si è ben pensato di aprire un corso di laurea in architettura anche a Udine all’interno della Facoltà di Ingegneria. Risultato? Tra capoluogo giuliano e friulano: 300 nuove matricole di potenziali architetti all’anno (senza considerare altre figure professionali a noi complementari), in una regione di neanche 1.200.000 abitanti. Alla faccia dei doppioni!

[…]

Già oggi la separazione dentro la città di Trieste in 2 sedi (con la triennale nel comprensorio di  piazzale Europa e della specialistica in via Sant’Anastasio) rende poco agevole la vita universitaria sotto il profilo didattico, pratico e dell’integrazione tra studenti, professori e studenti-professori. Vi immaginate la situazione spostando il biennio specialistico a Gorizia -ove pare che consoni spazi siano ancora da ricavare-; aumenterebbero i disagi, prefigurando un futuro improponibile se non la scomparsa stessa della facoltà. E poi per consultare i testi della nostra già esigua biblioteca, gli studenti dovrebbero fare 80 km giornalieri e 3 ore di viaggio tra andata e ritorno? E il rapporto accademico-scientifico che spesso s’instaura tra gli studenti laureandi e i professori-ricercatori del Dipartimento a chi spetterà, alla triennale o alla specialistica?

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22 commenti a Gli universitari contro lo spostamento di Architettura a Gorizia

  1. Bibliotopa ha detto:

    Giacomo Borruso direi che sia un economista. Sua moglie semmai potrebbe essere un’economista.

  2. enrico maria milic ha detto:

    gravi errori ortografici

  3. arlon ha detto:

    Mi so solo che le sedi distaccade, se no a altissima specificità (no xe sicuro questo el caso) le xe del tuto inutili, le pegiora la qualità dei studi e le costa un fraco, fazendo contento solo qualche politichetto de paese.

    No xe un caso che in altri paesi più a nord, no i sa nianche cossa che le sia.
    Se una cità/citadina vol una università, che i provi a crearsela, magari specializada. Se no i riva, vol dir che no i se merita, in genere.

  4. Marisa ha detto:

    Avendo un figlio che si è laureato a Trieste proprio in Architettura nel 2005, vi posso garantire che i problemi di questa facoltà non sono nè una eventuale concorrenza del corso di laurea in architettura dell’Università di Udine, nè un eventuale biennio spostato a Gorizia. Sono ben altri, pesanti e tutti interni alla facoltà stessa. Per quanto riguarda la presenza di due corsi di laurea in architettura in regione, faccio presente che per la facoltà di Architettura, a seguito normativa europea, c’è l’obbligo del numero chiuso e il numero massimo di immatricolazioni al primo anno è stabilito dal Ministero a Roma. Ossia è già previsto da Roma il numero programmato a livello nazionale. E sia a Udine che a Trieste, ogni anno tutti i posti messi a concorso vengono sempre coperti. Non vedo dunque dove esista il problema della presenza di due facoltà di architettura in regione. Oltretutto quella di Udine ha caratteristiche molto diverse da quella di Trieste: in comune hanno solo il nome del corso di laurea.

  5. furlàn ha detto:

    arlon: hai ragione. A Gorizia potrebbero benissimo fare una università tutta loro assieme a Nova Gorica che ce l’ha già. Gli sloveni hanno già chiesto locali in città per la loro sede. Ma la miopia dei responsabili regna sovrana laddove gli orizzonti permettono le visioni più lungimiranti.

  6. studente di architettura ha detto:

    La facoltà di architettra a Trieste è stata fondata appena una decina di anni fa. Da allora non si è ancora trovata una sede unica e definitiva. I docenti sono nella stragrande maggioranza a contratto. La biblioteca è carente e mancano completamente laboratori e atrezzature in genere (in alcuni casi adirittura banchi e sedie). Ciò nonostante ogni anno il numero chiuso viene riempito.
    Non sarà che proprio una delle poche cose che funzionano è la città?

  7. arlon ha detto:

    ocio che la gavesi de eser specializada però.
    Far altri corsi de medicina, architetura, ingegneria, etc. saria semplicemente ridicolo.

    Come in tuti i teritori, i ga de trovar una vocazion.

  8. Marisa ha detto:

    E’ tutto vero quello che scrive lo studente universitario. Per quanto riguarda la copertura dei posti messi a concorso, ricordo che architettura è la prosecuzione logica per un ragazzo diplomato geometra. Infatti il 70% degli iscritti a questa facoltà ha il diploma di geometra. Il restante 30% sono liceali. I ragazzi provenienti dall’Istituto statale d’arte raramente arrivano al secondo anno. E questo vale sia per Udine che per Trieste.
    Per la specializzazione, questa è successiva alla laurea in architettura che deve fornire le basi.

  9. Marisa ha detto:

    Università degli studi di Bologna. Fondata nel 1088 – studenti al 2006: 95.771 – 5 poli: Bologna, Forlì, Cesena, Ravenna, Rimini.
    Facoltà di architettura “Aldo Rossi”: presso il polo di CESENA. Leggesi: C E S E N A ! Non mi pare che l’Università di Bologna se la passi poi così male nonostante i 5 poli e la concorrenza di altre università con uguali facoltà nella stessa regione. E nessuno parla di doppioni o di, in senso spregiativo, di università nella “piazza di casa” o di “strapaese” riferendosi a Ravenna, Rimini, Cesena e Forlì.

  10. arlon ha detto:

    domanda: quanti abitanti (e establishment culturale universitario) ha l’Emilia – Romagna, quanti il Friuli – Venezia Giulia?

    Gli esempi vanno cercati all’estero, per pianificare il futuro.
    Nessuno dice che Gorizia non debba avere i suoi corsi.. (vedi post precedenti)

  11. enrico maria milic ha detto:

    di critiche alle sedi universitari “doppione” se ne parla in tutta italia e nel dibattito a livello nazionale – basta una qualsiasi ricerca su google (per esempio questa).

    sarebbe meglio spendere i soldi dello stato per avere poche università decenti che tante di scarsa qualità. cito uno delle decine di centinaia di articoli che si trovano su internet su questo tema, da lavoce.info:

    Osservando i risultati della produzione universitaria è forte il sospetto che le risorse finanziarie impegnate dal Paese per l’università non siano impiegate al meglio. Il dubbio (o la certezza) nasce da alcuni fatti ormai noti a tutti.

    La didattica: solo il 35-40% delle matricole arriva alla laurea, e la durata media degli studi è superiore di circa tre anni rispetto a quella legale. Il giudizio degli studenti sull’esperienza di studio all’università è deludente: molti lamentano disservizi e una corrispondenza non sempre soddisfacente tra le nozioni imparate e quelle richieste nel mondo del lavoro (2).

    La ricerca: tranne alcune punte di eccellenza, tutti gli indicatori di produttività indicano una scarsa presenza e incisività dei ricercatori italiani nel contesto mondiale (3).

    Tra i mali dell’università italiana non dobbiamo dimenticare la presenza di squilibri nelle dotazioni di risorse tra atenei (più antichi e più giovani) e, anche all’interno dello stesso ateneo, di aree disciplinari forti e deboli.

    oppure da un blog:

    Sulla situazione degli sperperi delle università è significativo quanto ha affermato il Rettore dell’Università di Trento, Davide Bassi, alla conferenza dell’AQUIS, (l’Associazione per la Qualità delle Università Italiane Statali): “Se ci sono atenei che il mese prossimo non saranno in grado di pagare lo stipendio ai dipendenti, questo non avrà nulla a che fare con i ministri Gelmini e Tremonti, ma col fatto che per quindici anni molti rettori hanno sperperato i soldi, pensando che qualcuno poi tappasse i buchi”.

    potrei continuare con pagine e pagine…

  12. furlàn ha detto:

    Andiamoci piano con il parlare di tagli sulle scuole. Potremmo fare lo stesso discorso sugli ospedali. Gli sprechi che la Regione Friuli Venezia Giulia sta attuando nelle politiche sulla sicurezza, stanziando soldi a destra e a manca per far installare telecamere ad ogni pisciata di cane? Quegli sprechi vanno bene a tutti?

  13. Marisa ha detto:

    Facciamo così: mettiamo le università in concorrenza tra di loro e vinca la migliore. Così si che si seleziona la qualità sia della didattica che della ricerca. E i fondi statali distribuiamoli in base a criteri meritocratici e non in base al costo storico al 1993.

  14. furlàn ha detto:

    Facciamo così, teniamo fuori la politica dalla gestione delle università. Sapete quante pressioni, manovre, scambi si muovono solo per avere una facoltà universitaria in più in una città come Gorizia?

  15. arlon ha detto:

    @ Marisa: Le università non devono essere semplicemente in concorrenza tra loro nell’ambito locale (troppo facile influenzare i risultati dall’alto, direi). Devono però essere in diretta concorrenza con il resto del mondo!
    Poi, il merito non è così facile da determinare, finchè..
    @ Furlan: ..la politica influenza direttamente le università. Il problema è quasi tutto qui, dai fondi alla mancanza di meritocrazia.
    Finchè ci saranno professori e ricercatori incapaci da proteggere, ci saranno lauree inutili da mantenere, sedi distaccate da preservare, università da avvantaggiare o affondare a seconda del colore politico predominante.

    Continuo a pensare che vadano cercate delle specificità più o meno locali e da quelle si debba partire, espandendole e coltivandone di nuove, per un progetto universitario che funzioni.
    Se manca l’attaccamento al territorio, alla produzione, alle conoscenze ed esperienze locali.. si rimane nella teoria, nell’aria fritta.
    Può capitare comunque che ogni tanto ne escano studenti validi, vale però la pena di aspettare che ci pensi il caso?

    E se questi studenti validi fossero gli unici ad avere il “diritto” (socialmente inteso) di studiare in un determinato campo?
    -> si torna alla meritocrazia, vedi sopra

    E se questi studenti potessero creare dei network tra loro, quante nuove conoscenze/startup/evoluzioni/nuovi ottimi professori/ecc ne risulterebbero?

  16. Marisa ha detto:

    Arlon, ogni università deve confrontarsi con l’intero mondo universitario nazionale e no. E ogni università deve essere messa in condizione di poter competere. Il metodo del finanziamento statale in base al costo storico è iniquo e non più accettabile. Solo la meritocrazia potrà fare pulizia nel sistema universitario italiano. Purtroppo da sempre le università più sovraffinanziate fanno lobby, appoggiate da un sistema politico inadeguado e che ben si guarda dallo scontentarle, e da almeno 10 anni questa lobby non permette che il criterio della meritocrazia sia il metro della distribuzione dei fondi statali. Uno dei più grossi problemi dell’università italiana è proprio questo. Poi c’è anche quello del basso finanziamento in generale alle università e alla ricerca. Ma intanto cerchiamo di dare il poco finanziamento che c’è, a chi se lo merita e non in base ai costi iscritti in bilancio nel 1993. Oggi questo, come ben sai, non avviene.

  17. enrico maria milic ha detto:

    che le università italiane competano all’interno del “l’intero mondo universitario nazionale e no” (marisa) mi pare mooolto discutibile.
    non c’è un sistema credibile di valutazione della ricerca che sposti, di conseguenza, i finanziamenti pubblici.
    e per quanto riguarda la didattica, a parte l’inesistenza di un analogo sistema di controllo, ci vorrebbero fondi per il diritto allo studio molto più consistenti degli attuali. se esistessero le condizioni per la mobilità degli studenti a livello nazionale (sostenuta dal diritto allo studio ovvero borse e case dello studente o analoghi interventi), solo allora si potrebbe dire che un’università vale più di un’altra perchè riesce ad attrarre più studenti.

  18. Marisa ha detto:

    Per la ricerca un metodo empirico di valutazione c’è: 1) capacità di attrarre capitali non pubblici 2) numero dei brevetti registrati.
    E’ un metodo empirico, ma sempre meglio dell’attuale che finanzia senza verificare minimamente i risultati della ricerca scientifica.

    Per quanto riguarda l’università, cosa mi dici dell’attuale finanziamento in base ai costi iscritti in bilancio nel 1993?
    Il creterio adottato nel 2004 dall’allora ministro Moratti con l’O.K. dei rettori, poneva rimedio al finanziamento in base al “costo storico”. Non sarà stato perfetto ma certamente meno iniquo di quello in essere ancor oggi. Ma la Moratti non ebbe la forza politica di resistere alla lobby degli atenei più sovraffinanziati.

  19. arlon ha detto:

    I brevetti-per-studente sono un ottimo sistema per certe facoltà tecnico-scientifiche, e basta. Le altre?

    I capitali non-pubblici, poi, non mi sembrano essere un criterio valido, perchè finirebbe solamente per ampliare il divario tra zone ricche e meno ricche.. che è il contrario di quello che, in teoria, dovrebbe succedere.

    Riguardo ai confronti col mondo universitario nazionale: credo sia semplicemente inutile.
    Per il semplice fatto che si continuerebbe a fare confronti al ribasso, precipitando facilmente nel terzo mondo dell’istruzione.
    L’autodeterminazione non funziona, in Italia.
    Il potere esecutivo e legislativo non sono assolutamente in grado di sostenerla, meglio evitare e guardare direttamente allo scenario mondiale.
    E decidere, con realismo, da che punto partire, e dove arrivare.

    Concordo con EMM sugli investimenti per il diritto allo studio.. ora siamo al nulla più assoluto – sarebbe il caso di iniziare ad offrire pari opportunità di studio – specialmente nel caso ci si muova verso una diminuzione e specializzazione dei corsi di laurea.

  20. Marisa ha detto:

    Ricerca: allora prendiamo come riferimento la capacità di accedere ai finanziamenti europei. Ce se sono e anche di notevole entità. E non sono privati ma pubblici. Qualunque sistema, per quanto imperfetto, è sempre meglio dell’attuale dove non c’è alcuna verifica a posteriori di come si sono spesi i finanziamenti. E’ vero che esiste il problema della ricerca nel campo umanistico. Pubblicazioni? Non lo so se può essere un parametro valido, ma un “qualche” parametro meritocratico si dovrà ben trovarlo.

    Università: non è solo il luogo dove ci si laurea ma anche una istituzione fondamentale per il progresso (scientifico, culturale, inprenditoriale ed anche economico) di un territorio. Ove c’è un’università, di solito si mette in moto uno sviluppo territoriale che risulta importante per quel territorio. Assurdo poi creare poche università strapiene di “case dello studente”. Oggi l’università è diventata, per fortuna, un fenomeno di massa, e non un luogo per pochi privilegiati.

    Che le università che hanno goduto della non concorrenzialità (fino agli anni 70 del secolo scorso) per cui “comunque” gli studenti “arrivavano”, oggi invochino il ritorno a “quei bei tempi” è del tutto ovvio: e chi non vuole il comodissimo monopolio! Vediamo di finanziare invece le università che sanno portare a casa finanziamenti europei, che sanno produrre didattica e ricerca di alto livello. E basta finanziamenti statali sulla base dell’assurdo costo storico al 1993.

  21. arlon ha detto:

    Nessuno parla di creare poche università.
    (piene di case dello studente, invece, decisamente sì)

    Sto solo dicendo di non crearne troppe .. che non è la stessa cosa.

    Sul fatto che l’università sia diventata un fenomeno di massa: è vero. Ma non sempre è un buon segno.
    Lo è, se le persone sono facilitate nel seguire quello che credono sia il loro percorsi di vita.. non lo è, se chiunque può fare quello che vuole.

    Esempio personale: le facoltà/i dipartimenti di design.
    La mia “base” è il Politecnico di Milano, che conta quasi 4000 studenti nella sola facoltà di design.
    Ora: mi spiega qualcuno come, dopo qualche anno di assorbimento del mercato, questi qui potranno trovare un lavoro nel loro campo? Ne escono centinaia all’anno.. è ovvio che non può reggere.

    Ed è così per tantissime altre categorie!

    Per capirci, sono andato a studiare a Colonia in una scuola discretamente povera, con circa 150 studenti in tutto, e mi sentivo di avere molti più mezzi, possibilità, spunti che in una scuola ricca come il politecnico.
    Per non parlare di Helsinki, dove nel mio dipartimento venivano ammessi 40/50 studenti l’anno. Però c’era tutto quello che uno studente possa volere.. al prezzo di darlo solamente a quelli che lo meritino, in un numero assorbibile dal mercato e dalla società.

    Contemporaneamente, l’università creava dei piccoli “corsi pilota” di laurea, sperimentali, dov’era più facile per gli interessati entrare, per vedere come ampliare l’offerta.
    Corsi di laurea vengono scissi e uniti continuamente, con lo scopo di trovare i giusti equilibri.

    Questa dev’essere la strada, non doppioni costruiti con criteri del tutto casuali!

    (questo non toglie che ci vogliano in Italia più finanziamenti, e con criteri diversi. Su questo penso siamo tutti d’accordo)

  22. arlon ha detto:

    nb: sia a Helsinki che a Colonia le università erano a completo finanziamento statale.
    A Helsinki, completamente gratuita per lo studente (anzi, lo stato paga un sussidio agli studenti in regola, oltre ad affitti sociali ridicoli).

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