9 Luglio 2007

Gli alpinisti goriziani Salvaneschi e Antonello hanno raggiunto il campo a quota 4.800

Hanno raggiunto quota 4.800 metri. Marco Salvaneschi ed Ennio Antonello, i due alpinisti goriziani partiti alla conquista degli 8.000 metri del Broad Peak, hanno raggiunto il campo base. Dopo le tappe di avvicinamento alla maestosa catena del Karakorum, i due si trovano ora nell’accampamento dove dovranno acclimatarsi alle alte quote per poi partire alla conquista della vetta. Ecco la seconda parte del loro racconto.
Da Skardu, con sei, sette ore di scuotimenti in jeep, andiamo ad Askole. La strada è particolarmente suggestiva, ed è impressionante vedere come, con infinite svolte, supera il fianco della montagna. Noi l’abbiamo fatta con il bel tempo, ma credo che con la pioggia, in diversi tratti avremmo dovuto scendere. Infatti, lungo il percorso, ci sono numerose strettoie, dove la jeep passa con due ruote veramente a filo del pendio scoscesissimo, normalmente su terreno cedevole….

e poi dicono che l’alpinismo è pericoloso. Ad Askole passiamo a salutare i medici italiani al dispensaio medico "Mazzoleni", con la promessa di donare tutti i medicinali che abbiamo con noi, e che speriamo di non usare, al nostro ritorno. Poi andiamo all’accampamento: ci sono solo per noi 170 (!!!!!!!!) portatori che ci aspettano, una vera folla. Ci sono poi i bambini. Marco tira fuori la borsa di penne biro che ha raccolto ed inizia a distribuirle…. subito si trasforma in una vera zuffa, fintantochè non interviene la nostra capo guida Gholam. Lui riesce a metterli tutti in riga.
Iniziano quindi le prime operazioni di pesatura dei bidoni e delle sacche. Tutto si svolge alla "pakistana". Tutti i portatori attorno, tutti commentano, gridano gesticolano. Deve intervenire la polizia per allontanarli e permettere a Davide (rappresentante della nostra agenzia), Gholam e i vari sirdar (capi dei portatori), di portare a termine la prima pesatura. Noi intanto ci godiamo il tramonto e ci prepariamo per la cena. Subito dopo  a dormire, aspettando golosi l’indomani.
La mattina il tempo è splendido, non possiamo ancora partire perchè bisogna ufficialmente pesare i vari bidoni e assegnarli ai portatori, i quali saranno esponsabili del loro carico fino a destino, ovvero il campo base del Broad Peak.
Le operazioni questa volta sono più veloci, e i portatori iniziano a fisssare il loro carico sul bastino, ed iniziano subito ad incamminarsi. Quando i nostri bidoni sono assegnati, io e Marco possiamo partire. Fa molto caldo e c’è una polvere fastidiosa, ma siamo di ottimo umore. Dopo interminabili preparativi, spostamenti e attese finalmente si incomincia…
Rieccoci qui, di nuovo, come due anni fa, a risalire il fiume Braldu. Siamo eccitati e felici come due bambini che hanno messo più dita in un vaso di marmellata. Per evitare di camminare nelle ore più calde, saltiamo la pausa pranzo di Corfon proseguendo direttamente per Juhla. Camminiamo con calma, scattiamo foto, ci guardiamo attorno, e le sei ore di cammino volano. A Juhla, dopo la calda e polverosa giornata, è un piacere farsi una doccia per rimuovere tutto quello che ci si è appicicato adosso.
Il giorno seguente è un’altra magnifica giornata. E’ un po’ un deja vu, anche se due anni fa, la seconda tappa è stata per me un incubo. Ricordo di essere arrivato all’oasi di Paju nel primo pomeriggio, con probabilmente 40 di febbre. Ricordo la sera, come un delirio, i fuochi dei portatori, i bidoni usati come tamburi, i canti… Questa volta arrivo tranquillo, accaldato ma sto bene.
Qui all’oasi di Paju ci fermeremo per due giorni. Infatti, a circa un’ora di cammino da qui, inizia il ghiacciaio del Baltoro, e bisogna permettere ai portatori, oltre che riposarsi, di prepararsi il cibo per i prossimi giorni di cammino sul ghiacciaio. L’attesa qui non è noiosa, più ci si addentra nel Braldu e poi nel Baltoro, più lo scenario diventa spettacolare. Da Paju si può godere della vista del Paju Peak, le torri del Trango,  La Cattedrale, alcuni Mashebrum…. da svenire.
Il trekking del Baltoro non per niente è considerato uno dei più belli al mondo, e noi abbiamo la fortuna di essere qui per la seconda volta, ancora con un tempo splendido. Questa pausa poi, ci permette di conoscere un po’ gli altri partecipanti  della spedizione. Riprendiamo la marcia e montiamo sul ghiacciaio del Baltoro. A prima vista non sembra un ghiacciaio, è totalmente coperto di pietrisco e sabbia, ma ciò lo preserva dai feroci raggi del sole. E’ un continuo saliscendi e zig zag, per superare le voragini di ghiaccio e fiumi che si inabissano nelle viscere del ghiacciaio, per risbucare a Paju.
Arriviamo a Urdokas, oasi polverosa su un fianco dei Mashebrum. Siamo ancora a due giorni di cammino dal campo base, ma l’imponente mole del Broad Pekci appare. Diventa subito oggetto preferito dei nostri sguardi, tempestato di foto e riprese.
Il giorno seguente ci fermiamo a Gore, il nosto primo accampamento sul ghiacciaio. Finalmente un po’ di fresco, ma soprattutto niente polvere. I panorami sono sempre mozzafiato. Oltre al Broad Peak, è
bellissima la tozza piramide tronca del G IV. Malgrado siamo impegnati tutto il giorno e le giornate volano, i momenti di gioia e di nostalgia si accavallano creando forti emozioni. Oramai siamo a Concordia, alla nostra sinistra si apre all’improvviso la vale del ghiacciaio del Godwin Austen,
chiua dalla enorme piranide del K2… brrrrr… che brivido di piacere.
Ci abbracciamo e battiamo un cinque. Ancora un paio d’ore e chiudiamo con l’avvicinamento.
Malgrado sia stato entusiasmante ripercorrere il Baltoro è con piacere che arriviamo al campo base. Un capitolo si chiude e ne inizia subito un altro.
Con il fiatone (siamo a 4.800 metri) prepariamo le piazzole per le tende. Stiamo bene e ci sentiamo in forma e, viste le colazioni mattutine "leggere" (uova fritte, parotha o chapati, latte
in polvere e caffè solubile….) i nostri rutti riecheggiano posenti nelle valli del Baltoro come ruggiti di giovani leoni.

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