8 Settembre 2023

Racconti a Trieste: l’ombra del mostro

el sunto L'appuntamento del mese con la rubrica dedicata ai racconti di Davide Stocovaz ambientati a Trieste.

Qualcuno sostiene che, poco prima di morire, davanti agli occhi scorre la vita intera. Tante sequenze di immagini che si sono impresse nel cervello e che vengono riproposte in fila al momento di esalare l’ultimo respiro.
Ma per Sabrina Crevatin non era così. Stava morendo, lo sapeva, lo sentiva dentro. Questa certezza la faceva precipitare in uno sconcerto senza fine. Provava anche rabbia per questo. Rabbia nei confronti del suo aguzzino.
L’acqua della vasca da bagno stava salendo verso il suo volto, inarrestabile. Presto le avrebbe coperto la bocca, il naso, gli occhi, e lei sarebbe annegata. Provò a muovere le braccia, ma gli arti non risposero a nessun comando. Era paralizzata.
Si sentiva pesante, la mente gravida di pensieri cupi. Il narcotico aveva fatto subito effetto. Prima che lei potesse rendersene conto, si era ritrovata distesa sul pavimento, impossibilitata a muoversi. Allora il suo aguzzino l’aveva presa in braccio, l’aveva condotta in bagno e adagiata nella vasca. Aveva aperto l’acqua, le aveva rivolto un’occhiata compassionevole e se n’era andato.
Ora, mentre l’acqua continuava a salire, Sabrina non ripensò alla sua vita intera, ma a tutti quei momenti che l’avevano condotta fino a lì, a morire in quel modo. Ne sarebbe risultato un suicidio, così il suo assassino l’avrebbe fatta franca alle forze dell’ordine.
Non poteva permettere che ciò accadesse.
Cercò di muovere le gambe, ma anche queste non le risposero. Una certa sonnolenza iniziò a impadronirsi di lei, la sentiva premere su ogni millimetro del suo corpo. Allora, per mantenersi sveglia, ripensò a quanto l’era accaduto.
Mauro Sossi aveva quarant’anni, tre anni più di lei. Sabrina l’aveva conosciuto sei mesi prima tramite un sito di incontri in rete. Uscita a malapena illesa da una relazione non degna di ricordo con il suo ex ragazzo, su consiglio di un’amica, si era iscritta al sito più per curiosità che per ritrovare davvero l’amore. Aveva scorto i vari profili maschili, dribblato i diversi messaggi sconci che subito riempirono la sua chat. E si era imbattuta nel profilo di Mauro. Era un uomo di bell’aspetto, i capelli scuri tagliati corti, gli occhi di un grigio azzurro quasi perlaceo, un fisico nella norma, con qualche linea di muscoli ben sodi nei posti giusti. Mise un semplice “like” al suo profilo e fu lui a scriverle per primo. Si presentò in poche righe, chiedendole del perché una donna carina come lei fosse presente in un sito online. Da lì iniziarono a dialogare per qualche settimana, specie la sera, quando entrambi rientravano a casa dopo il lavoro. Al tempo, Sabrina lavorava come commessa in un negozio di articoli per animali in centro città. Dopo qualche giorno, già non pregustava l’ora di poter tornarsene a casa per risentire quel suo nuovo amico di chat. Le sembrava strano, ma in lui aveva trovato una certa affinità. Non parlarono mai di politica o dei mali che appestavano il mondo. Si raccontavano le loro giornate, le loro esperienze sentimentali passate. In breve tempo, Mauro Sossi era divenuto il suo confidente. Lui lavorava come infermiere presso l’ospedale di Cattinara e dichiarò fin da subito di essere al momento single e di essere alla continua ricerca di una donna adeguata con la quale avviare una relazione seria.
Dopo alcune settimane di chat, entrambi decisero di vedersi di persona. Per l’occasione, Sabrina aveva indossato il suo vestito più elegante, un abito lungo e nero, con collant neri che le mettevano in risalto le linee sinuose delle gambe. L’appuntamento era stato fissato alle ore venti ai portici di Chiozza, in centro città. Furono puntuali. Mauro le aveva regalato una rosa rossa e si erano incamminati lungo il viale XX Settembre, in direzione di un bar. Tra un drink e l’altro si raccontarono a vicenda. Mauro sembrava davvero interessarsi a lei, al suo passato, ai frammenti della sua vita; l’ascoltava con attenzione, senza mai interromperla. Dimostrò di avere anche uno spiccato senso dell’ironia e la fece ridere in più di un’occasione. A fine serata si baciarono. Poi si lasciarono con l’intento di rivedersi nei giorni seguenti. E così fecero.
Trascorse quasi un mese di frequentazione prima che Mauro trovasse la forza di chiederle se fosse interessata a visitare casa sua. Era una simpatica casetta a due piani sita a metà dell’impervia via di Romagna. Mauro le raccontò che l’aveva ereditata dai suoi nonni, ormai deceduti da diversi anni. E quasi con commozione le rivelò che anche i suoi genitori erano venuti a mancare poco tempo prima, perciò risultava solo al mondo. Quella sera cenarono assieme a casa di lui, ordinarono del cibo giapponese a domicilio. E dopo cena, la passione, favorita anche da una buona bottiglia di vino bianco, li travolse come un’ondata di marea.  Senza troppe parole, si trovarono distesi sul letto matrimoniale. Con le mani si levarono i vestiti, con i baci si svelarono le anime. E quando raggiunsero l’apice, Sabrina comprese che nel suo universo esisteva solo Mauro Sossi.
Dopo un altro mese trascorso, Sabrina decise di provare a convivere con lui, in quella piccola casa di via Romagna. L’inverno era ormai alle porte. La dolce brezza autunnale aveva lasciato posto alle raffiche insistenti della Bora, che si incanalavano nelle vie, schiaffeggiavano gli inermi passanti per le strade, e facevano cigolare e gemere i cardini delle finestre.
Ma la vita di Sabrina tra quelle pareti assieme a lui sembrava non aver mai lasciato l’estate, un torpore che sapeva di eterno, che le ristorava la mente e riscaldava lo spirito. Mauro dimostrava di avere tante e piccole cure per lei. Spesso rientrava a casa la sera portandole dei fiori in dono, qualche scatola di cioccolatini, qualche bottiglia di vino, oppure proponeva di offrile una cena a base di pesce in uno dei locali della marina. Con lui, Sabrina sembrava avere ritrovato la pace dei sensi.
Tutto cambiò mentre si avvicinava il giorno di Natale. Presa dalla voglia di allestire in salotto un bell’albero, si ritrovò a dover salire in soffitta, dove Mauro le aveva detto essere presenti gli addobbi. Era il locale della casa meno frequentato. Una puzza di stantio traspirava dalle pareti. Le assi di legno scricchiolavano a ogni suo passo. Enormi ragnatele occhieggiavano dagli angoli e pendevano dal soffitto. Sabrina ci mise un pò a trovare ciò che stava cercando: lì, infatti, erano stipati diversi scatoloni, un divano sgualcito, un vecchio televisore, lo scheletro di una bicicletta. In un angolo polveroso, trovò la riproduzione in plastica di un pino, avvolto da un cellophane. Se lo mise in spalla, scese di sotto e lo sistemò in un angolo del salotto. Poi tornò in soffitta alla ricerca delle luci e di altri addobbi. Mentre scostava i pesanti scatoloni, uno di questi le sfuggì di mano e rotolò sul fianco aprendosi di un poco. Sabrina notò subito il lembo di una camicia leggera sbucare fuori dal cartone. Rivoltò lo scatolone, lo aprì e si incupì.
Conteneva una serie di vestiti femminili: gonne di varie colori, camicie e giacchette con motivi floreali. Sorpresa, Sabrina decise di attendere il ritorno a casa di Mauro per chiedergli spiegazioni. E quando se lo trovò davanti, gli raccontò della soffitta e di quanto vi aveva trovato. Lui non sembrò sorprendersi, per fugare ogni suo dubbio le spiegò che quei vestiti erano appartenuti a sua madre e lui non se l’era mai sentita di gettarli via. Lei gli credette.
D’altronde, Mauro non poteva avere nessun genere di segreto. Dopo diverso tempo di relazione, Sabrina era convinta di conoscere ogni anfratto del suo essere, di essere scesa a fondo in lui, tanto da non scorgere nemmeno un’ombra degna di preoccupazione.
Trascorsero un Natale sereno: un misto tra cene a lume di candela e tanto sesso.
Fu quando Sabrina dovette smontare l’albero e riportarlo in soffitta che tutto il suo mondo crollò in un abisso dal quale non sembrava esservi via d’uscita.
Lo stava sistemando nello stesso posto dove l’aveva trovato, quando un’asse del pavimento si sollevò scricchiolando. Sabrina fece alcuni passi per sistemarla al meglio. Ma quando abbassò lo sguardo, si sentì raggelare. Un occhio, comparso tra le travi del pavimento, la stava fissando in modo severo. Sabrina si portò una mano alle labbra. Era un occhio femminile, sgranato a folgorarla, con l’iride di un azzurro spento, senza luce dentro. Travolta dallo sgomento, Sabrina si abbassò, afferrò l’angolo della trave e la sollevò di un poco. Un odore putrido le aggredì le narici, un odore che mai aveva sentito prima e che mai avrebbe dimenticato. Si era scostata, ben sapendo cosa celava quel dannato pavimento. Fu allora che sentì la voce di Mauro dietro di lei. Si era girata e l’aveva trovato immobile sulla soglia della soffitta, in mano un bicchiere di vino bianco.
“Pare che tu abbia scoperto il mio segreto.”
E prima che lei potesse rispondere o reagire in qualche modo, lui le fu addosso. L’aveva colpita con un destro violento, facendola crollare al suolo. Sabrina aveva quasi perso i sensi, ma riuscì a sentirlo avvicinarsi, abbassarsi su di lei. Le aveva preso la testa, in modo delicato, e le aveva dischiuso le labbra. Poi, con pazienza, le aveva fatto bere il vino, contenente un potente narcotico. Infine l’aveva presa in braccio e condotta in bagno, l’aveva adagiata nella vasca e aveva aperto l’acqua.
Ora questa le stava salendo al naso. Sabrina comprese di avere i secondi contati. Nel giro di poco tempo, sarebbe stata sepolta accanto al cadavere della soffitta.
Sentì dei passi alla sua destra, girò gli occhi e incrociò lo sguardo afflitto di Mauro. Egli aveva incrociato le braccia a bordo vasca e la stava fissando.
“Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Non avrei mai creduto potesse accadere. Sai? Io amavo Flavia. Lei era mia moglie. Ci siamo innamorati fin dal nostro primo incontro, un pò come è accaduto con te. Che stupido, credevo che niente al mondo sarebbe mai riuscito a rovinare la nostra storia. Finché Flavia non provò una certa attrazione per un suo collega. Non riuscendo a mentirmi di continuo, una sera mi confessò la cosa. E io… non ci vidi più. Stavo tagliando una bistecca, e le mani si sono mosse in modo automatico. Tre colpi precisi, al basso ventre. Sì, amavo Flavia. E ho amato anche te, Sabrina. Ora, credo che starete bene assieme.”
Poi si alzò, svanendo nelle ombre del corridoio. Sabrina represse un motto di rabbia. Per cercare di restare sveglia, si mise la lingua tra i denti e strinse forte finché sentì il gusto del sangue in bocca. L’acqua le salì agli occhi. Li chiuse. Ancora poco tempo, poi tutto sarebbe finito. In quel mentre, si chiese quale scusa avrebbe campato Mauro per cavarsela. I suoi genitori, i suoi amici, ben sapevano della loro relazione. Qualcuno avrebbe pur sospettato della sua scomparsa. Poi, di colpo, scoprì che non le importava nulla. Lei stava per morire, e forse le indagini si sarebbero arenate in poco tempo. E Sabrina Crevatin sarebbe stata solo l’ennesimo nome in un fitto elenco di persone scomparse nel nulla, e mai più ritrovate.
L’acqua la coprì completamente, traboccando dalla vasca. Si sentì scivolare verso il fondo, come se delle mani gelide la stessero premendo verso il basso, in un abbraccio glaciale.
Non volendo protrarre a lungo la sua sofferenza, decise di spalancare la bocca, di ingoiare quanta acqua possibile nel minor tempo. La sentì entrare nel suo corpo, invaderle la gola, scenderle nello stomaco. Poi si sentì gonfiare. Un reflusso le risalì in gola, provò un profondo senso di vertigine. Una tenebra più densa si sovrappose a quella creata dagli occhi chiusi. L’ultima cosa che Sabrina riuscì a sentire furono i battiti frenetici del suo cuore. Si concentrò su quel suono, come faceva quando cercava di addormentarsi in una notte insonne. E, lentamente, quella tenebra più densa si fece avanti, i battiti del cuore più lontani, un pulsare tenue.
Dopo qualche secondo, il mondo intero sfumò in un universo oscuro, senza traccia di luce. E Sabrina Crevatin smise di esistere.

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