18 Ottobre 2012

Isonzo Soca: intervista al vescovo Carlo Maria Redaelli

Andrea Bellavite parla con il nuovo vescovo di Gorizia: riportiamo alcuni brani della lunga intervista, rimandando alla rivista per la lettura integrale dell’articolo.

“I cristiani sono cittadini come gli altri e quindi parte integrante della società cui sono tenuti a contribuire, a seconda dei casi, con il loro impegno individuale o associato. Solo in alcune circostanze può essere opportuno un pronunciamento “ufficiale” della Chiesa nei confronti della società, e in particolare della politica, sempre però nel rispetto e nella distinzione dei ruoli e avendo di mira la dignità della persona umana e il bene comune.”
E’ questa una delle dichiarazioni rese dal nuovo vescovo di Gorizia, monsignor Carlo Maria Redaelli ,ad Andrea Bellavite, che l’ha intervistato per “Isonzo Soca”.
Il punto cui il vescovo risponde riguarda la sollecitazione dell’intervistatore sui rapporti tra Chiesa e politica, nello specifico della realtà goriziana: “La Chiesa non è una realtà disincarnata ha detto Redaelli – ma vive in un concreto contesto sociale, culturale, economico e politico. In tale situazione ha la sua responsabilità e un proprio ruolo che si articola diversamente a seconda che essa sia implicata nel suo insieme (compreso quindi anche il vescovo) o nelle sue diverse organizzazioni o tramite i singoli fedeli. Penso che, anche se a volte ciò può essere comodo, non si debba parlare di Chiesa da una parte e di società dall’altra come di due realtà per lo meno contrapposte se non estranee.”
Bellavite, tra i numerosi temi trattati, ha preso di petto anche la questione dell’Ilva e del comprensorio industriale monfalconese, nell’ottica della conciliazione del diritto al lavoro e della salvaguardia dell’ambiente: entrambi principi irrinunciabili, secondo lo stesso vescovo, che è necessario con “intelligenza, inventiva e dialogo tra tutte le parti interessate” tutelare in un quadro economicamente sostenibile.
Problema CIE di Gradisca: “ I genitori e i parenti di mia madre (di origine bellunese) per decenni – ha raccontato Redaelli – sono dovuti andare all’estero alla ricerca di un lavoro. Molte famiglie italiane hanno provato la stessa esperienza fino almeno alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Si tratta di una condizione che non dobbiamo dimenticare nell’offrire accoglienza e opportunità di lavoro e di integrazione a chi viene in Italia per inseguire il sogno di una vita migliore per sé e per i propri familiari. Tutto ciò, ovviamente, nel rispetto della legge. Spetta al legislatore, sostenuto da una cultura della legalità e dell’accoglienza che deve essere continuamente alimentata nella società civile (e la comunità cristiana ha in questo una grande responsabilità), promulgare, o se del caso aggiornare, leggi che trovino il giusto equilibrio tra le esigenze di accoglienza e di rispetto della persona e quelle dei concreti bisogni del mercato del lavoro e della sicurezza della società. Il tutto senza trascurare gli aspetti di concreta sostenibilità economica. Un discorso a parte, penso, riguarda i richiedenti asilo politico, dove l’attenzione alla salvaguardia della persona, minacciata in patria, deve comunque avere la priorità.”
“Ho l’impressione che anche a livello di Chiesa non si sia ancora compiuta una riflessione approfondita sul tragico ‘900 europeo.” Così si è espresso il vescovo, rivolgendosi ai cittadini del territorio goriziano, aggiungendo: “ Penso che le radici dell’attuale crisi di identità dell’Europa, culturale prima ancora che economica, siano da cercare in quelle drammatiche vicende. Ci sono stati – è vero – dei momenti di ripresa: la ricostruzione del dopoguerra, la nascita della Comunità europea, la caduta del muro, ecc., ma c’è ancora un lungo percorso da fare per ritornare a essere consapevoli della ricchezza di umanità dell’Europa, una ricchezza dove la componente cristiana (non solo cattolica) ha giocato un ruolo fondamentale, una ricchezza da mettere finalmente al servizio e non da utilizzare per lo sfruttamento degli altri popoli del mondo.Immagino che nei territori attorno al confine orientale dell’Italia queste riflessioni siano state e siano ancora particolarmente presenti non tanto per tenere aperte delle ferite, quanto per cogliere le motivazioni degli avvenimenti e per fare un passo avanti nella cultura di una vera solidarietà e integrazione europea.”

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