16 Ottobre 2010

Basket: sognavo di vedere i campioni NBA al Madison…

Danilo Gallinari

Quando ti mettono a 6 anni un pallone di basket fra le mani e te ne innamori non c’è più scampo, sai benissimo che quella sarà la tua più legale droga per il resto della vita, una benzina sul fuoco che arde di continuo e che fa viaggiare con la fantasia; se poi dall’esterno i poeti del gioco decidono di dare una spallata decisiva all’esigenza di volare basso, ecco che camera tua diventa il Madison Square Garden, che tu incarni la versione pallida di Michael Jordan e la platea la senti come il vociare di ventimila persone di un’arena degli States.

Troppo lontane quelle terre e quegli attori così ben confezionati nella scatola nera della televisione per pensare che esistano davvero, inarrivabili e così “americanizzati” da pensare che siano frutto di effetti speciali, fino a quando, per fortunate coincidenze della vita, ti trovi nella Grande Mela, si, proprio quella del fumo dei tombini, dei grattacieli che ti schiacciano ma che ti affascinano, dell’incrocio infinito di razze e del….Madison Square Garden.

L’occasione è una partita di pre-season di lusso, quella fra i Knicks del nostro Danilo Gallinari e dei mitici (e non solo per il sottoscritto ndr.) Boston Celtics dei “big-three” Pierce-Allen-Garnett. Entrare in un ala di stendardi raffiguranti le effigi di Willis Reed, Pat Ewing, e altri campioni è già una sensazione indescrivibile, il resto è piú simile all’immagine di Totò e Peppino a Milano che ad un navigato appassionato di basket, il piu’ provinciale degli appassionati di basket nella metropoli della palla a spicchi; gli store, il coinvolgimento musicale e visivo, e tutto ancora prima di salire le scale mobili per arrivare al Gate preposto. Poi….il Madison si chiude nella sua interezza, l’aria non puzza più di pop corn imburrati e i rumori sono sordi, si è anestetizzati dalla storia che riempie la testa, scorrono nella memoria le immagini di Benvenuti che vinceva il mondiale di boxe, la storia dei New York Knicks, i concerti di Sinatra; ci siamo, venuto dalla pur nobilissima terra giuliana che ha, ironia della sorte con la fattiva collaborazione degli yankees delle portaerei, portato le basi del gioco nella Milano che conta, sono pronto a resettare la concezione europea della palla al cesto per assorbire quella degli States.

Pensare che già nei posti popolari ci siano seggiolini comodi imbottiti, che non ci siano più di dieci metri da fare per avere ristoro e che tutti posti siano numerati, è già un bel passo avanti rispetto alla caotica e scarna filosofia italico-europea, improntata al solo evento cestistico giocato e soprattutto al risultato finale; inno nazionale come di consueto e presentazione che da sola varrebbe il prezzo del biglietto, americanate va bene, ma adrenalina a fiotti. La partita nel rettangolo di gioco traccia connotati che intuivo dai ragionamenti fatti davanti davanti al televisore, cioè spirito di competizione elevato al massimo (vedi espulsione di Garnett), concetti di difesa di squadra abbastanza rivedibili e tanto atletismo con isolamenti graditi anzichenò; la cornice al match invece è veramente qualcosa diametralmente opposto rispetto alla concezione del vecchio continente: spettatori ad applaudire e meravigliarsi di fronte a numeri degli avversari, silenti e “teatrali” per tutto il match (ora capisco i sottofondi musicali che accompagnano le azioni di gioco) a meno di un preconfezionato e impersonale “D-fense” (le curve europee diciamo in questo caso hanno un incidenza e un trasporto notevolmente maggiore), fino a esaltarsi in buona parte per la giocata della partita, un tiro in fade away di Pierce a 8 secondi dalla fine che suggella la vittoria dei Boston Celtics per 104 a 101….roba che Decoubertin sarebbe svenuto dall’eccitazione di quella situazione “sociale”sportiva.

La sirena di fine incontro é un pó come il sogno dei fumetti che “scoppia”bucato da un ago, mi lascio alle spalle il Madison come si lascerebbe un tempio sacro, non prima di veder bostoniani in “trasferta” orgogliosamente portare i colori irlandesi per le strade di NY senza che il becero campanilismo li costringa a nascondersi; in America lo sport é veramente uno spettacolo, un evento da vivere immerso nei suoi colori, nei suoni e anche perché no nelle sue grottesche amenitá di contorno, dove il tifoso “spreca” l’attenzione per ammirare i piú forti giocatori del mondo, non per rivaleggiare con tifoserie ospiti…..

I love this game!

Raffaele Baldini

2 commenti a Basket: sognavo di vedere i campioni NBA al Madison…

  1. Dag ha detto:

    Bello, bello. Spero anche io, un giorno, di andare a vedermi una partita NBA.
    Posso dire però una cosa. Certe partite di Eurolega a livello di gioco non sono da meno di quelle NBA e la cornice di pubblico è ancora più entusiasmante, perché più partecipe al gioco.

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