19 Aprile 2010

Coordinamento operaio di Monfalcone: “Ditte dell’indotto Fincantieri in ginocchio. Decine di licenziamenti al giorno”

La denuncia arriva dal Coordinamento operaio comunisti – Fabbriche monfalconesi. Pubblichiamo la presa di posizione nei cofronti della crisi che sta mettendo in ginocchio le aziende dell’indotto di Fincantieri Monfalcone.

“Malgrado le smentite siamo di fronte all’ennesima ristrutturazione della cantieristica italiana. Fincantieri sta calando una ad una le sue carte in un gioco dove gli unici a perdere qualcosa saranno i dipendenti: operai, impiegati di Fincantieri stessa e del sistema degli appalti.

Non a caso, sul piano locale, da settimane stiamo assistendo alla chiusura di innumerevoli ditte dell’indotto, a conseguenza della riorganizzazione interna dello stabilimento di Monfalcone. Drammatizzando la crisi economica mondiale, infatti, Fincantieri impone al sistema degli appalti la riduzione del personale; cosicché decine di lavoratori perdono ogni giorno il proprio posto di lavoro, nel silenzio generale.

Da un lato, Fincantieri manda in CIG centinaia di propri dipendenti diretti mirano a esternalizzare parte dei settori in cui essi sono operanti, per poi, nel caso, gestirne il loro rientro in produzione in un quadro normativo e lavorativo assolutamente diverso da quello attuale. D’altro lato, lo “sfoltimento” delle ditte dell’indotto, oltre a espellere parte dei dipendenti del settore dal ciclo produttivo, sovraccarica di lavoro la manodopera rimanente. In ogni caso, per tutti, diretti ed indiretti, la regola di Fincantieri è: il peggioramento delle condizioni di vita, lo sfruttamento e la precarizzazione del lavoro.

Fincantieri, quindi, ha deciso di stare sul mercato esclusivamente riducendo il numero della manodopera, puntando a ridimensionare e chiudere parte dei cantieri del Gruppo, al fine di privatizzarlo, nella mai sopita volontà di quotarlo in Borsa, tutto ciò con il consenso delle destre al governo, che per l’appunto, non danno alcuna indicazione strategica alla dirigenza aziendale ed anzi ne agevola le scelte, così come denunciato dalle stesse organizzazioni sindacali di categoria.
Pertanto, in mancanza di una reazione adeguata che provenga dalla base, c’è il rischio che il piano di Fincantieri vada a buon fine.

Solo l’unità di classe tra dipendenti di Fincantieri e delle imprese dell’indotto può bloccare i licenziamenti, le esternalizzazioni e il programma che vuole la privatizzazione della cantieristica italiana”.

Coordinamento operaio comunisti – Fabbriche monfalconesi

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42 commenti a Coordinamento operaio di Monfalcone: “Ditte dell’indotto Fincantieri in ginocchio. Decine di licenziamenti al giorno”

  1. Stefano (l'altro) ha detto:

    Perchè la privatizzazione della cantieristica (civile) sarebbe un male?
    L’importante è salvaguardare la quantità e la qualità dei posti di lavoro, poi se qualcuno ci guadagna tanto meglio. Oppure la si vuole pubblica perchè così può stare in perdita e paga Pantalone?

  2. mario binario ha detto:

    “L’importante è salvaguardare la quantità e la qualità dei posti di lavoro”

    finora in italia non e’ mai successo che una privatizzazione abbia salvaguardato la qualita’ e la quantita’ dei posti di lavoro.

  3. alpino ha detto:

    l’argomento è serio..per carità ma sentir dire nel 2010 frasi del tipo “..Solo l’unità di classe tra dipendenti di Fincantieri e delle imprese dell’indotto..” me vien el latte ai genoci…questi viggia ancora con unità/lotta di classe…

  4. mario binario ha detto:

    si’, fa ridere sentir parlare di unita’ di classe. fa ridere tanto quanto sentir parlare di radici cristiane, di popolo padano e di irredentismo. infatti sarebbe il caso di piantarla li’ con queste cazzate e di cominciare a parlare in modo serio di come uscire dalla crisi senza massacrare i lavoratori.

  5. Luigi (veneziano) ha detto:

    Fincantieri è una società di diritto privato. Non ha nulla a che vedere con l’idea del dipendente pubblico statale o regionale o comunale.

    Fincantieri a malapena ha commesse per il 2010. Già per il biennio 2011/2012 ha una riduzione drastica del lavoro.

    Di fronte ad eventi epocali come la crisi della cantieristica civile, sapendo che gli aiuti statali sono vietati, tutte le grandi aziende europee hanno proceduto nello stesso identico modo.

    Siccome i committenti delle navi di cui si occupa Fincantieri nel mondo sono una decina, e siccome alcuni cantieri asiatici lavorano con stipendi medi di 100/150 Euro al mese quando va bene, a me piacerebbe veramente capire quale potrebbe essere una proposta alternativa.

    In Croazia per tenere aperti i disastrati cantieri di Pola lo stato ha “regalato” alcune commesse. In pratica, ha chiesto di costruire delle navi, spendendo di più di quanto avrebbe speso se avesse ordinato il lavoro in giro per il mondo.

    In Italia che facciamo: commesse pubbliche per 2/3 miliardi di Euro di transatlantici che non ci servono? Gli facciamo costruire qualche fregata da guerra?

    Un’altra soluzione potrebbe essere quella per cui USA ed Europa fanno muro contro Cina, India, Corea & Co., innalzando barriere doganali, vietando la delocalizzazione eccetera eccetera.

    Questo significherebbe rimangiarsi cent’anni di sforzi per un mercato libero.

    Un’altra ipotesi – che è quella cui tutti puntano – è invece quella di sperare che i 2 miliardi e oltre di cinesi e indiani si arricchiscano il più possibile in tempi rapidi, in modo da far sì che le nostre merci diventino più appetibili per loro.

    In tal caso è necessario produrre beni di qualità non riscontrabile in quelle terre. Quindi produrre beni ad alto od altissimo valore aggiunto, o che in alternativa non siano replicabili.

    Per esempio: una bottiglia di Barolo o di Picolit ha un valore aggiunto altissimo, non è replicabile e quindi può essere prodotta solo qui in Italia.

    In cinque anni l’export di vino italiano in Cina è quadruplicato, ma se ci si sa muovere con grande dinamicità si possono fare grandi affari. La “Birra Pedavena” di Feltre (BL) – per esempio – ha appena chiuso un megacontratto di fornitura di birra in Cina attraverso “Birra Castello” (UD).

    Anche “Astoria Vini” (TV) ha chiuso un contratto con un importatore cinese. La cosa singolare è che questo contratto prevede la fornitura di una partita di Prosecco “in prova”. Sapeta che vuol dire questa “prova”? Che Astoria produce due milioni di bottiglie all’anno, e il contratto “di prova” è di 130.000 bottiglie in un colpo solo, con l’impegno a raddoppiarlo in dodici mesi se le cose andranno bene!

    Per tornare a Fincantieri: per restare sul mercato dovrà produrre a costi sempre più competitivi, in tempi sempre più brevi e con una qualità sempre maggiore del prodotto finito.

    Questo perché non produce “Prosecco DOC” (protetto dall’altr’anno dalla legge voluta da Zaia), ma un bene (una nave) che può esser fatto in Italia come in Germania come in Corea come nella stessa Cina.

    Luigi (veneziano)

  6. mario binario ha detto:

    “Un’altra ipotesi – che è quella cui tutti puntano – è invece quella di sperare che i 2 miliardi e oltre di cinesi e indiani si arricchiscano il più possibile in tempi rapidi, in modo da far sì che le nostre merci diventino più appetibili per loro.”

    c’e’ ancora una ipotesi, che nessuno prende in considerazione. e cioe’ che gli operai cinesi, indiani, ecc. comincino a sindacalizzarsi, ottengano diritti e salari umani, e riducano cosi’ il divario tra il costo del lavoro in europa e in asia.

  7. ciccio beppe ha detto:

    Sei matto? E cosa vorresti dopo? La rivoluzione bolscevica anche? 😉 Lasciamoli a casa gi operai, potranno sempre consolarsi ubriacandosi di Prosecco DOC. Anzi no, di tavernello cinese.

  8. mario binario ha detto:

    eh eh eh, cosi’ il grande capitalismo deve sostenere la dittatura del partito comunista cinese, in modo che gli operai cinesi possano continuare ad essere sfruttati, e la cina possa cosi’ continuare a sostenere il debito dei consumatori americani ed europei invece che redistribuire la ricchezza tra i suoi sudditi… la storia e’ divertente, alle volte.

  9. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ mario binario

    Cinico, ma esatto. La Cina da un lato è la più grande dittatura del mondo, dall’altro potrebbe essere – se le centinaia di milioni di cinesi continueranno a veder crescere la loro ricchezza con gli stessi ritmi – il mercato di sfogo per il mondo intero almeno per i prossimi cinquant’anni. Una sfida da far tremare i polsi, però attualmente quale altro scenario è più augurabile?

    L.

  10. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ mario binario

    A proposito dei salari. Una volta un industriale delle mie parti m’ha fatto vedere il business plan per la sua cotruenda fabbrica in Cina. Questo produce ferramenta varia.

    Alla casella “costo del personale per unità di prodotto” c’era scritto: “Trascurabile”.

    In pratica, il costo del lavoro era talmente basso (i suoi operai prendono circa 100 US$ al mese, e stanno bene!) che incideva solo per multipli di migliaia e migliaia di pezzi prodotti.

    L.

  11. brancovig ha detto:

    Lasciando fuori il costo del lavoro,però mi chiedo perchè una azienda in europa deve giustamente rispettare delle leggi, ad esempio sulla sicurezza o sull’ambiente e le merci non debbano rispettarle.

    E’ un evidente controsenso. Questo è il lato negativo della globalizzazione che ha portato ad una regressione dell’evoluzione sociale umana.

    Un altra cosa che mi piacerebbe è il trasferimento del trasporto da gomma a nave su e giù per lo stivale in direzione nord-sud.

    Perchè questo non è possibile? Quanto ci costa in inquinamento tempo, morti, polizie, manutenzioni, ed arrichimento delle solite famiglie (tra le quali una famosa veneta che alla competizione ha preferito l’abbraccio politico ed il monopolio) l’attuale sistema di trasporto?

    Perchè non limitare il traffico su gomma come fanno i nostri vicini e sostenere il trasporto via nave, incentivo alla cantieristica per tappare la crisi?

  12. mario binario ha detto:

    eh, il problema e’ che

    1) forse il pianeta non e’ in grado di sostenere uno sviluppo simile. inquinamento e riduzione della fertilita’ della terra potrebbero causare scenari inquietanti

    2) l’ occidente (e soprattutto gli usa) da una parte avrebbero bisogno che i cinesi si arricchissero abbastanza da diventare consumatori di prodotti occidentali. ma dall’ altra ha anche bisogno che la cina NON redistribuisca la ricchezza, e che la usi piuttosto per acquistare i debiti dei consumatori occidentali.

    la cosa pazzesca e’ che forse la sinistra potrebbe avere qualcosa da dire a riguardo. invece niente.

  13. mario binario ha detto:

    l’ ultimo post era per luigi

  14. Richi ha detto:

    @ Alpino 3

    Premetto: non sono mai stato, nemmeno a sedici anni, un capellone urlatore con l’Unita’ sottobraccio (ero piu’ un tamarro alla Tony Manero, ma vabbe’, questo e’ OT).

    Pero’ nel 2010 le classi operaie mi sembrano prese a calci nel culo ancor piu’ di trent’anni fa, quand’erano incazzate e non a rincoglionirsi davanti a Sky Calcio e programmi televisivi trash, sbavando e ammirando i loro sfruttatori, come oggi appunto. Dato che le classi dirigenti nuotano nei miliardi e sfruttano come e piu’ di prima, e’ tanto sbagliata l’incazzatura operaia? Io dico che e’ legittima.

    Tutto questo, con Mao, Tito e Stalin non c’entra nulla. Solo un discorso di buonsenso.

  15. Luigi (veneziano) ha detto:

    @ brancovig

    In realtà la globalizzazione non ha portato ad una regressione dell’evoluzione sociale umana.

    In termini mondiali è vero l’opposto: la globalizzazione ha consentito a masse di miliardi di persone in Asia (e parzialmente in Sudamerica) di affrancarsi da una condizione subumana.

    La globalizzazione di fatto si è sviluppata in questo modo: un enorme trasferimento della produzione industriale di massa in paesi a più buon mercato, che ha permesso a zone come una parte del Sud-Est asiatico e poi la Cina e l’India di trasferire decine e decine di milioni di persone dalle campagne dove morivano di fame alle città per impiegarle nei nuovi stabilimenti e in tutto ciò che c’è intorno (settore edilizio in primis), creando il maggiore a più duraturo boom economico della storia moderna.

    Il fatto è che a fronte di questo trasferimento di produzione, di capitali e di conseguenza di ricchezza doveva corrispondere una spettacolare modificazione dei sistemi produttivi nei paesi a capitalismo avanzato.

    Mentre la cosa è più o meno riuscita negli USA, a prezzo però di una mastodontica crisi finanziaria, qui in Europa abbiamo tenuto i conti un po’ più in ordine (salvo eccezioni anche clamorose), ma abbiamo importato dosi massicce di povertà.

    In questi casi poi se lo stato non è organizzato in modo da saper livellare le differenze socio-economiche, capita che le differenze fra il ceto medio e i ricchi si dilati vieppiù. Cosa che è capitata in Italia.

    Aggiungiamo a tutto ciò alcuni carichi da undici come il crollo delle economie socialiste, ed avremo un mix che può trasformarsi, alle nostre latitudini, da volano fenomenale a disastro. Oppure – come a me pare capiti nella realtà – un po’ volano e un po’ disastro.

    I Benetton hanno vergognosamente approfittato di un sistema di privatizzazioni che ha creato delle indegne rendite di posizione in situazioni di monopolio o – quando va bene – oligopolio. Un’altra miscela esplosiva.

    Indubbiamente qui la politica dovrebbe pesantemente dire la sua. Per come la vedo io, dovrebbe garantire la massima mobilità economica e sociale, regolando il sistema capitalistico. Per altri invece dovrebbe eliminarlo o comunque limitarlo.

    Aggiornato e corretto, è un discorso vecchio di centocinquant’anni.

    Luigi (veneziano)

  16. marisa ha detto:

    La realtà è tanto semplice quanto drammatica.
    C’è chi va in giro per il mondo alla ricerca di nuovi schiavi (operai da pagare pochissimo e sfruttare). Li paga pochissimo, ma gli insegna un mestiere. In parole povere crea quella che domani sarà la concorrenza che domani produrrà in proprio ciò che ora produce per lui. Allora il nostro a questo punto si sposta altrove alla ricerca di “altri” schiavi. E così lui diventa ricco sfondato, a casa sua le fabbriche che ha chiuso per delocalizzarle hanno prodotto migliaia di disoccupati, nel paesi in cui ha delocalizzato ha creato una situazione di sfruttamento altissimo.

    Quando una legge che prevede la restituzione dei contributi statali già incassati, per chi delocalizza?

  17. Lauro ha detto:

    La risposta a tutto questo c’è e si chiama Green Economy.

    Schematizzando, quando era diventata obsoleta l’industria pesante il sistema ha cominciato a produrre lavatrici e televisori, in seguito computer e telefonini cellulari.

    Ogni fase di obsolescenza ha dato vita ad una nuova produzione alternativa, sempre più tecnologica e sempre più di qualità, rendendo “di massa” produzioni che prima erano di nicchia.

    Oggi è il momento di tutte quelle produzioni che hanno a che fare con le biotecnologie, il risparmio energetico e con la produzione di energia alternativa, ma alternativa davvero, non le centrali nucleari del ‘900.

    Il comparto navale non è fuori da questo ciclo, e le autostrade del mare (ipotizzate in Italia già negli anni ’80) ritorneranno sul piatto.

  18. mario binario ha detto:

    da “la repubblica” di oggi

    I predatori in mocassini
    di PAUL KRUGMAN

    Lo scorso ottobre ho visto una vignetta di Mike Peters raffigurante uno studente al quale l’insegnante chiede di creare una frase usando “sacks”, terza persona singolare del verbo “sack” (letteralmente insaccare), utilizzato di norma in caso di saccheggi e razzie. E lo studente risponde: “Goldman Sachs”.

    Ed ecco che la settimana scorsa la Sec (Securities and Exchange Commission) ha accusato i dipendenti di Goldman che amano indossare mocassini di Gucci di dedicarsi a quello che potremmo definirsi un saccheggio da colletti bianchi.

    Utilizzo di proposito il termine “saccheggio” nel senso indicato dagli economisti George Akerlof e Paul Romer in un saggio del 1993 intitolato “Looting: The Economic Underworld of Bankruptcy for Profit”. In quel saggio, scritto durante i postumi della crisi dei risparmi e dei prestiti degli anni di Reagan, si sostiene che molte delle perdite subite nella crisi erano l’esito di frodi bell’e buone e attuate di proposito.

    Possiamo affermare la stessa cosa dell’attuale crisi finanziaria? Buona parte del dibattito sul ruolo che eventuali frodi hanno avuto nella crisi si è concentrata su due forme di inganno: i prestiti predatori e una rappresentazione edulcorata e scorretta dei rischi a essi associati. Chiaramente, alcuni soggetti che si sono avvalsi di mutui e prestiti sono stati abbagliati a sottoscriverne di complicati e onerosi, senza essere messi in grado di comprenderli, processo facilitato dai regolatori federali dell’Amministrazione Bush che hanno clamorosamente fallito sia nel porre freno ai prestiti illeciti sia nell’evitare che gli stati varassero iniziative per conto proprio. In buona parte, inoltre, gli erogatori di subprime non si sono tenuti stretti i mutui o i prestiti fatti, ma li hanno rivenduti agli investitori, in alcuni casi nella piena consapevolezza che le probabilità di incorrere in futuro in onerose perdite sarebbero state molto superiori rispetto a quanto si rendessero conto i sottoscrittori del prestito (o coloro che comperavano i titoli derivanti da operazioni di cartolarizzazione dei mutui).

    Adesso però assistiamo ad accuse precise per una terza forma di frode. Sapevamo da qualche tempo che Goldman Sachs e altri istituti commerciavano titoli sostenuti da ipoteche speculando su di essi, cercando di trarne profitto e scommettendo che quei titoli avrebbero perso valore. Pur essendo giustamente riprovevole, tale prassi tuttavia non era illegale. Adesso però la Sec sta accusando Goldman di aver creato e commercializzato titoli concepiti appositamente per svalutarsi, così che i loro clienti più importanti potessero guadagnarci sopra. Ed è questo che io chiamerei predatorio.

    Oltretutto, Goldman non è l’unico istituto finanziario ad essere accusato di truffa. Secondo ProPublica – il sito Web di giornalismo investigativo insignito del Pulitzer – numerose banche hanno contribuito a studiare a tavolino investimenti destinati a fallire per conto dell’hedge fund Magnetar, che ci stava speculando scommettendoci sopra.

    Quale ruolo pertanto riveste questa frode nella crisi finanziaria? A provocare la crisi non sono stati né il prestito predatorio né la vendita di mutui ipotecari con falsi pretesti. Di sicuro, in ogni caso, l’hanno aggravata, sia contribuendo a gonfiare la bolla immobiliare, sia creando un bel po’ di asset che era scontato che si sarebbero trasformati in asset tossici non appena scoppiata la bolla.

    Per quanto riguarda la presunta creazione di investimenti destinati in partenza a fallire, questi possono aver ingigantito le perdite per le banche che erano già sul versante dei perdenti, acuendo la crisi del settore bancario che ha trasformato lo scoppio della bolla immobiliare in una catastrofe che ha travolto l’economia intera.
    La domanda più ovvia da porsi è se la riforma finanziaria del tipo di quella allo studio oggi avrebbe potuto evitare alcune o tutte le frodi che paiono essersi moltiplicate negli ultimi decenni. E la risposta è sì.
    Infatti, da una parte un ufficio indipendente per la tutela dei consumatori avrebbe potuto contribuire a frenare il prestito predatorio. Un’altra clausola, prevista nel disegno di legge presentato al Senato, in funzione della quale i prestatori potrebbero trattenere il 5 per cento del valore dei prestiti erogati, avrebbe sicuramente limitato considerevolmente la prassi consistente nel confezionare prestiti disonesti da rivendere tempestivamente a investitori poco cauti.

    Meno chiaro è capire se la riforma dei derivati – che impone più che altro di vendere e comperare apertamente e in modo trasparente altri strumenti finanziari quali i credit default swap, per esempio le azioni e le obbligazioni – avrebbe evitato i presunti abusi commessi da Goldman (quantunque probabilmente avrebbe precluso alla compagnia di assicurazione Aig di perdere la ragione e di esigere un salvataggio federale in extremis). Ciò che possiamo dire è che la bozza finale della riforma finanziaria avrebbe fatto bene a prevedere clausole e formule in grado di scongiurare questo tipo di saccheggio, in particolare fermando la creazione di “Cdo sintetici”, sorta di cocktail di credit default swap che permettono agli investitori di scommettere grosse poste su asset che nemmeno possiedono.

    La lezione più importante che si dovrebbe trarre dalle accuse contro Goldman, in ogni caso, non riguarda la bozza finale della riforma, bensì la necessità urgente di cambiare Wall Street. A dar retta ai lobbisti dell’industria finanziaria e ai politici repubblicani che bazzicano con loro si sarebbe indotti a credere che tutto andrà benone fintanto che il governo federale promette di non effettuare più salvataggi in extremis. Ma questo è assolutamente sbagliato e non soltanto perché una promessa simile non sarebbe attendibile, ma anche per il fatto che buona parte del settore finanziario è diventato un racket, un match negativo nel quale un esiguo numero di persone riceve stipendi astronomici per indurre in errore e sfruttare consumatori e clienti. Se non sapremo arginare il diffondersi di queste pratiche, il racket non potrà che continuare.
    © 2010 The New York Times
    Traduzione di Anna Bissanti

  19. mario binario ha detto:

    sul doppio legame tra cina e usa, ilaria maria sala aveva scritto un articolo molto interessante su “diario” del febbraio 2008. purtroppo l’ articolo non si trova on line.

    Se i comunisti si comprano l’ America Così la Cina «domina» Washington

    La Cina comunista e gli Stati Uniti: abbraccio mortale tra partner improbabili. Come si sia arrivati, «quasi senza farci caso», al punto in cui sulle spalle di ogni cittadino americano grava un debito di 4 mila dollari con il Partito Unico, è l’ interrogativo che si pone il primo numero della nuova serie di Diario con un articolo di Ilaria Maria Sala. Finora il debito Usa è stato assorbito da governi esteri che hanno investito riserve in titoli di Stato e buoni federali di Washington. Operazione a basso reddito e rischio zero. Ma sarà davvero tanto urgente, per il Paese con la maggiore riserva di valuta al mondo e milioni di persone sotto la soglia di povertà, usare i propri trilioni per consentire agli americani di vivere al di sopra delle proprie possibilità?

    Pagina 16
    (2 febbraio 2008) – Corriere della Sera

  20. mario binario ha detto:

    anche questo e’ interessante. ci si puo’ intravvedere un possibile futuro per la cantieristica.

    da “la repubblica” di qualche giorno fa

    ECONOMIA
    Memphis, dove la crisi è finita
    Viaggio nella “Scatola globale”
    La città del Tennessee è sede dello “hub” intercontinentale della Federal Express
    uno dei massimi vettori mondiali di merci. E qui si capisce che il commercio è ripresodi FEDERICO RAMPINI

    Memphis, dove la crisi è finita Viaggio nella “Scatola globale”

    Memphis, gli aerei della Federal Express
    Vista dallo spazio, nelle fotografie satellitari di GoogleMap sembra la più gigantesca delle basi militari della U. S. Air Force. Nei suoi vasti piazzali è parcheggiata la più potente flotta mondiale di jet “wide-body”, i colossi dei cieli. Ma se ingrandisci le foto scopri che quegli aerei anziché cacciabombardieri sono dei cargo. Benvenuti a Memphis, Tennessee. Lontani sono i tempi in cui questa città era un simbolo delle battaglie per i diritti civili di Martin Luther King nel profondo Sud, e la sua unica attrazione era il Rock’n Roll Museum dedicato a Elvis Presley. Oggi Memphis è la metropoli più dinamica d’America, dove le offerte di lavoro abbondano, e nel business trainante gli stipendi crescono a vista d’occhio, da un mese all’altro. Il suo segreto è in quell’aeroporto, il centro della Scatola Globale che ha ripreso a viaggiare freneticamente con la fine della recessione. Anche se il “tribunale” degli economisti – il National Bureau of Economic Research – esita ancora a decretare ufficialmente l’uscita dalla crisi, i segnali di euforia abbondano. L’indice Dow Jones ha ritrovato la soglia simbolica degli 11.000 punti. I colossi dei prodotti di consumo di massa, da Procter & Gamble a Colgate Palmolive, aumentano di colpo gli investimenti pubblicitari a ritmi che raggiungono il 20%. Il magazine Newsweek esce con una copertina trionfale su “The Comeback Country”, ovvero la riscossa dell’America. Il sottotitolo è eloquente: “Come ci siamo ripresi, e perché siamo destinati a essere in testa ancora una volta”.

    Da nessuna parte questa fiducia è “fisicamente” visibile quanto all’aeroporto merci di Memphis. E’ lo hub intercontinentale di Federal Express, meglio nota come FedEx. Una sigla che solo gli inesperti traducono ancora in “corriere espresso”. In realtà è un impero mondiale del software logistico e dei trasporti, che governa dall’origine in fabbrica fino alla destinazione finale a casa del consumatore il percorso della Scatola Globale. Sorvolando oceani, traversando continenti, intasando metropoli con i furgoni della consegna porta a porta. E’ un barometro preciso della salute dell’economia mondiale. Un indicatore che da qualche mese è impazzito di attività. Come il carosello vorticoso dei nastri scorrevoli nel terminale di Memphis. Somiglia a quelle rotatorie che tutti i passeggeri conoscono, dove in ogni aeroporto si aspetta la consegna dei bagagli. Solo che gli esseri umani addetti a scaricare da questo nastro scorrevole sembrano nani. Perché nello scalo di Memphis i nastri sono dieci volte più larghi, smisurati: quel che occorre per vomitare le migliaia di scatoloni che ad ogni ora vengono scaricati dal ventre dei jet-cargo, e poi istradati su camion verso tutte le città americane. Che l’economia globale abbia ripreso a girare lo dice il viavai incessante di decolli e atterraggi su queste piste di Memphis: gli Md-80, gli enormi trireattori Md-11, e i primi Boeing 777 ordinati di recente per star dietro alla ripresa. Memphis, Tennessee, è un nome familiare a tutti i piloti del mondo. Mentre le compagnie passeggeri passano da una cura dimagrante a un’ondata di scioperi, FedEx offre gli stipendi più alti d’America a chi accetta i suoi turni massacranti, gli straordinari obbligatori, il ritmo folle dei voli che consegnano la Scatola Globale.

    La ripresa dei commerci mondiali è arrivata, più repentina e vigorosa di quanto ci aspettassimo. Subito ha preso i colori variopinti della nuova bandiera americana: il marrone dei furgoni Ups parcheggiati in seconda fila che intasano le vie di Manhattan e Los Angeles, il giallorosso dei camioncini Dhl e Tnt, il biancorosso dell’armata di furgoni FedEx. Hanno sostituito nel paesaggio urbano i camion del latte e della posta di una volta, sono più ubiqui dei vecchi autobus scolastici color arancione. Hanno imposto l’egemonia americana nel mondo intero: con gli stessi colori traversano le vie di Shanghai e Mumbai, Milano e Londra, perché almeno in questo campo l’America regna sovrana e incontrastata. Se la globalizzazione nel trasporto delle merci ha un brevetto, questo appartiene alle multinazionali Usa della logistica, sono loro a gestire minuto per minuto i
    percorsi della Scatola Globale.

    Dalla catena di montaggio in una fabbrica di microchips nel Guangdong all’assemblaggio di queste memorie in una fabbrica di computer a Taiwan. Poi nei cartoni d’imballaggio dal porto di Taipei a bordo di una nave portacontainer che batte bandiera sudcoreana e paga i dividendi a un armatore di Singapore. Poi ancora al porto californiano di Long Beach, quindi al trasbordo su una ferrovia merci posseduta da Warren Buffett, oppure su un Boeing cargo diretto a Memphis, e da qui sulla flotta dei camion che arrivano negli Apple Store di Manhattan, nei depositi di Amazon a Seattle, nei supermercati di elettronica BestBuy. Questo circuito era al collasso ancora pochi mesi fa. Ora ha ripreso a funzionare a pieno ritmo. E la spia più fedele è proprio il gigante di Memphis, il centro nervoso della rete logistica che unisce le fabbriche cinesi ai consumatori americani, l’Italia del Nordest alla California, il Brasile al Canada. Dal quartier generale del Tennessee la FedEx Corporation annuncia che i suoi profitti nel primo trimestre del 2010 sono più che raddoppati rispetto all’anno scorso.

    “Per noi – dice il presidente di FedEx Frederick W. Smith – la ripresa dell’economia mondiale procede a gonfie vele”. E se lo dice lui, sa di cosa sta parlando. “Il volume quotidiano di merci trasportate da FedEx è risalito del 18% negli ultimi tre mesi”. Per lo scalo-hub intercontinentale di Memphis si annunciano tempi ancora più frenetici. La multinazionale ha appena deciso nuovi investimenti per 3 miliardi di dollari, in gran parte destinati ai nuovi acquisti di Boeing 777 per potenziare la flotta cargo. In aumento del 5% anche il volume delle merci trasportate su gomma dal corriere espresso, le consegne porta a porta dei suoi fattorini su camion. La Scatola Globale che torna a viaggiare febbrilmente ha colto impreparati altri protagonisti del circuito mondiale. Gli armatori non si aspettavano un rimbalzo così veloce. Le flotte mercantili, che tra il 2004 e il 2008 avevano conosciuto un’età dell’oro con aumenti dei noli a due cifre percentuali ogni anno, nello choc della recessione si sono rattrappite. L’anno scorso più di 500 navi portacontainer sono state messe a riposo, e ben 200 grandi navi sono state mandate nei cantieri di rottamazione. Quando è finito lo sciopero dei consumi, il trasporto marittimo non ha potuto reagire di scatto.

    “E’ stata una fantastica opportunità per noi”, dice Jess Bunn della FedEx nell’annunciare che raddoppiano i voli cargo tra Memphis e i principali aeroporti asiatici. La concorrente Ups ha visto un aumento dei volumi di trasporto del 12%. Le aziende che devono consegnare i loro scatoloni alla grande distribuzione – jeans o telefonini, computer o scarpe – oggi sono disposte a pagare un sovrapprezzo fino al 50% per trasportarle via cielo, vista la carenza di navi. Un caso esemplare è quello di Pat Moffett, capo della logistica internazionale alla Audiovox Corporation di Hauppauge, nello Stato di New York. Questo grossista di prodotti elettronici, che importa soprattutto dalla Cina, si è trovato nei giorni scorsi di fronte a un dilemma: aveva 13 container pieni di lettori-Dvd fermi su un molo del porto di Hong Kong. La ragione? Una nave portacontainer, sovraccarica di ordini, aveva dovuto rinunciare a trasportarli. Ma i supermercati di New York aspettavano quei Dvd-player per rifornire i propri scaffali, presi d’assalto dai consumatori come ai bei tempi andati. Moffett ha dovuto arrendersi, ha pagato il 45% in più perché gli scatoloni coi lettori Dvd viaggiassero su aereo, in modo da consegnarli puntuali ai clienti in America. A questa febbre della ripresa si sono agganciate anche le esportazioni made in Usa. Navi e jet-cargo non viaggiano più semivuoti quando tornano dagli scali americani verso l’Asia. Dopo tanti anni anche il made in Usa ha ripreso a solcare gli oceani nel circuito intercontinentale degli scatoloni.

    Davvero quindi è l’America “The Comeback Country”, il leader tornato in sella dopo la rovinosa caduta del 2008 e 2009? In realtà, come dimostrano gli ultimi dati dell’Ocse, la ripresa è partita dalla Cina. Da lì ha contagiato il resto dell’Asia, poi grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime ha trainato tutto il club dei Bric: indiani brasiliani e russi. Adesso, è vero, anche l’America torna a ruggire. L’aumento di oltre 160.000 posti di lavoro nell’ultimo mese, il boom del Dow Jones che compie un anno, i 200.000 consumatori che in nel solo weekend del lancio inaugurale si sono avventati sull’iPad della Apple, incuranti dell’alto costo: gli indicatori positivi si accavallano. Non è un caso che rafforzino gli investimenti sulla propria immagine i più grandi acquirenti mondiali di spazi pubblicitari come la Procter & Gamble, produttore di marche globali come lo shampoo Pantene, i pannolini Pampers e il dentifricio Crest. Un solo dubbio affiora nella copertina esuberante di Newsweek: siamo destinati a rifare tutto come prima? A osservare il duetto rinato fra America e Cina, o la spensieratezza di Wall Street, sembra quasi che il biennio della grande recessione sia stato solo un brutto sogno.

    © Riproduzione riservata (13 aprile 2010)

  21. alpino ha detto:

    Una noia mortale sti articoli lunghi come la quaresima..tutti hanno teorie tutti hanno teoremi ricerche spiegazioni duzioni..della stramicnhia aggiungerei io…con le teorie sopra esposte ed altrettante che campeggano nelle televisioni, testate giornalistiche, bocche di economisti ci faccio la lettiera del gatto.
    Tutti questi scienziati se ne escono conle loro spiegazioni a posteriori mai in anticipo per salvare la nave..vabbè lasciamo perdere..alla fine ciò che fa la massaia o l’uomo di strada nel cercare il prodotto al minor prezzo talvolta magari anche rinunciando a piccole parti di qualità, lo fa l’imprenditore cercando manodopera e materia prima dove il costo è nettamente inferiore, in cina India questo nettamente è addisrittura imbarazzante, non servono teorie o luminari per capire cosa sta accadendo..Marisa invece ha detto una cosa saggia, ciò che dai ti sarà restituito..infatti questi imprenditori che esternalizzano in Cina stanno contemporanemamente esportado sapere e formazione per la futura concorrenza..che poi presenterà il conto e magari lo stesso imprenditore si troverà a concorrere contro aziende composte dai suoi stessi ex operai..ficooo 🙂
    Aggiungo una cosa: le aziende portano il lavoro in Cina pagano il prodotto finito 4 lire poi lo ripresentao sul mercato a prezzi folli ed in più vengono a farci la manfrina del compra italiano….non ultimi gli scandali di Gucci, D&G, divani e divani

  22. mario binario ha detto:

    a dire il vero paul krugman aveva denunciato per anni la china pericolosa su cui si era messa la finanza internazionale. e l’ articolo di ilaria maria sala e’ del febbraio 2008, quindi prima della crisi. se le cose sono andate in vacca e’ perche’ qualcuno ha chiuso tutti e due gli occhi. ecco un altro articolo palloso. se non ti interessa non leggerlo. puoi sempre dedicarti alle questioni veramente interessanti, come l’ etimologia del toponimo “trieste”.

    Una “lady di ferro” in campo
    contro i padroni della Borsa
    Mary Schapiro, da un anno alla guida della Sec: “Si è fatto finta di non vedere, ora basta”. “Il solo fatto di attaccare Goldman Sachs è il segno che la Commissione è molto sicura di sé”dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

    Una “lady di ferro” in campo contro i padroni della Borsa
    NEW YORK – Barack Obama verrà di persona a Wall Street, a sostenere l’offensiva contro Goldman Sachs e la degenerazione della finanza. Dopo l’affondo della Securities and Exchange Commission (Sec), che venerdì ha imputato alla Goldman una grave frode contro i clienti, sarà il presidente giovedì a scendere nella “tana del leone”. “L’ultima crisi – ha detto ieri Obama – ha distrutto 8 milioni di posti di lavoro e migliaia di miliardi di risparmi delle famiglie. Questa è la posta in gioco, se non cambiamo le regole e non riformiamo Wall Street”. Con una manovra di accerchiamento i democratici accelerano i tempi della riforma legislativa sui mercati. Commentando lo scandalo Goldman, ieri il presidente della commissione Finanze del Senato Chris Dodd ha detto: “Per mettere fine a comportamenti come questi e per proteggere la nostra economia da un altro disastro, dobbiamo agire subito”.

    L’appoggio della Casa Bianca è totale verso Mary Schapiro, la dama di ferro che da poco più di un anno è al timone della Sec, l’organo di vigilanza sulla Borsa. Questa giurista di 53 anni, con una lunga esperienza nella regolazione dei mercati, è la protagonista di una vera rivoluzione. “Ma chi si crede di essere, la guardiana della finanza?” era il commento ironico di Newsweek ieri. In effetti l’America aveva dimenticato che proprio questo è il compito della Sec. L’organo di controllo che la Schapiro ereditò al suo insediamento il 20 gennaio 2009, era ridotto all’ombra di se stesso. Sotto i suoi tre predecessori nominati da George Bush (Harvey Pitt, William Donaldson e Christopher Cox) la Sec era diventata “la volpe a guardia del pollaio”, secondo la caustica definizione data perfino da un repubblicano: John McCain. Tutti i peggiori scandali dell’ultimo decennio le erano passati sotto il naso: i crac della Enron e della Worldcom, più ovviamente la gigantesca bolla dei mutui subprime, dei titoli strutturati e dei credit default swap che causarono la bancarotta di Lehman Brothers e sono al centro della frode Goldman. Lo smacco più umiliante fu la truffa di Bernard Madoff. Un’inchiesta dello stesso ispettore generale della Sec ha concluso che l’organo di controllo fallì miseramente nel suo compito. Fin dal 2002 aveva ricevuto denunce su Madoff. Se fosse intervenuta avrebbe salvato le vittime del “buco” da 7 miliardi.

    Ma l’inettitudine della Sec nell’ultimo decennio non era casuale. Mary Schapiro la spiega con lucidità: “L’America fu catturata dall’idea che i mercati possono correggersi da soli, e che gli esperti di Wall Street possono proteggere il nostro sistema finanziario meglio dei controllori. La Sec è stata traviata da quella filosofia”. I suoi predecessori non erano ciechi, avevano l’ordine di non vedere. Ma in un discorso dell’ottobre scorso, che è interessante rileggere dopo lo scandalo Goldman, la Schapiro fece capire che l’andazzo era cambiato: “Il risparmiatore, l’investitore possono accettare che una bolla speculativa sulle nuove tecnologie o una recessione fanno parte del gioco dell’economia di mercato. Quello che non possono accettare è un sistema inaffidabile, ingannevole”.

    E’ proprio questo il significato della bomba che la Schapiro ha lanciato contro Goldman con l’accusa di frode. E’ la fiducia alla base del funzionamento dei mercati, quella che la Goldman ha distrutto con il suo comportamento. Quando all’inizio del 2007 il gestore di hedge fund John Paulson andò da Goldman spiegando che voleva scommettere sul crollo dei mutui subprime, gli fecero confezionare un portafoglio di titoli “tossici” su misura. Poi Goldman rifilò i titoli a grossi clienti tra cui la banca olandese Abn Amro e la tedesca Ikb, nascondendo il ruolo di Paulson. “Questa ricostruzione è terribile per la reputazione di Goldman Sachs – osserva il giurista Marcel Kahan della New York University – perché non c’è nulla di peggio agli occhi del mercato. L’accusa alla Goldman di aver truffato i propri grandi clienti può creare un danno alla sua immagine che sarà un multiplo delle multe inflitte dalla Sec”.

    Questo lo sa bene Mary Schapiro. Nell’armamentario a sua disposizione, il poliziotto dei mercati non ha soltanto le sanzioni amministrative. L’azione della Sec spesso è solo un inizio. Se vince, dopo la sua multa può muoversi la magistratura con processi penali; entrano in campo le vittime con le richieste di indennizzi in sede civile; infine c’è il danno di immagine che può essere irreparabile. Inesorabile, la Schapiro non si muove solo contro le banche. Le sue inchieste si moltiplicano a tutto campo, la settimana scorsa ne ha aperte contro General Electric e Hewlett-Packard. Ma di certo la grande banca d’investimento che domina Wall Street da decenni è il bersaglio più importante, l’avversario più potente. “Il solo fatto di attaccare Goldman Sachs – osserva il giurista Donald Langevoort della Georgetown University – è il segno che la Sec oggi è molto sicura di sé. Un tempo non ne avrebbe avuto le risorse. Perché contro Goldman Sachs sarà vera guerra”.

    © Riproduzione riservata (20 aprile 2010)

  23. Bibliotopa ha detto:

    Ma tutti questi articoli, non finiscono con un © Riproduzione riservata ??
    e voi li copincollate così tranquillamente?
    emm, che te ne sembra, visto che il responsabile sei tu?

  24. Stefano (l'altro) ha detto:

    per mancanza di tempo e voglia ho saltato gli articoli preferendo i post con le opinioni personali quindi potrebbe mancarmi qualcosa. Il primo commento di risposta al mio l’ho trovato interessante e la mia replica sarebbe: compito dei sindacati. Però questi ultimi sembrano più orientati verso la politica (intesa come sottogoverno & potere) anzichè verso le situazioni contingenti di salvaguardia di TUTTI i lavoratori. Il “padrone” fa quello che ha sempre fatto, si arricchisce in qualsiasi modo, è il sindacato ad aver abdicato alle sue prerogative in cambio di poltrone più o meno importanti.
    Detto questo, per tornare in bisiacaria, se gli americani non hanno più tanti soldi da spendere in navi bianche che si fa?
    Se vogliamo spendere soldi pubblici lo possiamo fare in un unico modo: nel militare. Rifacciamoci una Marina degna di questo nome, il prestigio che ne deriverà porterà il resto. Un prodotto d’eccellenza si vende da sè e le portaerei alla Cina non riescono ancora bene.

  25. mario binario ha detto:

    nell’ articolo di rampini c’e’ scritto che durante i mesi della crisi i grossi armatori hanno rottamato centinaia di navi portacontainer. nel momento in cui l’ economia ha cominciato a riprendersi, gli armatori si sono trovati con poche navi e cosi’ la fed-ex si e’ buttata in torta con il trasporto aereo, che pero’ costa il 45% in piu’. puo’ darsi che ci siano spazi per un cantiere come quello di monfalcone nel campo delle navi portacontainer e affini. se l’ italia decidesse di sviluppare il trasporto via mare, ci sarebbe spazio anche per commesse pubbliche (non fasulle come quelle croate).

  26. mario binario ha detto:

    non credo che sia il caso di spendere soldi pubblici per rifarsi una flotta di navi da guerra. infatti questi soldi verrebbero sottratti a scuola, sanita’ e welfare, che sono gia’ ridotti al lumicino.

  27. mario binario ha detto:

    @ stefano

    certe privatizzazioni, come quella della telecom, sono andate male perche’ sono state fatte male. la telefonia in italia e’ la truffa del secolo. forse lo stato avrebbe fatto bene a tenersi le linee, e a darle in concessione agli operatori privati, che sarebbero stati cosi’ in situazione di assoluta parita’.

  28. effebi ha detto:

    le classi operaie sono (oggi) trattate a calci in culo nel mondo capitalistico perchè sono entrate in diretta concorrenza con le classi operaie di quel sopravvissuto mondo comunista (dove sono e sono sempre state prese a calci in culo …sic !)
    che ora proprio da organizzazioni comuniste (sopravvissute nel mondo capitalistico) venganole predicozze fa un po ridere (e fa venire il mal di pancia)

    queste “nostre” organizzazioni che qui pontificano oltrepassino la muraglia e vadano a tirare le orecchie ai loro “degni compagni” che conrinuando a sfruttare la “loro classe operaia” stanno mandando in crisi “la nostra classe operaia”

    …esportiamo i nostri “sindacati doc”

    (in cina varano le navi spingendole a mano…)

  29. mario binario ha detto:

    effebi

    dopo lo sfogo, ti renderai conto che stare li’ a polemizzare sul termine “comunista” con serve a niente. la verita’ e’ che la cina ha investito tutto il suo pil nell’ acquisto di titoli di stato americani. di fatto, la cina ha prestato soldi ai consumatori americani per poter continuare ad esportare in usa. se (come spero) gli operai cinesi si organizzeranno in sindacati e otterranno paghe e condizioni di vita migliori, questo avra’ dei contraccolpi in occidente. infatti la cina, per redistribuire le propie ricchezze all’ interno, dovra’ per forza vendere i titoli di stato americani, mandando cosi’ in vacca l’ economia occidentale. d’ altra parte se non lo fara’, in occidente ci sara’ sempre meno lavoro e le cose andranno comunque in vacca. e’ un casino.

    p.s. in tutto questo il comunismo non c’entra piu’ niente. il comunismo e’ finito, e questa e’ una bega tutta interna al mondo capitalista.

  30. marisa ha detto:

    @ BIBLIOTIPA – commento 23

    Ho chiesto a un amico giornalista cosa significasse la scritta “Riproduzione Riservata” che da un po’ di tempo si trova al termine di alcuni articoli pubblicati sulla stampa.

    RISPOSTA: “E’ “di moda” da un po’ di tempo. Ma in realtà se riporti il nome del giornale, data e firma, non c’è alcun problema, e lo poi citare anche per intero!”

    Chi mi ha risposto è caporedattore in un quotidiano molto noto.

  31. Stefano (l'altro) ha detto:

    @ mario binario:
    Sulla telefonia mi trovi completamente d’accordo, sul business dell’industria militare un po’ meno. Purtroppo l’uomo dalla sua apparizione ha saputo far bene solo una cosa: ammazzare il suo simile. Purtroppo o per fortuna l’industria militare è la spinta maggiore all’ hi-tech. Primeggiare in quel campo significa dominare anche tutti gli altri. Alla scuola ed al welfare come sono ridotti adesso potresti dare tutto il deposito di Paperone che lo sprecherebbero comunque. Non credo che vedremmo soldati vestiti da Armani e prof con le pezze al c….

  32. ufo ha detto:

    Ti consiglierei di non fidarti: secondo Wikipedia quella particolare scritta blocca proprio la facoltà di utilizzare il testo citando la fonte.

    Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_d%27autore_italiano#Opere_o_parti_di_opere_soggette_al_libero_utilizzo

    Testo della legge (e succ. mod.): http://www.interlex.it/Testi/l41_633.htm

    Non sarebbe il primo caso in cui un giornalista prende fischi per fiaschi: esempio eclatante le gallerie fotografiche dell’edizione online del Corriere della Sera, dove da anni ormai si usa rubare immagini dalla Rete e ripubblicarle scrivendoci solamente “da internet” invece di riconoscerne la fonte (per non parlare dei diritti di utilizzo).

  33. mario binario ha detto:

    stefano

    il tuo commento, contrapposto ad alcuni dei miei, apre uno squarcio nella cortina fumogena sollevata da chi afferma che destra e sinistra sono categorie senza senso.

  34. Luigi (veneziano) ha detto:

    Oggi sulla stampa specializzata è apparsa una notizia: il primo paese importatore di beni tedeschi al mondo (in termini quantitativi) non sono più gli USA, ma la Cina.

    Questo significa che la Cina non è solo un pericolo, ma un’enorme opportunità.

    Tutte le idee per cui bisognerebbe bloccare il commercio o bisognerebbe innalzare barriere o cose del genere, ai miei occhi sono delle emerite sciocchezze.

    Perché dev’essere possibile delocalizzare la produzione in Puglia (esiste un distretto industriale fatto quasi esclusivamente da industriali veneti), e invece non dovrebbe essere possibile farlo in Romania o in Cina? Qual è la logica economica e commerciale che sta sotto quest’idea? E’ la stessa logica che ha retto l’economia preindustriale, per cui per andare da Milano e Trieste dovevi avere un passaporto, per spedire un pacco dovevi pagare la dogana, per portare dei soldi dovevi chiedere permessi e permessini e il cambio era un’operazione di alta ingegneria finanziaria, e per esportare dovevi pagare dazi, balzelli e controbalzelli di ogni tipo.

    “Quanti siete? Cosa portate? Dove andate? Un fiorino!”

    L.

  35. mario binario ha detto:

    ma infatti il problema non e’ quello di innalzare barriere per le merci. il problema e’ quello di abbattere le barriere al rispetto dei diritti umani, compresi quelli politici, sociali e sindacali. la questione che ho sollevato io infatti e’ la seguente: fino a che punto conviene all’ occidente (che poi saremmo noi) che tali diritti siano realmente rispettati ovunque nel mondo?

  36. mario binario ha detto:

    e poi la questione delle questioni: e’ eticamente accettabile che le merci abbiano piu’ diritti degli uomini?

  37. Roberto Zolia ha detto:

    A me pare che si faccia una gran confusione, condita da ideologia: le commesse sono poche e gli operai Fincantieri non sono a rischio; alcuni sono in Cassa Integrazione, non in Mobilità. E’ logico che in un periodo di magra le aziende portino all’interno processi produttivi che prima erano delegati all’esterno, proprio per preservare i posti di lavoro. In quanto alle ditte private, sono la maggior parte di esse ad essere il luogo di sfruttamento della manodopera. Lo sapete quanto guadagna un saldatore bosniaco? Una miseria. Sapete quanto guadagna un asiatico? Una miseria. Quella miseria che poi è diventata punto di riferimento salariale e che fa una concorrenza disonesta agli operai “normali” ed alle ditte che li hanno assunti; e ci si meraviglia poi perchè essi votino Lega.

  38. mario binario ha detto:

    votare lega non e’ segno di grande astuzia. cosi’ gli immigrati saranno ancora piu’ maltrattati, saranno costretti ad accettare salari ancora piu’ bassi, e trascineranno a picco anche i salari degli “autoctoni”.

    saluto e mi eclisso

  39. brancovig ha detto:

    @Luigi

    Certo la globalizzazione ha permesso di far emergere alcune economie che fino a qualche anno fa si considervano del terzo mondo. Fatto positivo. Questo però ha avuto un costo che si è concentrato prevalentmente sui giovani ed ha fatto aumentare, qui da noi, le distanze tra i reditti tra le classi sociali.

    Da quanti tempo non si è vista una generazione con prospettive peggiori della generazione precedente? Dalla caduta dell’impero romano?
    Il costo di questa ridistribuzione (data dalla globalizzazione) si è concentrata e concentrerà su pochissime generazioni.

    I figli di oggi sicuramente avranno un reditto e garanzie sociali largamente inferiori ai loro padri. Questo è un fatto che dovrebbe farci riflettere moltissimo sul modello di sviluppo che stiamo inseguendo.

    Il periodo di più rapido avanzamento sociale accompagnato da una ridistribuzione del reddito adeguata è stato il periodo del dopoguerra (definito da Hobsbawm età dell’oro), quando, anche per competere con i paesi comunisti (ancora in fase di crescita) nei paesi occidentali si è sviluppata un economia di stampo socialdemocratico (anche se il termine è molto forzato), con notevoli conquiste sociali.

    Ritornando al discorso dei cantieri una strategia di sviluppo del trasporto diversa da gomma potrebbe migliorare la qualità della vita nel nostro stivale ed aiutare in momenti di difficoltà i cantieri

    Infine sui dazi e le merci. I dazi non risolvono il problema e sono anacronistici. Ma se come comunità europea per fare un palla colorata richiedo ad un azienda di avere dei locali idonei alla verniciatura, richiedo lo smaltimento dei rifiuti in un certo modo e l’uso di coloranti con una certa tossicità, credo che, coerentemente le stesse richieste dovrebberò essere fatte per la palla che viene dalla Cina per essere vendita in EU, o no?

  40. effebi ha detto:

    da qualche parte ho letto una bella fiaba e mi sono addormentato:

    “….se (come spero) gli operai cinesi si organizzeranno in sindacati e otterranno paghe e condizioni di vita migliori…”

    zzzzzzzzzzzzz !

  41. effebi ha detto:

    poi mi son svegliato e ho letto che “il comunismo e’ finito”
    …non dirlo a me (che “faccio polemica” !?), mariobinario lo devi andare a dire a chi firma i volantini…

  42. lady gaga ha detto:

    @ effebi

    mario binario mi ha chiesto di scrivere quanto segue:

    lo scandalo non sono gli operai monfalconesi, per i quali dirsi “comunisti” significa solo mantenere viva una “narrazione”.

    lo scandalo sono i grandi capitalisti occidentali, che hanno bisogno del pugno di ferro del pcc per tenere a bada un miliardo di operai cinesi.

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