Riva i druxi, la storia triste dei nostri esodi

Laura Marchig e Milan Rakovac
alla SMSI «Dante Alighieri»

Riva i druxi, la storia
triste dei nostri esodi

“’Riva i druxi” anche alla Scuola Media Superiore Italiana di Pola, “Dante Alighieri”, vero e proprio salotto letterario, ormai, alla luce anche della precedente (riuscita) presentazione di “Femminile singolare” di Carla Rotta. Ospiti, questa volta, lo scrittore e opinionista Milan Rakovac, l’autore del romanzo che sbarca per la prima volta a teatro, e Laura Marchig, direttrice del Dramma Italiano dell’”Ivan de Zajc” di Fiume che porta in scena la sua riduzione teatrale omonima nata in coproduzione con il Teatro Popolare Istriano.
Radiografia di una città
e il suo trauma

Perché Rakovac per la prima, “storica”, coproduzione tra la compagnia fiumana (“mezza istriana”) e il teatro polese ancora monco di una sua propria compagnia di prosa? Si è trattato di una scelta quasi inevitabile – ha esordito la Marchig – essendo Rakovac uno scrittore-simbolo, emblematico di quel modo di essere “stratificato” delle molteplici identità istriane. Rakovac narra la storia polese del Dopoguerra, di un momento storico importante, tragico, traumatico di Pola – ancora in mano alleata e ignara del suo destino che sarebbe stato deciso solo in un momento successivo, con il Trattato di Parigi – che s’appresta a vivere lo svuotamento del suo essere, della sua stessa essenza.
Un trauma permanete. L’esodo, la partenza, il successivo ripopolamento della città. La Pola del Dopoguerra descritta da Rakovac – incalza la Marchig – non vive semplicemente un esodo: ne vive ben tre consecutivi ma quasi contemporanei. Quello degli italiani che se ne sono andati ad inseguire la patria, perdente in guerra, quello degli istriani croati dell’hinterland che hanno ripopolato la città deserta e sono stati trattati alla stregua di nuovi invasori, e quello infine degli italiani “rimasti” che, vuoi per attaccamento al focolare domestico, vuoi per l’inseguimento dell’ideale socialista, si sono tenuti i mattoni ma hanno perso il “cuore”. L’incontro-scontro delle due vedove, una slava e una italiana, emblematica dello scontro delle culture in città, costituisce l’ossatura del romanzo come quella del dramma, di Lary Zappia, che difatti è una creatura nuova nella forma ma identica nella sostanza. Innovativa, a detta della Marchig, anche la scenografia di un “Šesni? che ha superato se stesso”, creando con delle impalcature di alluminio da cantiere edile il simbolo di quella che sarebbe stata la “rekonstrukcija naše napa?ene zemlje”, ovvero la ricostruzione della nostra terra tormentata. Suggestive anche le musiche, quasi magici i costumi, sempre a detta della Marchig, la cui compagnia ha scelto di omaggiare con l’allestimento di “’Riva i druxi” la città di Pola non meno che l’autore stesso.
Oggi con un pizzico
di coraggio in più

La parola quindi a Rakovac per ribadire che il testo è nato in risposta al romanzo di Fulvio Tomizza “La miglior vita”. Pur contenendo in sé anche una certa qual dimensione scenica, non è mai stato scritto né pensato per vivere in scena. E tuttavia l’idea di portarlo sul palcoscenico ha preso forma molto presto, solo che finora non è mai stata presa seriamente in considerazione. La forma del dramma è dunque secondaria, sebbene anche il testo originale – parola di Rakovac – ha avuto fin dapprincipio poco a che fare con il genere letterario del romanzo. La stessa critica letteraria jugoslava del tempo l’aveva qualificato per quello che pareva fin dalle prime frasi: una negazione del romanzo piuttosto che un romanzo. Ma questo era quanto l’autore aveva inteso fare, per sua stessa ammissione, in cerca di volti scioccati… L’intento è stato raggiunto, ha commentato ieri, tanto è vero che mai prima di allora né mai successivamente ha voluto scrivere in quella maniera. Ad ogni modo, a prescindere dal genere, è il contesto ovvero l’ambiente storico de “’Riva i druxi” che conta, e quello si percepisce nel dramma di Zappia non meno che nel testo originale. “È il contesto della perdita, ovvero della partita persa, che Pola e l’Istria hanno sperimentato – sempre a parere dell’autore – sia nel ’18 che nel ’45, mentre Italia e Jugoslavia hanno festeggiato la vittoria entrambe a turni almeno una volta nella loro storia”.
Domanda scontata: se dovesse riscriverlo oggi, cosa cambierebbe? La risposta di Rakovac: “Ci aggiungerei solo un po’ di coraggio politico in più, tutto qua. Oggi sposo la causa della ‘Viribus Unitis’ che rivuole a Pola il monumento a Tegetthoff. Ma aggiungo pure che ci vuole anche il monumento a Nazario Sauro e un altro ancora a Gabriele Emo”.

Daria Deghenghi

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