Lì al picco sul mare, lungo una delle strade più belle del rimpianto Bel Paese, una roccia accoglie i versi del poeta di Trieste, Umberto Saba. Per conoscere Trieste, per capire questa misteriosa città, devi, in modo imperativo, conoscere il canto di Saba. “Avevo una città bella tra i monti rocciosi e il mare luminoso. Mia perché vi nacqui, più che d’altri mia che la scoprivo fanciullo, ed adulto per sempre a Italia la sposai col canto”.
Alle spalle di questa piccola roccia, immortale come la poesia del poeta di Trieste, tra Carso e l’orizzonte del golfo triestino che guarda l’isola dove il sole, forse di quell’avvenire che mia è giunto, non conosce tramonto, Grado, tra colori in continuo mutamento e pensieri sospesi in quella infinità che avvolge ogni ragione umana, ecco la galleria di Dante, o di Mussolini o semplicemente del bacio, come io voglio chiamarla. E da qui inizia il viaggio, il viaggio che lentamente ci porterà in quello che io chiamo il triangolo di Saba. Una Winston blue, una città in preda al delirio tra chi corre alla ricerca di un momento di sfogo, tra chi affronta le solite file oceaniche per il gelato da Marco, tra chi semplicemente percorre la stessa via ogni giorno senza un vero se ed un vero ma, la percorre perché semplicemente così deve essere. Incontrare un sorriso di gentilezza oggi giorno è come trovare il puma di Fossalon. Questi pensieri scorrono nella mente dell’ignaro viandante che magari avrà letto il Piccolo di Trieste, perché se passi da Trieste, se vivi a Trieste, non si può non leggere il Piccolo, tutto, nel bene o nel male passa in modo indelebile dal quotidiano più amato ma anche criticato dai triestini. E quel viandante sono io. Uno sguardo alle libere finestre di Trieste una mano sulla tua barba incolta, un corpo semplicemente corpo e la parola travalicherà la diga del timore che continuerà ad imprimere nella mente e nel cuore il senso dell’oltre. Sono regnicolo, o meglio cabìbo.
A volte si deve emigrare per lavorare, e così è stato per me, così come è accaduto per molti italiani che hanno dimenticato in cuor loro di appartenere ad una comunità che ha conosciuto l’emigrazione. Si è realizzata una sorta di rimozione quasi per vergogna, quasi per quel senso di apparente superiorità che ora si rivolta contro il falso benessere di milioni di cittadini di questo non più Bel Paese. Eppure la cultura ha una sua valenza che rende l’individuo superiore all’ignoranza e che ti permette di conoscere il luogo che vivi. Ti accoglierà Trieste con i versi di Saba e ciò vorrà pur significare qualcosa. La conoscenza implica dedizione ed amore per lo studio, scalino dopo scalino si giungerà al grado più elevato, al grado della suprema conoscenza, così è la vita nella sua quotidianità. Ma esiste un luogo a Trieste dove è possibile effettuare un percorso inverso per arrivare alla conoscenza del poeta , e dunque della storia di questa mistica città, Monte Grisa. All’ora del tramonto, dal triangolare e pseudo-esoterico, per la sua forma, formagin di Trieste, il tempio “della concordia” di Monte Grisa,
interno Monte Grisa |
esterno Monte Grisa |
e per pochi minuti fuggitivi, si vedrà una finestra riflettere la luce del sole. Umberto Saba scriveva “C’è a Trieste una via dove mi specchio nei lunghi giorni di chiusa tristezza; si chiama Via del Lazzaretto Vecchio”. Ebbene, coincidenza vuole, che quella finestra che funge da specchio visibile da Monte Grisa indica, proprio durante l’ora della tristezza ovvero quando il sole giunge al tramonto, via del Lazzaretto, ed in particolar modo un palazzo anonimo.
Colui che è conosciuto come Umberto Saba era figlio di un certo Ugo Poli. Su di lui esistono varie tesi, una di queste affermerebbe che venne arrestato e poi rilasciato senza processo, ma con l’obbligo tassativo di andarsene da Trieste. A casa sua durante una perquisizione in via Pondarès, la polizia austriaca individuò dei ritratti dei reali d’Italia e di Guglielmo Oberdan, e suo figlio Umberto venne allevato da una certa Gioseffa, detta Peppa, Gabrovich.
Saba era lo pseudonimo che veniva adottato da Fano, con cui Umberto aveva ottimi rapporti, per firmare i racconti per ragazzi, ma Saba deriva anche dal regno di Saba, dalla regina andata a Gerusalemme a rendere omaggio alla saggezza di Salomone. Umberto da Montereale , come si firmava Poli, che ora sarà Saba, era attratto da quello pseudonimo e decise di utilizzarlo con la complicità di Fano.Umberto era la Regina di Saba, lui andava alla ricerca del suo intimo tempio di Salomone. Anche se personalmente ho sempre coltivato l’idea che lo pseudonimo Saba derivi dal Sabato del Villaggio, la sua poesia preferita, una poesia tormentata, che Umberto fu obbligato a recitare a memoria a scuola. Quando un poeta scoprirà di essere poeta, si riscatterà contro l’ imposizione ammazza poeti e poesia, personificando il tormento, e così potrebbe essere stato per lui, da quel Sabato del Villaggio nascerà Saba… Ma è una mia supposizione.
Saba vivrà per tutta la sua vita il dramma di non essere compreso, perché lui si sentiva poeta, un grande poeta e voleva essere riconosciuto come tale, a qualsiasi costo. Ha avuto frequentazioni che certamente lo hanno aiutato, consapevolmente o meno questo è un dilemma che potrà essere risolto solo dalla prospettiva con la quale guarderai l’evoluzione della vita, della storia, della società. Umberto nel 1919 acquisterà una libreria, ancora oggi viva a Trieste. E da quel momento il suo percorso si perfezionerà; la rivista Solaria dedicherà praticamente a quello che potremmo definire un poeta di confine, poco conosciuto, addirittura un numero monografico. Ciò accadrà nel 1928. Coincidenza vorrà che in quella rivista collaboreranno personalità del calibro di Quasimodo. E coincidenza vorrà che quando avrà ultimato il suo Canzoniere così come doveva essere ultimato diventerà quel gran Poeta che oggi giorno tutti noi conosciamo.
Ha avuto problemi di varia natura nel percorrere il suo percorso, non aveva certamente raggiunto l’illuminazione perfetta, infatti,Freud ricorderà ciò a Weiss : “Non credo che il suo paziente potrà mai guarire del tutto. Al più uscirà dalla cura molto più illuminato su se stesso e sugli altri”. La cultura ed i libri ancora una volta saranno la salvezza nell’inferno di tal società, una società’ criminale, una società omologata, una società incatenata alla parvenza di libertà.
Cosa sei libertà in quella Trieste a volte in salita a volte in discesa? Non fai in tempo ad abituarti ad una salita che subito dopo ti tocca affrontare una discesa. Però nel giro di pochi minuti dal Castello San Giusto arrivi al molo Audace. Mare e alture in pochi metri. Questa è Trieste. Terra di confine. Terra senza cittadinanza. Potrà essere la tua terra ma anche la terra ,sospesa sul mare,del ribelle senza patria ove la libertà sarà semplicemente utopica libertà. Trieste in quel tempo aveva bisogno di esprimere anche attraverso la cultura, l’arte, la parola, la sua essenza. Il motto“Evviva Trento e Trieste” si perfezionerà nella figura di Saba che sosterrà anche l’intervento dell’Italia in guerra.
La Regina di Saba attraverso lo spirito della fratellanza andrà alla ricerca del suo tempio di Salomone. Utile alla causa di chi aveva necessità storica, sociale e culturale di esprimere l’italianità di Trieste, utile al poeta per la realizzazione del proprio ego artistico.Saba, nell’identificarsi nel suo intimo con Ernesto, lascerà, in modo poetico e metaforico, intendere quello che potrebbe essere stato l’avvicinamento al grande amore. Il sogno di diventar concertista, la frequentazione del maestro di violino, l’incontro con la donna bionda con i capelli a piramide, e l’incontro sulla via iniziatica, le scale, luogo ove Ernesto stringerà la mano all’amico, Ilio, che nella vita reale sarà quell’Ugo Chiesa che morirà giovane, troppo giovane, una morte che Umberto non accetterà mai.
Umberto ha vissuto una immensa solitudine, un complesso esistenziale doloroso, non ha potuto vivere liberamente il suo essere uomo, l’amore per la sua metà, che deriva anche dall’abbandono di quel padre che verrà chiamato come l’assassino. Assassino perché Umberto cercherà quella carezza paterna mancata nel corso della sua vita, con esperienze che note non potevano essere al grande pubblico, assassino perché la sua intimità sarà segreta e vivere segretamente il proprio essere uomo e vivere esternamente la menzogna imposta dalla società, è la naturale uccisione di ogni essere umano. L’Ernesto avrebbe comportato la morte del suo Canzoniere, perché Ernesto era l’Umberto senza mezze misure, senza veli, che parlava la sua lingua, il suo dialetto, che svelava la sua omosessualità nascosta, senza imposizioni, con richiami a quel socialismo che ha sempre rispettato con richiamo a quella solitudine che in qualche modo lo condurrà alla inevitabile morte.
Ernesto da cui probabilmente ha tratto ispirazione anche Pasolini con il suo complesso e misterioso Petrolio. Sono da poco trascorsi i 55 anni dalla sua morte, ma Trieste sembra aver rimosso il suo grande poeta, anche la sua statua è stata presa di mira, scomparsa la pipa,per ben due volte, rotto il bastone che ha lasciato il povero Umberto sospeso nel vuoto per diversi giorni e che per fortuna ora è stato riparato.
E che dire della sua libreria? Una realtà che a livello internazionale viene considerata come una delle dieci librerie più importanti dell’intero pianeta, ma a Trieste è poco considerata. E non potrai non pensare in tale contesto alla poesia “Il poeta ed il conformista”: “Come t’invidio, amico! Alla tua fede saldamente ancorato, in pace vivi con gli uomini e gli dei. Discorri scrivi agevole, conforme volontà del tuo padrone. In cambio egli ti dà pane e, quale sua cosa, ti accarezza. Arma non ti si appunta contro; spezza il tuo sorriso ogni minaccia. E passi,tra gli uomini e gli eventi, quasi illeso”. Questo è quello che accade a chi vive la perdurante strada maestra ed illuminata, strada che in qualche modo ha incrociato le vie di Umberto e per qualche motivo tutto da scoprire ha successivamente interrotto il tragitto nella sua vita.
Non più luce, ma buio deprimente e depressione. Via del Lazzaretto Vecchio
è una via costeggiata da nobili ed imponenti palazzi che guardano senza mai osservare, da qualche traversa di vita quotidiana, quel golfo triestino, ove Carso e Mare si uniscono nell’eterno bacio colto da quell’attimo immortalato nell’eterno addivenire. Ma per capire quella via del Lazzaretto come illuminata dal lontano tempio di Monte Grisa si deve percorrere anche Via Domenico Rossetti, Via del Monte, ovvero il triangolo metafisico di Saba.
Passi dopo passi, attesa dopo attesa, ecco apparir, dopo aver superato il ritrovato teatro romano che dopo il non entusiasmante spettacolo, erbaccia, e dopo il sorprendente il teatro mutato in stagno con tanto di fuga di rospi, vive il momento del perché, e la Questura ospitata nei locali di quello che fu l’antico palazzo del Fascio, via Del Monte. Una targa ricorda…..A Trieste ove son tristezze molte, e bellezze di cielo e di contrada, c’è un’erta che si chiama Via del Monte.
Quella via che Umberto chiamerà la via dei santi affetti si congiungerà lentamente al cuore del triangolo, quella che sarà, tra traverse e salite, piccole vie alberate e strade ora trafficate, la via della gioia e dell’amore. Via Domenico Rossetti.
Un tragitto che consentirà al mondo interiore tipico di ogni uomo di passare dalla sofferenza umana alla condivisione dei ricordi che uniranno il passato con il presente, per quel futuro che verrà coltivato nella caverna. Caverna che sarà la dimora, in cui l’individuo ricerca se stesso attraverso i gradini di quella piramide che è alla base di ogni mistero. Incomincia con una sinagoga, e termina ad un chiostro; a mezza strada ha una cappella; indi la nera foga della vita scoprire puoi da un prato, e il mare con le navi e il promontorio, e la folla e le tende del mercato. Pure, a fianco dell’erta, è un camposanto abbandonato, ove nessun mortorio entra, non si sotterra più, per quanto io mi ricordi: il vecchio cimitero degli ebrei, così caro al mio pensiero, se vi penso ai miei vecchi, dopo tanto penare e mercatare, là sepolti, simili tutti d’animo e di volti.
Le parole di Saba diffuse dalla voce dell’emozione della mia mente sconvolgono il rumore cittadino il quale in un attimo fuggente avvolge la monotonia del lamento quotidiano. Ogni parola è l’emozione che ha trovato nella scrittura la realizzazione di quella sofferenza che ha accompagnato la vita di Umberto lungo quel canale attraversato da un fiume visibile solo agli occhi di chi va oltre l’immaginario oltre. E poi il silenzio. Questa volta melodioso, che ti accompagnerà sino ai piedi della statua di Domenico Rossetti che si congiunge idealmente alla via Domenico Rossetti.
E con questa statua si perfeziona il mondo, quel mondo che consentirà quella interazione tra umano e sociale, che Rossetti ha ben delineato nel corso della sua vita. Umberto ha trascorso la sua vita alla ricerca di quel tempio che probabilmente ha conosciuto, sfiorato, toccato, amato ed odiato ed abbandonato e la sensazione che si può vivere è come quella di un canarino che adattatosi alla vita di gabbia, quando fuggirà da essa vivrà una libertà finta. Una libertà che non saprà coltivare, una libertà che sarà la sua prigionia, perché il canto del canarino sarà un canto che si perderà nell’infinità dei canti che invaderanno il mondo vissuto. Un canto che non sarà più canto, così è per la poesia, una poesia che sarà semplicemente una delle tante migliaia di poesie scritte nel qualunque essere umano.
D’altronde Umberto scriveva, e mai potrò dimenticare le sue dolorose parole “Oggi è passata una settimana dalla disgrazia, ed io muoio d’angoscia […] non per averlo perduto, ma perché i canarini non possono vivere fuori di gabbia; non sanno cioè come i passeri ed altre specie di alati, procurarsi il cibo. Lo vedo morente di fame e di freddo, sento che mi chiama con quella sua voce argentina, sempre più fiocamente, sempre più disperatamente…”.
Eppure vi è chi ha fatto vivere i canarini fuori dalla gabbia, Ondina Peteani, prima staffetta partigiana. E Trieste, città di nessuno ma di tutti, è stata, innaturalmente, assoggettata a vari regimi e regni e governi. Nel tempo della “grande paura” hai conosciuto l’incendio del Narodni Dom ed il rumore e la violenza dei cannoni, in quella San Giacomo che ancora resiste e che riportano alla mente anche la strage dei fuochisti del 1902, gli operai hanno avuto sempre brutali repressioni. Il mare è lì, fermo, a volte rabbioso inonda a volte come accade nella maestosa Venezia quella Piazza dell’ Unità d’Italia. Trieste e l’eco del richiamo veneziano. Un bicchiere di vino rosso e secco, per le osmize con il fugace assaggio di salumi e vivrai quella conciliazione che la società non conosce ed anche quel senso di piacere da cui nascerà il senso di sazietà, anche se l’uomo per natura, non è mai sazio. Questa è Trieste, l’immortale Trieste di Saba ancorata al passato che non osa l’oltre,ancora e per ora.
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