4 Novembre 2013

Ferite a morte. Tante storie, un’unica voce

Donne, anzi donne morte ammazzate. Per mano di coloro che dicevano di amarle. Ma di quale tipo di amore stiamo parlando? Qual è il confine tra salvezza e dannazione? Domande dure, difficili, che risuonano nel progetto teatrale Ferite a morte scritto da Serena Dandini in collaborazione con Maura Misiti e portato in scena al Teatro Stabile Rossetti per una sola sera, giovedì 31 ottobre. Un unico atto suddiviso in molti quadri, ognuno dei quali accoglie la storia, il corpo e la voce di una donna che racconta se stessa. La straordinaria Lella Costa, sensibile e attenta ai temi sociali, si alterna nel raccontare le storie delle donne uccise da un marito, un compagno, un amante o un ex con le altrettanto incisive ed espressive Orsetta de’ Rossi, Giorgia Cardaci e Rita Pelusio. Alle voci narranti si uniscono altre testimonianze lette alla fine dalle giornaliste Alessandra Zigaina e Rossana Bettini e l’imprenditrice Michela Cattaruzza.

Quando i confini spariscono
Molteplici sono dunque le figure femminili rappresentate. Giovani, anziane, badanti, donne in carriera, prostitute. Dall’Italia, dall’Afghanistan, dal Mali. A unirle tutte nella diversità c’è il filo rosso della violenza.

Spazio, tempo e luogo sono principi scardinati e negati, perché queste donne non ci sono più e sono diventate loro malgrado le protagoniste di un’unica terribile vicenda umana. L’impatto è molto forte perché a emergere sono sopratutto le emozioni, il vissuto personale e le caratteristiche che costruiscono ogni persona. Un tessuto umano pieno di contraddizioni e sfaccettature, perché nulla è semplice o scontato quando si parla di rapporti affettivi importanti.

Ferite a morte si pone così come una specie di contrappeso agli articoli di giornale che sottolineano sopratutto la crudeltà dell’accaduto, descrivendo nei dettagli e quasi in modo morboso le morti, trasformandosi così anche essi in complici involontari. Dietro ai nomi, alle coltellate, alle ferite mortali ci sono volti, emozioni vere, paure sincere, dubbi…

Assenti e presenti
Sebbene le protagoniste della scena siano donne, a imporsi sono gli uomini, superiori soltanto per la loro brutalità. Come infatti emerge da uno dei flash teatrali “quando anche io ho cominciato a guadagnare quanto lui, l’unica arma che ancora gli rimaneva era la forza fisica.” Le minacce e le percosse celano una grande fragilità e una terribile insicurezza. Ne è un esempio lampante il tono degli sms spediti dai maltrattanti: all’inizio dolce, quasi tenero per poi diventare sempre più insistente e minaccioso in una spirale di violenza che trova il suo compimento nello sparo finale.

Ogni minimo dettaglio è evocativo. Una scena in apparenza essenziale mette ancora più in risalto l’identità e la personalità di chi sta parlando. Alle musiche e agli oggetti si mischiano vari colori, tra i quali dominano le tinte simboliche del nero e del rosso.

Rabbia, tristezza, impotenza, sconvolgimento, paura, solitudine, angoscia… non sono le uniche emozioni in scena. La maestria e la grande espressività del narrato sono avvolte in una veste ironica. Proprio l’ironia, capacità che solo chi ha sofferto e elaborato il proprio vissuto possiede, coglie nel segno come una sottile lama affilata: “anche la mia vicina veniva maltrattata dal marito, ma loro avevano sul comodino la foto di Mussolini, allora poteva anche starci… Noi però avevamo quella di Togliatti.” Si giustifica lui dunque, sempre e in ogni caso. Quasi non accorgendosi, ci si ritrova a scivolare in una condizione di prigionia psicologica equiparabile alla morte fisica se non peggiore.

Ferite a morte, alla vigilia di un tour internazionale, che approderà anche all’ONU a New York, sconvolge e risveglia le coscienze. Per non dire mai più “avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti.”

 

Alessandra Perlitz
Vesna Pahor

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