10 Novembre 2012

Prosecco: domenica 11 novembre Trieste commemora i suoi caduti per l’Austria-Ungheria

Domenica 11 novembre, alle ore 15, al cimitero militare austro-ungarico di Prosecco-Prosek si svolgerà la commemorazione pubblica plurilingue e pluriconfessionale (cristiana, ebraica, islamica) dei caduti e combattenti triestini e dei popoli fratelli della Mitteleuropa nella difesa di Trieste durante la prima guerra mondiale. La cerimonia si terrà con qualsiasi tempo ed è organizzata dallo storico movimento Civiltà Mitteleuropea.
“Nella prima guerra mondiale il 98% dei triestini, come delle altre popolazioni di lingua italiana, slovena e croata dell’Adriatico orientale, combattè per l’Austria-Ungheria plurinazionale, e gli irredentisti furono in realtà pochissimi.” Un recente intervento stampa di Paolo Rumiz ha sottolineato, in relazione alla cerimonia di Prosecco, l’importanza attuale del recupero collettivo della memoria storica rimossa di quella grande realtà europea del passato.
Questo cimitero militare del Carso Triestino raccoglie quasi 6000 combattenti di tutte le nazionalità e fedi dell’impero caduti sul vicino fronte difensivo della città, dal Timavo all’Isonzo. Si trova poco fuori Prosecco, sulla strada verso S.Croce in una suggestiva dolina carsica di fronte ad un parco recinto con cervi, daini e caprioli.

Poiché domenica 11 novembre il centro di Prosecco sarà chiuso al traffico per la festa di San Martino, chi viene da Trieste potrà raggiungere il cimitero militare a piedi partendo dal villaggio, oppure in auto o con i bus 42 e 44 arrivando dal lato opposto attraverso la strada camionale ed il bivio Lanza.

2 commenti a Prosecco: domenica 11 novembre Trieste commemora i suoi caduti per l’Austria-Ungheria

  1. Sandi Stark ha detto:

    Testo commemorazione caduti a.u. Prosek-Prosecco 2012 di Civiltà Mitteleruopea

    Rimane da svolgere, come ogni anno, una riflessione nel nome di quella che noi riteniamo essere la vera civiltà mitteleuropea, cioè lo spirito, la memoria e la pratica della plurinazionalità e della molteplicità e fraternità feconda delle culture.

    Questa dolina del Carso colorata d’autunno rifiorisce ogni primavera su quasi seimila dei caduti di tutti i nostri popoli e di tutte le nostre fedi nella prima guerra mondiale, per terra e per mare, e qui sul fronte durissimo della difesa immediata di Trieste e della soglia di Gorizia, dal Timavo all’Isonzo.

    Rappresentano anche tutti gli altri nostri caduti di allora, oltre un milione e duecentomila, di religione cristiana, ebraica ed islamica, e le sofferenze ed i sacrifici immensi di tutti i nostri combattenti e delle loro famiglie.

    Sono i nostri padri, perché anche in queste terre adriatiche dell’Impero, come nel Trentino e nel Süd Tirol, i cittadini di lingua italiana, slovena, croata, friulana, tedesca, ladina ed altre, servirono compatti in fedeltà e fraternità la Patria sovrannazionale comune, ed i nomi su queste croci ne danno evidenza immediata.

    Mentre pochissimi fecero scelte opposte.

    Questi nostri padri, e coloro che vennero costretti a combattere contro di essi, non avevano desiderato la guerra, ma soltanto di poter continuare a vivere, amare e lavorare in pace nelle comunità e famiglie alle quali vennero invece strappati.

    Chi fra tutti loro nell’inferno di quell’immensa, inutile strage riuscì ad essere forte merita onore, chi si scoprì debole merita rispetto.

    Ed i pochi che si lasciarono esaltare o traviare da quella guerra meritano comprensione.

    Nessuno infatti poteva immaginare che fosse una guerra completamente diversa da quelle del passato, combattute tra interessi di Stato anche dietro pretesti ideali.

    E non era una guerra diversa per le armi e strategìe nuove. Era diversa perché dava inizio allo scontro senza precedenti, sia sui fronti militari che all’interno di tutti i Paesi in conflitto, tra la civiltà europea comune dello spirito, della ragione e dell’umanesimo, ed i nuovi démoni ideologici del nichilismo, del nazionalismo, della razza, della classe e del profitto.

    Che prevalsero infatti con quella guerra, scatenandosi in un secolo di follìe, totalitarismi e persecuzioni.

    Culminate già pochi anni dopo nell’inferno genocida della seconda guerra mondiale, perpetuate nella lunga guerra fredda tra ideologie contrapposte, e rinnovate nelle miserie e guerre minori che l’hanno seguita con gravi conseguenze e rischi a tutt’oggi irrisolti.

    É per questo motivo, oltre alle perdite e sofferenze dirette, che quella prima guerra mondiale non fu in realtà vittoria per nessuno, ma sconfitta di tutti.

    Mentre l’unificazione europea ha dato ragione a chi allora si trovò a difendere la plurinazionalità contro i nazionalismi. E rende infine evidente l’errore di chi continua a riproporli.

    Per contrasto e resistenza a quei disastri sono intanto cresciute la percezione dei valori del mondo europeo perduto con quella prima guerra mondiale, e la riscoperta delle sue memorie individuali, sociali e famigliari, dietro troppe cancellazioni politiche della nostra storia e delle nostre identità plurali.

    Una riscoperta che non è dunque nostalgìa sterile di un mondo passato, ma ricostruzione di identità e di valori per l’oggi e il domani.

    In uno spirito europeo che per la storia particolare di unità e convivenza dei nostri popoli nell’Austria-Ungheria non è affatto un’invenzione burocratica od economica recente, ma un vissuto tradizionale comune, solido ed antico.

    Anche la nostra riproposizione cerimoniale delle bandiere e divise storiche dei nostri padri rievoca con forza simbolica quest’appartenenza condivisa sino ai doveri estremi, e non celebra fatti o vanti militari.

    E questo stesso luogo, questo nostro cimitero di guerra, non è per noi un simbolo militare, ma il testimone concreto del punto di frattura temporale della storia d’Europa in cui sono state imboccate le strade più tragicamente sbagliate.

    Noi siamo qui per riconoscere questa verità e ritrovare noi stessi e la memoria del nostro passato perché sentiamo di averne la responsabilità verso il presente ed il futuro nostri e delle nuove generazioni.

    Nella piena consapevolezza che il ciclo di contrapposizione globale tra regressioni ideologiche e resistenze umanistiche iniziato nel 1914-18 prosegue oggi nella lotta per i valori dello spirito e della solidarietà contro i fanatismi e gli egoismi del profitto che devastano in crescendo la vita di tutti e l’intero pianeta.

    La nostra nostalgìa di quel mondo di valori smarrito e da ritrovare è dunque la nostalgìa positiva del bene contro il male: quella necessaria per ricercare e capire dove, quando e perché sono stati commessi degli errori gravi, e come possiamo rimediarvi oggi.

    Noi non dimentichiamo dunque che la Costituzione della nostra patria plurinazione antica, l’Austria-Ungheria, riconosceva pari dignità e diritti a tutti nostri cittadini ed a tutti i nostri popoli.

    E ci garantiva già allora le libertà democratiche personali, economiche e collettive assieme alle tutele sociali allora più avanzate d’Europa.

    Noi non dimentichiamo che la nostra società civile riuniva in pace tredici popoli diversi rispettandone le identità, lingue usanze e fedi, nella convivenza esemplare di cristiani, ebrei ed islamici ed isolando gli aizzatori dei cosiddetti scontri di civiltà e di religione.

    Noi non dimentichiamo che il nostro modello etico ordinato, rispettoso e puntuale di governo dello Stato era confermato anche dall’esempio di un sovrano che se ne dichiarava primo servitore, viveva sobriamente lavorando dall’alba a notte inoltrata, aborriva le guerre, rifiutava le avventure coloniali, ascoltava la gente comune, proteggeva i deboli, si inginocchiava una volta all’anno a lavare i piedi ai poveri, ed alla sua morte veniva dichiarato misero peccatore qualsiasi.

    Tanto che il rigore di vita spirituale, materiale e politica dell’ultimo nostro giovane imperatore, Carlo, ed il suo impegno per la pace in quella guerra e per la giustizia sociale gli hanno meritato la beatificazione da parte della Chiesa cattolica.

    Noi non stiamo dunque mitizzando arbitrariamente la nostra storia, e per capirlo basta pensare alla differenza con ciò che è tragicamente venuto dopo.

    Vogliamo semplicemente ritrovare e rinnovare, in noi stessi, tra noi, fra i nostri popoli e le nostre fedi e culture, quel filo spirituale antico e perenne di fraternità e solidarietà che è rimasto troncato da allora.

    L’eredità storica e morale che condividiamo non è fatta quindi di nazionalità, cittadinanze e confini. È fatta di valori umani condivisi che l’esperienza storica della loro negazione ha confermato migliori, e che possono essere ritradotti da ognuno nel presente.

    Ma per farlo non bastano certo le parole e le commemorazioni.

    Occorre il coraggio civile della testimonianza quotidiana, concreta e sul campo, contro i poteri oscuri dell’odio etnico, dell’ignoranza, del fanatismo e di tutte le altre corruttele delle anime e delle istituzioni.

    Con la stessa energìa naturale spontanea che fa rifiorire ogni primavera questa dolina del Carso d’autunno per questi nostri Caduti di tante nazionalità e fedi.

    Dove il punto di frattura di quel filo di civiltà spezzato nel mondo di ieri va riannodato simbolicamente e ripreso in forze unite, viribus unitis, per rendere davvero migliore il mondo di oggi.

    Per una vittoria dei valori e non più delle armi, della vita e non più della morte.

    Nel nome di una patria antica di culture, di ideali e di valori vissuti che é scomparsa dalla geografia politica degli Stati, ma esiste e rimane per noi come patrimonio storico ed interiore condiviso di una patria dello spirito, della patria dell’anima.

    Noi ricordiamo perciò riconoscenti i sacrifici e le sofferenze di questi nostri padri caduti, feriti e combattenti, delle loro e nostre famiglie, di chi si trovò a dover combattere da parte alleata od avversa in quella guerra mondiale rovinosa, e di tutti gli innumerevoli esseri umani impegnati nelle resistenze passate e presenti al male dell’odio, della violenza e del profitto.

    Ed è a tutti loro che dedichiamo il rituale momento di silenzio, breve nel tempo ma immenso nei significati.

  2. sergio zerial ha detto:

    Bravo Sandi belle parole, la storia deve essere obiettiva !!!!

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