7 Giugno 2011

High Level Clinic: il gran cerimoniere, Sergio Tavcar!

Sergio Tavcar, un microfono senza filtri al Basketball Development Week!

Se qualcuno avesse modo di leggere la sua ultima fatica (o sfogo intellettuale), “La Jugoslavia, il basket ed un telecronista”, capirebbe non solo tanto di un basket ormai sepolto dagli eventi, cioe’ quello della Jugoslavja unita dei fenomeni Cosic, Kikanovic, Dalipagic, Petrovic e tanti altri, bensi anche di un modo di intepretare il giornalismo sportivo senza filtri. Sergio Tavcar e’ esattamente quello che sentivate per Tele Capodistria, diretto e un po’ campanilista filo-sloveno (in senso sportivo ovviamente), con una punta di cinismo retaggio di un radicamento nel territorio triestino.
Sara’ lui, assieme all’arbitro internazionale (triestino pure lui) Guerrino Cerebuch, ad essere il cerimoniere per la tavola rotonda-dibattito che animera’ la seconda giornata dell’ “HIGH LEVEL CLINIC” del 24 Giugno, assieme a coach De Raffaele e al n.1 dei manager in Italia Bruno Arrigoni. Si si, avete capito bene, l’uomo divenuto famoso per apostrofare una giacchetta grigia con “ma quello e’ matto” durante le telecronache, siedera’ a fianco di un alto esponente “della specie” per regalare brillanti spunti di discussione.

Sergio Tavcar, ci mancava solo questa….adesso anche presiedere una tavola rotonda a fianco di un arbitro; e’ l’insano desiderio di provare tutto nella pallacanestro, anche gli eccessi?
Evidentemente mi sono creato una fama particolare, per cui sarei un nemico giurato degli arbitri, cosa assolutamente non vera. Io ce l’ho sempre avuta solo con i tronfi e superbi, nel caso degli arbitri con coloro che pensano di essere loro una star in campo senza rendersi conto in realta’ di essere solo un male necessario. Ho fatto l’ allenatore per piu’ di 20 anni e con la stragrande maggioranza degli arbitri ero in buonissimi rapporti, non ultimo certamente Guerrino Cerebuch che conosco da una vita e che e’ anche amico mio

Parlando di clinic si parla anche di insegnamento nel basket; fra le righe del suo libro traspare una certa convinzione nel pensare che ormai gli allenatori non inventano piu’ nulla, qualche “azzardo” di Boscia Tanjevic e qualcosa di diverso dal solito dal pluri-decorato Obradovic. In Italia, chi la convince di piu’?
Innanzitutto bisogna distinguere fra insegnanti veri e propri e coach professionisti, un po’ la stessa differenza che passa fra un professore ed un manager, due mestieri completamente diversi fra loro. I coach professionisti in Italia sono bravissimi, tanto che sono praticamente l’ unica merce da esportazione del basket italiano. Loro, anche per le aspettative del pubblico e della stampa, devono vincere con quel che hanno a disposizione e non hanno certamente ne’ tempo (ne’ voglia) di allevare nuovi talenti. Sugli insegnanti invece, per non farmi incriminare, ricorrerei alla facolta’ di non rispondere. Posso dire solo che la piramide, nella quasi totalita’ dei club italiani, mi sembra grottescamente rovesciata: invece di affidare i giovanissimi agli insegnanti piu’ capaci ed esperti che hanno, li affidano a principianti che non hanno la minima capacita’ ne’ tecnica ne’ didattica, per cui nella stragrande maggioranza dei casi gli anni del minibasket sono anni di antiapprendimento che poi e’ impossibile estirpare.

C’e’ un laconico commento sul perche’ lei non potrebbe continuare a fare l’allenatore di basket: tradotto, cafonaggine dei genitori, ragazzi viziati e sfacelo delle scuole e delle strutture. Di fronte a decine e decine di allenatori, un messaggio di speranza quale potrebbe essere?
L’ unica via che vedo e’ quella di riappropriarsi dei valori antichi del basket quale gioco e divertimento. Non e’ assolutamente un caso che nel passato i veri giocatori uscissero dagli oratori o a Trieste dai ricreatori, da luoghi cioe’ dove ci si andava a divertire imparando a convivere con amici e compagni, a fare gruppo anche fuori dal campo, a godere nel prendere in giro magari il piu’ caro amico per poi farsi pagare la bibita, cose del genere. Da questo humus poi i piu’ forti passavano alle societa’ organizzate dove potevano cominciare il loro lavoro di apprendimento puramente tecnico. Le cose che sono pero’ veramente importanti, cioe’ del perche’ si gioca e di come si deve fare per vincere, le sapevano gia’. Oggigiorno una cosa del genere mi sembra purtroppo utopica, sia per la progressiva robotizzazione (leggi informatizzazione) dei giovani, sempre piu’ autistici con le loro agghiaccianti cuffiette spararumori e sempre piu’ aridi e tecnologici, sia per la sempre maggior invadenza dei genitori che vedono anche nel piu’ imbranato un potenziale fenomeno. Se esistesse un club capace di tenere i genitori su un’altra galassia e di inculcare ai ragazzi la gioia del gioco, se insomma il basket ridiventasse un divertimento e non un lavoro alienante, allora qualche speranza l’ avremmo. Un club cosi’ pero’ non potrebbe assolutamente fare risultati a breve periodo, per cui penso che non possa esistere.

Condivido al 100% il pensiero sul basket jugoslavo (e anche europeo) secondo cui dopo la morte di Drazen Petrovic, questo meraviglioso sport non e’ stato piu’ lo stesso. Il “Mozart dei canestri” in pratica ha lasciato spazio alla fredda musica contemporanea…. quale il male profondo?
Penso di aver risposto in massima parte a questa domanda con la risposta precedente. In quanto al paragone con la musica, con me sfonda porte aperte, essendo la storia della musica popolare (leggi rock’n’roll) della meta’ del secolo scorso una delle mie piu’ vivide passioni. Fra il basket di allora e quello odierno si puo’ dire metaforicamente che c’e’ la stessa differenza che puo’ esserci fra un concerto del primo Elvis (o dei primi Beatles o Rolling Stones, per non parlare di Jerry Lee Lewis) ed un patinato video odierno pieno di effetti speciali e di musica plastificata. Tutto oggigiorno e’ piu’ bello, moderno e rutilante, ma ha completamente perso qualsiasi briciolo di anima che potesse avere. Per assaporare un po’ di basket vero penso che altre oasi che non siano il Baltico meridionale o i Balcani non ce ne siano piu’.

Definizione sua: “il basket e’ uno sport logico per gente intelligente: se non ci arrivi, lascia perdere!”. Quali sono quindi le componenti fondamentale per diventare un grande giocatore di basket, posto che Drazen Petrovic per esempio non e’ nato con il talento del tiratore naturale…
Le componenti fondamentali sono e sempre saranno le famose tre “c” di Diaz Miguel (grande allenatore spagnolo dei tempi che furono): cabeza, corazon i coj…Solo il massimo dispiegamento di queste tre doti puo’ creare uno sportivo di vertice, e cio’ vale proprio per tutti gli sport, compresi quelli mentali. Uno puo’ avere il talento fisico che vuole, ma se non ha testa, non ha cuore e non ha attributi allenarlo e’ tempo perso in partenza. Solo chi ha testa puo’ sapere cosa e come deve farlo, solo chi ha cuore potra’ rapportarsi con altre persone, con tutto l’ ambiente, potra’ contare su amici e compagni veri che lo aiuteranno nei momenti di crisi, solo chi ha attributi avra’ la costanza di andare oltre i propri limiti per raggiungere gli obiettivi che si e’ prefisso. Poi, chiaro, per diventare campioni, bisogna avere anche il fisico. La tecnica (che da noi incredibilmente viene insegnata per prima per vincere campionati nelle categorie microbi) viene assolutamente per ultima. Quella, avendo le tre “c”, la si impara senza problemi.

Intrighiamo un po’ la folla che presenziera’ nella giornata di venerdi: quali temi porra’ come argomento di dibattito alla sua “amata” classe arbitrale e quindi a Guerrino Cerebuch? Almeno un assaggio…
Temi strettamente tecnici: vorrei avere di prima mano da un arbitro di assoluto vertice continentale la sua opinione sul metro arbitrale che viene impiegato in questi ultimi anni che privilegia, secondo me spudoratamente, l’attacco nei confronti della difesa che dunque, per poter essere efficace, deve ricorrere a mezzi sporchi perche’ se no, con i passi, piu’ che in partenza, in arrivo che vengono tollerati, con i passettini concessi ai pivot sotto canestro, con l’ assoluta dimenticanza dello spirito della regola dei tre secondi, l’ attacco puo’ fare quello che vuole. Ed allora la difesa deve picchiare. Un po’ la ragione per la quale non mi piace la pallamano, proprio perche’ e’ uno sport troppo permissivo nei confronti dell’ attacco. Dicono che il basket oggigiorno e’ molto piu’ fisico rispetto a quello di una volta: bombaggi moderni a parte che una volta non si sapeva neanche cosa fossero, vorrei vedere! Mettete in campo due arbitri di 25 anni fa e fateli fischiare come si fischiava allora. Vorrei proprio vedere quando la partita sarebbe interrotta per mancanza di giocatori, tutti usciti per falli o ricoverati in manicomio per le infrazioni loro fischiate a tutto spiano.

Raffaele Baldini
Ufficio Stampa

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