26 Novembre 2010

Un triestino in Macedonia: closing time

Ultima puntata del diario di Pietro Della Rocca, triestino 23enne che ha trascorso due mesi in Macedonia come insegnante di italiano all’Università di Prilep. Qui le puntate precedenti del racconto.

13 maggio

Per pranzo decidiamo plejskavica. Così imbocchiamo il sentiero pei campi – oggi interrotto da una capra che aggiriamo – e proseguiamo verso quello che secondo Nikola è il miglior grill di Prilep.
Quando lo vedo non ho dubbi. Una catapecchia con muro grezzo e tetto in legno sconnesso. Fuori un vecchio energico su una sedia fuma una sigaretta. A fianco, un vecchio telefono in metallo appeso al muro – subito sotto alla scritta CKAPA, pennellata in cirillico nero sulla malta bianca. Entriamo, il vecchio lascia la sigaretta sulla sedia e ci segue. La finestra è stata trasformata in cucina: ampio davanzale di griglia sospeso sopra ceneri e tizzoni, circondato da una canna fumaria artigianale in metallo ormai nerissimo sopra la ruggine. Un mobile da macelleria espone la merce.
Scegliamo 2 plejskavice e kashkaval (formaggio) – cioè 2 lobacke. Il vecchio sposta un tagliere, scoprendo una piccola tavola di marmo, poi inizia a lavorare di carne e di cipolla e di formaggio: compatta, mette assieme, divide, sbatte sul marmo e mette assieme ancora, infine soddisfatto ne dà la forma e mette in griglia le lobacke. ‘Pet minuti’ (cinque minuti) . Nikola va nel negozio a fianco a prender il giornale. Torna:
– Quelli di ieri eran fuochi d’artificio. Inaugurazione di una chiesa.
Butta là la frase così: il cretino – immagino – adesso si sente lui.
– Meglio così, dopo un po’
– già.
Intanto l’odore di griglia riempie sempre di più il piccolo ambiente. E le lobacke son pronte. Il vecchio taglia in 2 un panino enorme. Domanda se va bene o se è troppo abbondante. Va bene, Va benissimo, Siamo uomini. E’ soddisfatto della risposta, e allora taglia altra cipolla Sandvic per uomini! e la aggiunge a manciate su un panino che ne era già bello pieno.
Il treno per tornar a Bitola parte alle 5.30 Ma Stanka mi dice che mi convien esser in stazione dopo le 5.45. Anche se mi fido di Stanka, e ormai son pratico dei ritardi, vado comunque in orario. La solita stazioncina giallo stinto, le 2 case neoclassiche in difetto di ristrutturazione che danno sulle 3 coppie di binari che prendon il sole distese nell’erba incolta. La gente tranquillamente aspetta seduta sul binario, addirittura famiglie ci fanno pic-nic. Attorno alle 6 – c.v.d. – un fischio precede il treno. Si vede il muso nero della locomotiva che spunta nel nulla verde. Ondeggiando si avvicina, rumorosamente. La gente gli passeggia davanti, su e giù, per trovar il posto più conveniente. Un altro fischio e le carrozze si fermano. La porta davanti a me la apre da dentro un uomo che mi sembra vecchissimo. Non riesco a capir come possan camminare quelle braghette verdi e quella camicia rossa. La faccia è solo rughe. Mi fa cenni con le mani, che gli tremano, e mi dice qualcosa. Anche se capissi il macedone la confusione mi copre la voce troppo bassa dell’uomo. Comunque capisco che gli serve aiuto, salgo sul gradino, mi preparo a sorreggerlo quando mi indica la bicicletta dietro di lui. Intanto che afferra una borsa militare che ha l’aria di esser molto pesante gli porto giù la graziella. Op-là e scende i gradoni della vecchia carrozza con agilità, la borsa a tracolla. Poi monta in sella e si dilegua. Chissà: magari fischiettando.

14 maggio

– ‘Amico mio! Mammamia, weisst du dieser suppe? (conosci questa minestra?)’
Di buon umore oggi il cuoco, quando mi butta davanti il piatto metallico con la minestra. Poi si siede con me, mi parla dell’Alto Adige. Arrivan altri, gli dice di servirsi da soli ‘pausa!’. E via lui col suo tedesco a raccontarmi. Raccontarmi di un palo del telefono o della televisione crollato davanti all’albergo dove lavorava. E in neanche 10 minuti rimesso a posto tutto, anche i danni sulla strada. ‘alto adige, viel euro, kapitàl!’ Poi inizia a esser malinconico, mi indica fuori dalla finestra la strada sconnessa dietro alle sterpaglie e il vialetto dissestato. E niente qualità nelle televisioni, ‘Berlusconi ist Berlusconi, aber mediaset…ah, kvalitet! Super! Hier was ist das?Television?’ si alza e ondeggia le mani facendo rumore di interferenza con la bocca. Solo a quel punto vedo che è un bel po’ alterato dalla rakia. Evidentemente avrà mangiato con Koco – il custode, sempre barcollante con la bottiglia in mano – che vedo dormire appoggiato vicino ai fornelli. Smette di mimar interferenze, inizia a parlarmi della polizia dell’Alto Adige: che se non parli tedesco ‘zahlen!’ (pagare) . Ma meglio degli americani, e degli albanesi. Adesso la Macedonia ha grandi problemi con l’Albania, sembra un nuovo 2001. ‘Nach Tetovo immer katastrofa! Weisst du das?’
Perché gli americani: perché la Macedonia deve entrar in Unione Europea? ‘Germania, Francia, grosse nation, macedonia, due milioni!’ Ma gli americani vogliono che entriamo, vogliono che cambiamo nome. Nord Macedonia. Ma qua, Bitola, è a sud. Sud della Nord Macedonia. E hanno aiutato l’Albania col Kossovo, ora i stessi kalashnikov li devon usare gli albanesi qua, che prendiamo paura e cambiamo nome. Warum! E fa il gesto dell’ombrello. ‘Politik ist grosse puttana!’ si prende, scaraventa via la sedia, e torna tra i fornelli, sveglia Koco e u pickumater assieme a lui. Torna da me, Mihajlovic nel 1998 ha detto che il Kossovo è Serbia, che Milosevic ha ragione. E subito ‘Gazzetta dello Sport, Telegiornali, Berlusconi, Rai, alles sagt Mihajlovic cretino!’ . Ma la Serbia pagava le scuole in Kossovo, pagava la polizia in Kossovo, pagava gli ospedali in Kossovo! Ma albanesi…politik! E americani, e N.A.T.O…

Closing time

Aeroporto di Skopje. Oggi mi sembra enorme lustro e moderno. 2 mesi fa l’idea era un’altra. Comunque, come 2 mesi fa, mi sento all’inizio di qualcosa. Anche se lo so che dovrei sentirmi semmai alla fine. Invece alla fine mi son sentito solamente l’altro giorno, lunedì 17, quando ho lasciato Bitola. Il primo che ho salutato, a pranzo, è stato il cuoco. Ha mollato tutto, mi ha preso per un braccio, mi ha portato fuori dalla cucina e commosso: ‘qua in Macedonia forse hai capito cosa cercava Diogene quando ha detto ad Alessandro Magno di spostarsi! Wir haben null: nur hertz!’ (Noi non abbiamo niente: solo il cuore)
Quindi caffè con Darko, Mitko, Marinela, Jasmina, Dimitar e Slavko in Sirok Sokak. Si ride per una foto che Marinela mostra loro: sto dando un attestato di ringraziamento alla proprietaria della compagnia degli autobus. Una delle persone meno eleganti che ho mai visto. Un donnone enorme: 60 anni curvi su dei tacchi grotteschi per il peso di una scollatura tanto finta quanto inadeguata.
E’ nota per essere un cerbero, tutti la disprezzano: detiene il monopolio dei trasporti e fa i prezzi che vuole – senza dubbio sproporzionati rispetto al reddito medio. Ma era sponsor delle mie lezioni di italiano, e io con lei viaggiavo gratis. Tuttora non capisco la sua decisione, ma meglio così.
In stazione, mentre aspetto il treno e i suoi normali 40 minuti di ritardo, trovo 5 miei coinquilini che mi cercano per sputacchiarmi calorosamente in faccia un’ultima volta la loro amicizia: Ciao Vojo, Ivan, Stefan, Olivera e Irena. Pozdrav! E via verso Prilep
Com’è strana la stazione di Prilep con la pioggia. Ma, anche per il peso dei miei bagagli, non mi fermo troppo a guardarla: subito in auto di Bale verso la kafana.
– ‘kaj si ti?’ mi fa il cameriere
– ‘Italia’
– ‘Inter! Liga campioni!’
– ‘Pandev, una magia, eden-nula, Bayern odi kaj dom!’
Ok, ok: sono un ruffiano, e in più non so se davvero ‘odi kaj dom’ sia davvero il modo per dire ‘va a casa’ o se il cameriere capisce solo per il gesto che faccio nascondendo il pollice dietro le 4 dita tese della stessa mano che muove su e giù. Di certo però lo faccio contento: non solo è fan di Pandev – come tutti – non solo è felice di veder un italiano – come tutti – ma di più tifa Inter. Lascia a metà le ordinazioni e corre a prender il cellulare. Mi fa sentir la sua suoneria, Pazza Inter, ‘Cantare Javier Zanetti!’. Dopo un po’ torna e mi regala un dvd di canzoni tipiche macedoni. ’Samo Inter-fan!’ E va ben, allora forza inter ah!.
Martedì 18 (l’ultimo giorno a Prilep), me lo son goduto. Sveglia presto e passeggiata fino alle 14.20 – quando il treno mi ha portato via. Non ero mai stato in quelle zone. Ci arrivo perdendomi per viuzze – oddio, viuzze: sentierini – larghe non più di un metro e mezzo invase dai rami degli albicocchi, sporgenti dagli orti che precedono case fatiscenti eppur abitate. Qua e là il metro e mezzo diventa due: 50 cm immediatamente occupati da una spartana panca di legno e 2 o 3 anziane quarantenni col fazzoletto in testa. Periodo sbagliato comunque: albicocche tutte ancora verdi – solo un paio sembravan mature, ma troppo in alto: irraggiungibili. Mi son messo quindi a cercar un market per prender un arancia, deviando quindi verso strade più larghe: quelle dove oltre a tomos e biciclette corrono anche zastave e cavalli. E proprio i cavalli vedo correr per primi: 2 divertitissimi zingari su trabiccoli li frustano urlando, gareggiando sul lungofiume. Una corsa tra bighe. Solo che rispetto a quelle di Ben-hur qua le bighe son molto più spartane: niente parapetto e rostri, niente fregi e ori. Tavolaccio di legno e piccoli ruotini storti rubati a chissachè motocicletta.
Comunque corron come diavoli, un gruppo di bambini prende in mano il pallone e si sposta a bordo strada. C’è un uomo con la Lada in panne che, col cofano aperto, prova a farla ripartire: smette e urla qualcosa che non suona gentile.
Skopje: una città! Cammino sicuro sull’asfalto, nel traffico che mi sembra intensissimo tra i palazzoni titini. Rispetto all’ultima volta, 2 mesi fa, stan finendo il centro: gli edifici neoclassici in costruzione vanno acquistando una forma, 2 statue equestri cavalcano sotto al pennone tra moderni lampioni. Corron veloci i lavori. E’ il famoso progetto ‘Skopje 2014’, quello in cui il governo ha deciso di investire una caterva di soldi per creare in 4 anni un centro di Skopje uguale a quello di Parigi – partendo dall’edilizia popolare del periodo comunista, ovviamente da demolire. Probabilmente la mia macchina fotografica urla che son un turista, infatti rischio un furto. Un bambino sul ponte affollato mi chiede la carità e mi si piazza davanti insistente. Mi sorprendo, son stato chiaro, perché insiste con me? Son all’erta, infatti sento una leggerissima pressione sul giubbotto che tengo in spalla. Allungo la mano, di colpo, trovo un polso di troppo nella tasca. Mi giro, mi accorgo che un’altra mano stava entrando nella tasca posteriore dei pantaloni. 3 bambini organizzatissimi, che per fortuna scappano, senza darmi il tempo di una stupida reazione istintiva, e a mani vuote. Anzi, han un biglietto del treno usato, ovviamente glielo lascio e lo gettano correndo.
Queste 2 notti a Skopje ho dormito ospite di una ragazza italo-albanese che avevo conosciuto l’anno scorso a Vienna. Sto da lei, anche se la gran parte del tempo lo passo con Ljupka e Kiko, perché nel suo appartamento ha una stanza in più. Stanza: quasi un ripostiglio con un mini-letto incastrato tra il muro e un tubo – lo scarico del piano di sopra – che taglia l’ambiente a metà. Sonia, questo il nome della ragazza, si lamenta che la gente è maleducata e scontrosa. Mi domanda come ho fatto a resister 2 mesi, lei dopo 2 settimane che è qua vuole già scappare. La mia esperienza è diversissima. Poco dopo capisco il perché. Andiamo a prender un burek: lei ordina in albanese, la signora da dietro il banco glielo scaraventa in mano, freddo. E’ il mio turno: ‘eden burek sirenje’ ‘fala’ ‘prijetno’. Me lo scalda, è gentile e sorridente. Sonia non ha capito la differenza, provo anche a spiegargliela di nuovo, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Eppure sa la situazione con l’Albania com’è. Ovvio che la conosce. E inoltre qui ha parlato con alcuni albanesi, e mi ha detto che li odia perché vogliono la ‘Grande Albania’: quando in patria ormai non la vuole nessuno.
L’ultimo macedone con cui parlo è un amico di Kiko, da poco tornato a casa: ha lavorato per 6 mesi cameriere su navi da crociera. Parla con astio di quell’ambiente, dove – mi racconta – era sfruttato tutto il giorno tutti i giorni, senza domeniche o ferie, a correr sorridente dietro ogni bisogno di passeggeri viziati che si vantan di girar il mondo ma neppure scendon a terra. Però, anche se può finire da un momento all’altro – col primo errore – è pur sempre un lavoro, merce rara in Macedonia.
L’hostess indica le uscite di sicurezza e l’aereo inizia a rullare. Allora è proprio vero.
20 maggio 2010, ricomincio in Europa.

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9 commenti a Un triestino in Macedonia: closing time

  1. piero visc'iada ha detto:

    bellissimo servizio, ho letto tutte le puntate precedenti. peccato che i giovani come lui poi qui a trieste e in italia non tovino spazi e soddisfazione adeguati ale loro potenzialità.

  2. omo vespa ha detto:

    grazie pietro, bele ste storie macedoni, specie per quei come mi che no xe mai anda tanto lontan.

  3. brancovig ha detto:

    grazie

  4. Erika ha detto:

    Bello! Grazie!
    Per fortuna c’e’ l’archivio :P…avevo un po’ di tempo e le ho lette tutte in una sola volta…e’ stato un bel viaggio! Grazie ancora 🙂

  5. maurizio zupin ha detto:

    Fantastico ,mi sembra di tornare ragazzino,quando mio padre che ha vissuto per 20 anni circa in Juogoslavia (44/64)mi scorazzava in tutta la Jugo ,un pò dai parenti ma anche in giro (Slovenia,Croazia,Serbia e Montenegro)facendomi provare tutte le opportunità locali.
    Nei locali ho semper avuto l’impressione di non essere ben accetti,salvo dopo aver capito che mio padre era di casa,dopo, tutto cambiava,ci trattavano come fratelli,ma solo dopo.
    Mi ricordo in Montenegro,durante uno dei nostri soliti giri,era morto Tito,noi non lo sapevamo e io ,malauguratamente, ho acceso un vecchio Jubox e inserito una canzone.
    Ho temuto per la mia vita,solo dopo aver capito che mio padre era stato un soldato Juogoslavo hanno lasciato perdere.
    Che paura.
    Ricordo ancora oggi gli odori dell’aria,che erano profondamente diversi da quelli italiani(sopratutto a causa dei combustibili meno raffinati ),ma ricordo anche le tonnellate di Burek che ogni giorno a Rjeka da mio nonno,nel mercato del porto andavo a comprare in un baracchino di circa 1 metro quadro gestito da un serbo,che a guardarlo faceva un pò impressione,ma il suo Burek era il migliore del mercato.
    Ha per chi interessa,ho trovato una gastronomia in via Madonnina dove due soci (un triestino e un serbo)fanno il Burek uguale a quello che mangiavo io,solo un poò meno oleoso,perche mi ha detto il serbo da noi non piace tanto.
    Provare per credere.
    A proposito Kosovo e Macedonia sono slavi e non albanesi almeno a sentire i slavi.
    Asta siempre

  6. maurizio zupin ha detto:

    Ha,scrivendo ho dimenticato di ringraziarti Pietro,che mi fai rivivere episodi e periodi della mia vita che sembrano lontanissimi,invece grazie anche a te ritornano attuali e ricordano di problemi che noi superficiali tendiamo a dimenticare.
    Grazie Pietro

  7. arlon ha detto:

    Niente de dir, sti diari me mancherà. Grazie!

  8. Erika ha detto:

    @Maurizio
    grazie per la preziosa informazione sul burek…appena torno a Trieste mi fiondo in via Madonnina a cercare il posto 😉

  9. rosanna ha detto:

    bravo pietro

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