19 Aprile 2012

Fa tappa al Rossetti di Trieste il tour degli America

Ci sarebbe da spender fiumi di bit su questa cosa delle reunion, fenomeno diffusosi sempre più negli ultimi anni e oramai totale protagonista dei cartelloni concertistici di tutto l’occidente industrializzato; quelli che spendono per i concerti sono gli over 35 e i promoter, giustamente, si adeguano. Per la terza volta in pochi anni, in questa fetta d’Italia son tornati gli America, in versione reunion e quindi con una formazione che conta solo due su tre dei membri della squadra originaria, dopo l’abbandono di Dan Peek: strana e commovente  la storia del “terzo America”, dopo essersi abbondantemente dedicato a droghe, alcool e cibi con grassi saturi, ha avuto un’improvvisa svolta religiosa e si è dedicato a brani di ispirazione cristiana fuoriuscendo dal gruppo. “Dan went to Heaven”, Dan è andato in paradiso, recitò sommessamente il suo sito ufficiale il 24 luglio del 2011, una morte di cui all’epoca si seppe pochissimo, in piena coerenza con la riservatezza con cui Peek aveva trascorso gli ultimi anni della propria vita.

Uno dei punti cardine delle reunion è che non è che puoi fare chissà quali voli di fantasia quando imbastisci la scaletta; devi fare i classiconi, la gente vuole quelli e se non li fai son fischi. Così è stato per i nostri che hanno snocciolato le tappe di una carriera luminosa e brillante. Le critiche dell’epoca dipingevano gli America come una sorta di versione edulcorata del supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young ma la loro forza sta proprio in quell’equilibrio, in quella compostezza che rendono la loro musica tuttora accattivante e fruibile, anche dal pubblico che non li ha conosciuti ed apprezzati all’epoca. C’è un che di languido nella voce di Gerry Beckley, un timbro che vira sul nasale nelle parti alte dell’estensione ma che caratterizza come un trademark ogni pezzo: l’intreccio vocale, l’insistere sui cori che è il tratto distintivo di quel approccio “west coast” è il motore di un vecchio pickup che ci porta a spasso su una polverosa strada della provincia americana, costeggiata dai pali del telegrafo, immagini di cui pezzi divenuti leggenda come “Ventura Higway” e “Sand Man” sono la colonna sonora ideale. Senza indulgere troppo in quell’attitudine da rimastoni, gli America evocano anche attraverso i visuals alle loro spalle, gli eventi cardine che hanno  plasmato l’immaginario  e hanno costruito la poetica di un intera generazione: scorrono immagini dei bombardamenti in vietnam, della manifestazioni pacifiste, un epos “on the road” che, per quanto lontanissimo dallo stile di vita europeo, è entrato nella dimensione del mito anche per tutti i ragazzi di casa nostra, diventati tutti ex ragazzi, pronti a spellarsi le mani e ad accogliere con un vero boato “A horse with no name”, finale trionfale di una applauditissima performance.

Una piccola nota conclusiva, la tappa triestina,  per l’azzeccata scelta di Azalea promotion, ha sfruttato la prestigiosissima location del teatro Rossetti, un po’ imbarazzato con i suoi stucchi e i suoi velluti pochi giorni prima con la performance elettrica di Roger Daltrey, più a suo agio con il rock morbido e anche lui vellutato degli America. La sala, tuttavia, non è fatta per ospitare amplificazioni di un certo tipo e, forse complice una posizione in sala molto disassata, il riverbero dal fondo era sempre presente durante tutta l’esibizione: tuttavia questo non ha pregiudicato la fruizione di uno spettacolo che ha visto il pubblico partecipare numerosissimo ed entusiasta.

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