7 Luglio 2023

Quando muore il giorno

el sunto Dodicesimo appuntamento con la rubrica dedicata a dei brevi racconti horror ambientati a Trieste. La rubrica ha cadenza mensile

Mi chiamo Stefano Colombo. Nato e cresciuto a Milano, in età adolescenziale mi trasferii a Trieste per frequentarne l’Università, rinomata in tutta Europa.

In premessa a questo mio resoconto, devo dichiarare che non sono mai stato un uomo di facile impressione; non sono mai stato superstizioso, non ho mai creduto alle leggende, né tantomeno ai fantasmi. Ero convinto, fin poco tempo fa, che nulla potesse esistere dopo la morte; che questa chiudesse le porte dell’anima, lasciandola scivolare in un oblio eterno.

Questo, almeno, lo credevo fino all’anno 2007.

In quel periodo, come ho detto, mi iscrissi al ramo di psicologia all’Università di Trieste. Dopo una serie di ricerche, trovai alloggio presso uno stabile sito in Viale XX Settembre, nel punto in cui questo sfocia nella Piazza dei Volontari Giuliani, non molto distante dalla sede centrale dell’Università. Con la mente fresca e la volontà di studiare e apprendere quanto più possibile, mi sistemai alla meglio nell’appartamento che avevo preso in affitto: era un locale al terzo piano dello stabile, piccolo ma ospitale, molto silenzioso, il che mi avrebbe permesso di focalizzarmi sullo studio. Si era nel mese di settembre, già una brezza, non la Bora per cui Trieste risulta tanto famosa, iniziava a spirare lungo le vie della città. Ricordo il gemere continuo degli infissi alle finestre. Gli spifferi che salivano dai battiscopa.

Mi accingevo ad affrontare le prime lezioni di psicologia e trascorrere in solitaria le ore serali. Per sostenere al meglio il peso dell’Università, mi coricavo presto e mi alzavo puntuale per prendere il bus che mi conduceva alla sede centrale.

Il fatto accadde la terza notte del mio soggiorno. Devo dire che nei due giorni precedenti, non avevo mai sentito strane voci echeggiare nel corridoio, non avevo mai visto tavoli, o altri oggetti, alzarsi e rimanere sospesi nel vuoto per svariati secondi. I fenomeni paranormali, di qualsiasi entità, erano ben lungi da me.

Il giorno stava morendo, la sua luminosità si era fatta tenue e lunghe ombre si dilatavano nel viale.

Mi ero coricato presto a letto. Ricordo che stavo scivolando a gradi nel sonno, girato sul fianco destro, col volto puntato verso la finestra. All’improvviso, con la coda dell’occhio, notai una macchia scura, come un’ombra, che si muoveva lungo le pareti. Spinto dall’istinto, alzai il capo di scatto.

E la vidi.

Una figura femminile si stagliava a pochi passi da me. Aveva un aspetto cadaverico, la pelle chiarissima. Se ne stava appesa al soffitto, a testa in giù; i lunghi capelli, di un biondo spento, sfioravano il pavimento; i suoi piedi nudi erano innaturalmente appoggiati al soffitto in legno; indossava una lunga veste nera, e questa le rimaneva aderente al corpo, in modo inspiegabile perché, a causa della forza di gravità, avrebbe dovuto ricaderle addosso, coprendola almeno in parte.

Ricordo di non essermi mosso. Mi sentii paralizzare. Lei mi guardava, sembrava osservarmi. In quei suoi occhi scuri, come laghi montani, non vi lessi segno di aggressività o cattiveria. Anzi, sembrava sondarmi con curiosità.

Poi, dopo qualche istante, la mia mente prese a vacillare. Un brivido gelido mi risalì le vene. Ricordo di aver aperto la bocca, emettendo prima un gemito strozzato, poi un miagolio soffocato e, solo dopo qualche secondo, esplosi un grido di terrore. Lei non si scompose, continuava a fissarmi. Benché non sembrasse aggressiva, il suo era uno sguardo di ghiaccio.

Ricordo di avere chiuso gli occhi, in modo istintivo; contai fino a venti e quando li riaprii, la donna si trovava all’altezza della porta e stava scivolando lungo il corridoio. Sembrava fluttuare nell’aria.

Un forte senso di curiosità superò ogni forma di timore, perciò scesi dal letto e, molto piano, seguii la figura. Questa si fermò a metà corridoio, si girò di lato e, senza degnarmi di uno sguardo, svanì nel muro. Ricordo di essere rimasto lì, in pigiama, inebetito per alcuni minuti.

Cosa peggiore, non conoscevo nessuno a cui raccontare questa vicenda. Quella notte rimasi sveglio, a meditare sull’apparizione veduta. L’affittuaria dell’appartamento non mi aveva accennato a nulla del genere. Quando, l’indomani, la contattai per indagare sul passato dell’abitazione, lei dichiarò che, prima del mio arrivo, lì ci viveva una coppia di mezza età. Un giorno, la donna svanì nel nulla, di lei si perse ogni traccia. Nonostante le varie indagini della polizia, non venne più ritrovata. Il marito, afflitto dal dolore, decise di trasferirsi in località Mattonaia. La ringraziai per queste informazioni e non aggiunsi altro.

La notte successiva mi coricai a letto, ma non chiusi occhio. Facevo finta di dormire, rivolto sempre sul fianco destro. Ed ecco che, appena scesero le tenebre a spegnere ogni luce diurna, la figura femminile tornò a farsi vedere. Questa volta rimaneva immobile al capezzale, e il suo sguardo di ghiaccio sembrava sondarmi. Evitando movimenti bruschi, alzai piano il busto dal materasso. Quando i nostri occhi si incrociarono, lei si girò e fluttuò verso il corridoio. La seguii con lo sguardo e la vidi sparire nello stesso punto della notte precedente.

Possibile che stesse cercando di dirmi qualcosa?

Così scesi dal letto. Dallo sgabuzzino tirai fuori un grosso martello. Andai in corridoio e iniziai a battere contro il muro, nel punto esatto in cui la donna era svanita. Lavorai di buona lena, con foga crescente, finché non riuscii ad aprire un buco rotondo, una piccola caverna buia. Fu allora che, dopo un altro fendente, qualcosa mi travolse dal davanti. Rovinai sul pavimento, trovandomi a guardare due orbite vuote e il ghigno sinistro di un teschio.

Ricordo di aver lanciato un grido, un verso acuto, che echeggiò tra le pareti dell’appartamento. Lo scheletro sembrava abbracciarmi con le sue membra ossute. Mi divincolai dalla presa, scivolando di lato. Rimasi a contemplarlo sbalordito, stordito. Poi, l’impulso successivo fu quello di lanciarmi sul cellulare e telefonare subito alla polizia.

Compresi subito che quello scheletro apparteneva alla donna scomparsa. Quando arrivarono gli agenti, evitai di raccontar loro dello spettro, giustificando il mio martellare il muro con l’intento di predisporre dei chiodi per appendere dei quadri. Mentii dicendo che, di colpo, la parete aveva ceduto, rivelando quanto celava. Sembravano poco convinti della mia versione dei fatti, ma avendo trovato i resti della donna, sorvolarono e non mi posero altre domande.

Le indagini si svolsero in poco tempo. In città si fece un gran clamore della cosa e, pressato dalle insistenze degli investigatori, il marito della donna confessò l’omicidio per motivi passionali e l’occultamento del cadavere. Ai resti della donna fu data degna sepoltura.

E da quel giorno le apparizioni nell’appartamento cessarono.

Se non credete a questo mio reseconto, sappiate che non sto mentendo. Io non lo sapevo, ma la città di Trieste, insieme a Praga, Londra, Lione, Venezia e Torino, risulta essere una delle capitali europee dell’occulto; che lo debba alla sua lunga tradizione massonica, allo spiritismo che qui fiorì o alla sua bellezza, capace davvero di stregare, da Cittavecchia ai Castelli di Miramare, Duino e San Giusto, fino ai remoti boschi del Carso, risulta tutto un susseguirsi di case infestate, strane e bizzarre apparizioni e culti che si perdono nella notte dei tempi, spesso avvolti in una nube sulfurea.

Mi chiamo Stefano Colombo, e questo è ciò che accadde a Trieste nel settembre del 2007.

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