9 Febbraio 2024

Orando

el sunto Inizia oggi una serie di racconti di Davide Stocovaz dedicati alla figura del personaggio di fantasia Orando, che usciranno il primo venerdì del mese

Abbandonato. Mortificato.
Così mi sentivo mentre arrancavo lungo Viale XX Settembre. Era un tiepido pomeriggio di maggio, il sole percolava alto dai tetti delle case, scintillava tra le fronde degli alberi. Dentro di me, però, si addensavano tenebre fitte ed ero ben lontano dal godermi quella passeggiata.
Nella mente mi echeggiava ancora il suo nome: Marina.
Lei rappresentava tre anni di relazione sentimentale, era la luce cara dei miei occhi. Credevo non si sarebbe mai spenta. Quel venerdì di maggio, il giorno prima, lei era stata decisa e inamovibile. Mi avrebbe lasciato per amore di un suo collega conosciuto alle Assicurazioni Generali. Appresa la sua decisione, ero rimasto per lunghi attimi in silenzio. Avevo abbassato lo sguardo, senza avere il coraggio né la forza di sostenere quel suo sguardo glaciale. Avevo subito avvertito una morsa di gelo nelle ossa, una pesantezza alla bocca dello stomaco.
-Perché?-, avevo balbettato.
-Non c’è sempre un perché. Certe cose capitano e basta-, aveva risposto lei.
Distrutto dentro, avevo borbottato qualcosa che ora non ricordo; poi me n’ero andato dal suo appartamento, senza aggiungere altro.
Marina. L’indomani il pensare a lei, alla nostra relazione, mi stava logorando il cervello. Così mi ero deciso a uscire, per soffocare ogni ricordo nei fumi dell’alcol.
Presi posto a un tavolo del Bar H. Alcuni giovani erano seduti a un tavolo poco distante, presi dalle loro conversazioni. Non badai a loro, loro non badarono a me. Ordinai subito due Lasko e le tracannai nel silenzio della mia unica compagnia. Dopo aver fumato tre Lucky Strike, una dietro l’altra, saldai il conto all’interno del locale e proseguii il cammino seguendo il corso del viale. Superai il magnifico palazzo del Teatro Rossetti, scesi nel punto più affollato del viale e presi posto all’esterno del Bar La Preferita. Ordinai un gin. Non m’importavano gli effetti dell’alcol sul mio fisico. Volevo solo che quel nome non mi tornasse più nella mente come un rigurgito dell’anima. Sapevo che niente e nessuno avrebbe fatto cambiare idea a Marina. E quel suo sguardo severo, il tono fermo della voce, erano segnali che ormai aveva già preso la sua decisione.
Terminai il gin con qualche sorso. Fumai altre due sigarette, mentre nel viale fluivano persone di varie età, ognuno avvolto nei suoi pensieri o coinvolto in qualche conversazione. Per me in quel momento, ogni passante era un’ombra: una miriade di spettri che mi transitavano davanti. E, di certo, anch’io stavo divenendo un fantasma: il fantasma di me stesso.
Saldai il conto, arrancai lungo il viale diretto verso il centro della città. Con la mente ronzante, attraversai Ponte Rosso, scivolai nelle vie laterali, verso via San Nicolò. Il cielo si fece presto più cupo, di un azzurro denso nel quale apparivano le prime ombre della sera.
Attraversata Piazza Unità d’Italia, m’incanalai in Piazza Cavana. Svoltai a sinistra lungo un vicolo stretto e in salita. Dopo qualche minuto raggiunsi Piazza Barbacan. E qui mi lasciai cadere su una sedia, ordinando alla cameriera di turno un bicchiere di grappa.
Ricordo che quel primo bicchiere lo ingollai in un solo sorso. Ne ordinai altri tre. L’alcol mi frizzava nel sangue. La vista mi si era presto annebbiata. Dopo il quarto bicchiere di grappa, stentavo a rimanere persino seduto.
Fu allora che sentii il tocco di una mano sulla spalla. Alzai uno sguardo vacuo e vidi un uomo eretto davanti a me. Doveva avere circa sessant’anni, le spalle larghe, un fisico taurino; la pelle del viso aveva solo qualche traccia di ruga. I lunghi capelli bianchi gli ricadevano a cascata sulle spalle. Ciò che mi colpì oltremodo, fu la luce nei suoi occhi azzurri: era un riflesso di vivacità, di forza, che glieli faceva scintillare nonostante l’addensarsi delle tenebre.
Mi porse una mano, si presentò come Orando Smilovic.
Chiese di potersi sedere al mio tavolo e io accosentii. Lo vidi prendere una boccata d’aria, sorseggiare piano il suo bicchiere di vino rosso, poi puntò quegli occhi lucenti nei miei.
-Cosa ti turba, giovane?-, mi chiese.
-Non ha importanza.-
-Vedo un’ombra dentro di te. Ma se non ti va di parlarmene, lo capisco.-
Tracannai l’ennesima grappa, senza scompormi. Poi, pensai che, forse, sfogarmi con qualcuno avrebbe allegerito quel senso di pesantezza che mi gravava nel petto. Così, dopo un sospiro, raccontai a Orando tutto quanto: della relazione con Marina, della sua ultima decisione e del fatto che, probabilmente, non esisteva alcun motivo del perché mi trovavo lì, ubriaco fradicio, a parlare con uno sconosciuto.
-Niente capita a caso-, commentò lui.
-Se solo sapessi dove ho sbagliato con lei…-
-Continui a cercare un perché, ma spesso le cose capitano e basta. Vanno accettate così come si presentano.-
-Marina era il mio amore unico… e ora l’ho persa per sempre.-
-Se Marina fosse stata il tuo vero amore, forse non l’avresti persa. Ti sei mai chiesto cos’hai fatto per lei? Se guardi alla vostra relazione da un punto di vista esterno, vedi la premura tra di voi? C’era rispetto? C’era responsabilità? C’era la conoscenza?-
-Ma… sì, credo di sì. Insomma, non ci ho mai pensato, ma credo di sì.-
-Io invece credo che questa Marina sia stata solo un’esperienza. Bada bene, non un fallimento o un errore, ma un’esperienza. E magari, per prepararti ad accogliere chi verrà dopo. Ragazzo, se manca la premura, se manca il rispetto, la responsabilità e la conoscenza, o anche solo uno di questi fattori, non si può parlare d’amore.-
-E cosa posso fare adesso?-
-Intanto, puoi accettare la fine della relazione. E smetterla di rovinarti il fegato per stasera. Sappi che per ogni tramonto, c’è un sole che sorge; per ogni sogno che finisce, c’è uno che nasce. Niente è mai finito finché c’è la vita. E tu, dovrai imparare ad arrenderti a essa.-
-Che cosa intendi?-
-La vita è un torrente in piena. Noi dobbiamo essere quelle foglie trasportate tra i flutti. Esse non oppongono resistenza, ma si lasciano guidare dalla corrente, aggirando anche gli ostacoli più grossi. Vedo una certa resistenza nel tuo sguardo. Quando sarai pronto ad arrenderti, sarai pronto a vivere.-
Allora Orando si alzò dalla sedia. Mi porse la mano.
-È stato un vero piacere conversare con te.-
Gliela strinsi. Mi sorrise. Poi si allontanò svanendo in una macchia di giovani che parlavano tra loro.
In quel momento, non capii chi egli fosse, né avevo carpito qualcosa della sua storia o del suo passato. Ma le sue parole mi erano entrate dentro, nonostante la sbronza. Quando tornò la cameriera le chiesi una bottiglietta d’acqua frizzante. Quando si beve troppo, e non si vuole soccombere ai fumi dell’alcol, l’acqua salvavita è un toccasana.
Mentre sorseggiavo dalla bottiglia, mi chiesi se l’avrei mai rivisto.

(CONTINUA)

RINGRAZIAMENTI:
Desidero ringraziare molto Rebecca Campisi per avermi suggerito il personaggio di Orando dopo una lunga serie di riflessioni.

Qua trovi i libri dell’autore Davide Stocovaz.

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