Riva i druxi: in scena la nostra storia amara

COPRODUZIONE DAL DRAMMA ITALIANO («IVAN DE ZAJC»)
DI FIUME E DAL TEATRO ISTRIANO

Pola debutta «’Riva i druxi»
in scena la nostra storia amara

POLA – È scoccata l’ora fatidica. Sono arrivati i “druxi” al Teatro Istriano di Pola. Ieri sono scesi in campo per la conferenza stampa, in anteprima di presentazione dello spettacolo, fautori della più attesa pièce nella stagione teatrale polese ma anche fiumana 2007/2008. Una fitta schiera, tra sovrintendenti teatrali, direttore, scrittori, critici letterari, regista, scenografi, attori, costumisti, tecnici del suono, collaboratori per dire “ce l’abbiamo fatta” con passione, soddisfazione, emozione, perché l’“emozione” è il punto forte del loro prodotto attinto dalla fantasia letteraria del romanzo di Milan Rakovac, e tramutato in “movimento” teatrale che si giura non lascerà indifferente alcuno del pubblico. La scommessa che la delicatezza dell’argomento e la storia interpretata scuoteranno gli astanti è stata fatta come introduzione al momento dei saluti dalla sovrintendente del Teatro Istriano, Gordana Jeromela Kajic e dalla sua collega fiumana Nada Matoševi? (“Ivan de Zajc”), per poi cedere la parola alla direttrice del Dramma Italiano, Laura Marchig e risaltare la felice circostanza in cui ci si trova a presentare assieme lo splendido progetto del romanzo, divenuto oggetto di elaborazione drammaturgica, catturato dalla mano salda del regista Larry Zappia, per offrire sulla scena uno spettacolo preciso, strutturato, grondante d’emozioni, ispirato, ironico, offerente tutto quello che porta la vita – dal pianto, al riso, dall’allegria, alla tragedia e alla sofferenza – tutto quello che tocca il cuore. La sinergia di forze che hanno condotto alla trasposizione di “’Riva i druxi” sul palcoscenico si detta è straordinaria: il Dramma Italiano di Fiume che di per sé rappresenta un unicum anche a livello europeo, il felice connubio con il Teatro Istriano di Pola, lo scrittore che ha offerto la materia prima per l’interpretazione recitatoria ritenuto un bardo, simbolo di un percorso intellettuale di conoscenza della propria terra e di comprensione del prossimo, dell’“altro”. Il bello de “’Riva i druxi” edizione “speciale”, rimpastata dallo stesso autore e “manipolata” su misura dalla sapienza del regista Lary Zappia ha messo a dura prova gli attori: interpreti del Dramma Italiano per la prima volta alle prese con recite in ciakavo e croato letterario, viceversa attori croati a tu per tu con il polesano e l’italiano standard. Un pastiche senza precedenti.

Atmosfera di amicizia

Esternazioni corali sono state anche quelle per risaltare l’atmosfera di amicizia, serenità e affiatamento in cui si è lavorato. Manco un momento – così Jeromela Kaji? – ho dubitato che qualcosa sarebbe andato storto”. “Io mi sento felice, eccitato, un uomo realizzato” – ha aggiunto semplicemente Milan Rakovac rifacendosi, da intellettuale auto-ironico, a una frase di Catullo stando al quale, ora, fatto questo non gli resterebbe che… morire. Detto ciò, auguri al “maestro” regista, per l’incredibile lavoro svolto, un grazie all’idea primigenea della trasposizione teatrale suggerita dalla critica letteraria Jelena Luzina, per il passaggio operato dall’unica dimensione offerta dal romanzo alla visione pluridimensionale propria del teatro. Scherzosamente, Rakovac ha risaltato la propria incompetenza nell’offrire il primo telaio su cui Zappia ha creato fior di ricuciture. Ma visto dall’aspetto storico-culturolofico, il fatto più importante in tutta la faccenda è per lo scrittore quella di aver catapultato per la prima volta sulla scena due idiomi autoctoni vernacolari e due lingue standard contemporaneamente. Come altrimenti diventare europei se non puntando sulla comunione linguistico-culturale. Quindi un po’ di genesi raccontata da Larry Zappia, sul come sono scesi “i druxi”, gli acciacchi riscontrati nel dover ridurre la profonda discrepanza tra due discipline e due generi (romanzo – pièce teatrale). Confessione, secondo il maestro del teatro: la messa in scena sarebbe monca della ricchezza insita nella versione romanzesca, della operazione di incanalatura in meandri scrittori, dello struggente lirismo proprio dell’autore interprete dei difficili anni bellici e post bellici dell’esodo da Pola. Ma si mettono le mani avanti: la rappresentazione non è una ricostruzione di fatti storici polesani ma, in primo luogo, un’operazione tesa a catturare lo spirito dell’autore, per cui sono stati indispensabili attori “veri”, fiduciosi nel ruolo da interpretare. Da scoraggiare gli amanti del fatto storico, gli slide proposti non hanno nulla di documentario, è fiction pura come la stragrande parte delle vicende romanzesche improntate su periodo, difficile e sofferto. Il racconto teatrale, come spiegato da Zappia, inquadra tre esili: quello che sappiamo, degli imbarchi sulla “Toscana”, quello in sordina dalle zone rurali da dove il personaggio immaginario Grga abbandona la miseria del suo villaggio slavo-barbaro. E c’è il terzo, definito il più tragico, l’esilio dei rimasti, stranieri in casa propria, condannati e rassegnati all’assimilazione della propria cultura autoctona.

Un lavoro complesso

Ha fatto quindi seguito tutta una serie di interventi dei tanti che con il proprio tassello hanno contribuito a completare detto particolare mosaico teatrale. Duško Rapotec Ute ha detto della complessità del creare musiche adatte per una siffatta rappresentazione. Si annunciano tanti effetti sonori, pochissimi momenti di silenzio. Danica Dedijer piena di lodi per l’ospitalità riservata dalla Compagnia del Dramma Italiano: niente creazioni artistico-figurative o elementi fantastici per quel che concerne i costumi ma in compenso la curiosità che gli attori si vestiranno e svestiranno di altri abiti senza permettere allo spettatore di accorgersene. Emozionata, quindi la scrittrice Ester Sardoz Barlessi, per l’opportunità data di partecipare a questa esperienza, da consulente per il dialetto polesano e di lavorare assieme a tanto di professionisti del mestiere recitatorio. Alla pari della Barlessi, lo stesso Milan Rakovac ha invece curato la dizione del dialetto ciakavo. Ci ha scherzato su poi Aleksandar Cvjetkovi?, nei panni del personaggio principale Grgo, frontman dello spettacolo dicendo che il processo di creazione della rappresentazione (poggiante su un romanzo che alterna momenti lirici e bellici) gli è chiara nella misura dei… due terzi grazie alla pazienza e l’impegno del regista. Si è intavolato quindi il discorso delle sensazioni che il teatro provoca, delle vicissitudini narrate da Rakovac parti integranti di una memoria ormai “genetica”. Non ci ha pensato nemmeno a nascondere la propria emozione Elvia Nacinovich nel dire quanto sente “dentro” il ruolo e le situazioni proposte. Casualità vuole che l’esule Veneranda interpretata è il nome della nonna nella vita reale e il titino Checo, il “rimasto”, impersonato da Bruno Nacinovich, sia il nome del nonno. Lavorare è stata una festa ha detto Elvia dopo essersi definita una piccola rotellina di un grande, complesso e delicato ingranaggio di produzione teatrale mentre risulta terribile e triste portare con se la consapevolezza che anche oggi ci sia sempre qualcuno a fare le valigie. Battuta di Bruno Nacinovich: nello spettacolo pronuncia la stessa frase detta venticinque anni or sono nel film “Na istarski na?in”: “Se ga roto la Balilla!” Si sono susseguiti con parole di soddisfazione collettiva anche per il fatto di interpretare personaggi di sangue e emozioni che vanno al di là dell’ideologia e la politica, Rosanna Bubola, Romina Vitasovi?, Alida Delcaro, Elena Brumini, Lucio Slama, Rade Radolovi?, Denis Briži?, Filip Lugari?, Teodor Tiani.
Una seconda parte dell’incontro stampa alla vigilia della messa in scena di “’Riva i druxi” – “La nostra storia amara” è stata dedicata alla presentazione dell’omonimo libro, ottima edizione della biblioteca teatrale istriana, comprendente la versione teatrale offerta da Rakovac, l’elaborazione di Zappia, le recensioni di Jelena Lužina e Boris Domagoj Bileti?. Gli ultimi due si sono detti onorati di questa offerta al pubblico, hanno lodato l’iniziativa del Teatro istriano che a detta della Lužina dovrebbe liberarsi della denominazione di teatro cittadino e riacquistare quella di Politeama Ciscutti. Definendo per la sua scrittura Milan Rakovac uno dei precursori del post-modernismo letterario, la Lužina ha risaltato le difficoltà di maturazione dell’opera teatrale e il fatto di dover portare sul palco un romanzo delle emozioni e non della narrazione, una guerriglia di idiomi e quant’altro. Romanzo dalla prosa autobiografica e da feuilleton che, per Bileti?, è indubbio simbolo, segno di riconoscimento, cavallo di battaglia dello scrittore Milan Rakovac.

Arletta Fonio Grubiša

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