da Il Piccolo del 9 febbraio 2008
Ci siamo da poco lasciati alle spalle la Giornata della Memoria e come sempre in queste giornate forte è la percezione delle nostre terre come luoghi dove il ‘900 ha lasciato le tracce di tutte le sue più negative manifestazioni. L’emozione porta subito il pensiero ad un’altra giornata di memoria, il Giorno del Ricordo, giustamente istituito dal Parlamento su proposta di Roberto Menia, per ricordare le vittime delle foibe e l’esodo delle genti istriane, fiumane e dalmate, una delle più grandi tragedie della nostra storia contemporanea, tragedia dimenticata, rimossa, nascosta e strumentalizzata per troppo tempo.
Proprio l’avvicinarsi di questa ricorrenza mi riconduce alle strumentalizzazioni che hanno ancora accompagnato tale commemorazione negli anni scorsi, con guasti che permangono nel cuore profondo della città. Allora noto che c’è ancora chi ritiene di partecipare ai diversi ricordi a seconda del colore politico, che qualcuno ritiene ancora utile dividere per piccole rendite di potere, che il ricordo dell’esodo viene vissuto da qualche esponente politico come una cosa “di proprietà” sulla quale altri non hanno diritto di parola. E’ vero che per talune forze il percorso che ha portato alla presa di coscienza del dramma istrodalmato è stato lungo e spesso reticente. Tuttavia, a tacere delle coraggiose aperture di Stelio Spadaro, quasi vent’anni sono passati da quel 1989, in cui un giovane Gianni Cuperlo, rendeva omaggio alla foiba di Basovizza.
Da allora, bisogna riconoscere che alcuni esponenti del centrosinistra hanno dimostrato un impegno senza riserve nel promuovere e seguire le iniziative legislative in favore degli esuli e la loro applicazione, a partire da Camerini fino a Damiani e più recentemente a Rosato.
Preparandosi le celebrazioni del Giorno del Ricordo, quest’anno mi sarei quindi aspettato uno sforzo maggiore nel superare le incomprensioni del passato, mentre sembra invece che in alcune aree del centrodestra aleggi ancora una certa ambizione di “esclusività”. Un atteggiamento che rischia di portare come deprecabile conseguenza, mi pare, la divisione anche all’interno dello stesso mondo degli esuli.
Sarebbe stato opportuno, da parte di chi ne ha la responsabilità istituzionale nella giunta comunale, un maggiore coinvolgimento di tutte le componenti associative e politiche nel preparare una giornata che finalmente sia di tutta la città. Ciò anche alla luce di varie recenti dichiarazioni che, mentre rivelano posizioni ancora differenziate, dimostrano pure come il sindaco Dipiazza stia privilegiando l’aspetto istituzionale del suo ruolo rispetto alle pressioni partitiche della sua coalizione. Riconoscere la complessità del confine nordorientale e della sua storia è un segnale importante ma non ancora sufficiente.
Come, parallelamente, non è ancora sufficiente la partecipazione, anche emotiva, di parte della sinistra al dramma che ci accingiamo a commemorare il 10 febbraio. Bisogna prendere netta e condivisa consapevolezza che si è trattato di un effettivo vulnus della nostra storia, che richiederebbe uno sforzo vero, magari sofferto, affinché le nuove generazioni possano farlo proprio, e viverlo con lo sguardo rivolto al futuro. L’esodo e le foibe sono stati una tragedia europea, che forse altrove avrebbero avuto maggiore riconoscimento e considerazione e, se occorre collocarla correttamente nella storia, la questione dei diritti delle vittime di questo dramma non può essere archiviata con asettica presa d’atto.
I diritti non hanno un termine storico, i debiti morali non sono di destra o di sinistra. Trattare ancora la questione come una cosa di parte significa non avere rispetto per gli esuli né volere il bene della nostra città. La nostra Trieste “capitale morale dell’esodo”, che, assieme al suo naturale entroterra, ha pagato prezzi elevatissimi alle intolleranze del secolo breve, in questi giorni vede di nuovo aprirsi le porte della storia: con la caduta dei confini può porsi nuovamente come possibile protagonista di una ricca e complessa realtà sovranazionale.
Ciò sarà impossibile se il passato rimarrà un peso. Trieste allora deve saper ricordare, e deve saper guardare avanti allo stesso tempo, senza paternalismi, senza strumentalizzazioni, senza distinguo. La questione dell’equo e definitivo indennizzo dei beni perduti rimane punto critico a ricordarci l’ingiustizia subita, che pesa su tutti i colori dell’arco costituzionale. Non so se mai l’Italia pagherà questo debito, ma almeno sia Trieste, tutta, a porre il riconoscimento morale di questa tragedia come tratto della sua matura volontà di riprendere un cammino condiviso e pacificato.
Mario Maranzana nel libro “Trieste emigrata”, parlava del “ricordare, con evidente allusione al cuore, alla passione” e del “rammentare, con altrettanto evidente allusione alla mente, alla ragione”. Ecco, Trieste, che ha imparato finalmente a ricordare il dramma delle foibe e dell’esodo, ora deve iniziare anche a rammentare, se vuole davvero costruire un futuro di nuova prosperità.
Gian Matteo Apuzzo
Vice Segretario Provinciale Partito Democratico Trieste
Ultimi commenti
Railing: il giro della Slovenia in treno
Railing: giorno due. Sulle tracce di nonno Franc
Railing: giorno sei. Si rientra verso casa
San Nicolò de Bari xe la festa dei scolari…
Schianto in galleria sulla A23 a Dogna, morto il triestino Roberto Gomisel