Giorno 6:
KOČEVJE – GROSUPLJE – LUBIANA – DIVAČA – KOPER – DIVAČA – OPICINA (291 km, 6h 12’)
Si rientra verso casa
Inizia l’ultimo giorno del viaggio, e con esso un po’ di nostalgia per tutto quel peregrinare, ma anche la felicità al pensiero di riabbracciare i miei cari.
Prima di rimettermi a bordo dei treni, per quello che sarà il tragitto più lungo e con più cambi dell’intero percorso, come di consueto vado a zonzo nella cittadina che mi ospita.
Kočevje si trova in una zona di foreste, a tratti ancora vergini, dal terreno carsico e roccioso, che mi ricorda un po’ le mie zone. Questo paradiso naturale non è però stato sempre così idilliaco, essendo stato teatro di eccidi e pulizie etniche, perpetrate dall’esercito jugoslavo al termine della seconda guerra mondiale soprattutto ai danni della comunità germanofona ancora presente, oltre che degli oppositori politici.
In questo posto, le tracce della crudeltà umana non sono fortunatamente visibili, e in questo modo il visitatore ignaro della storia del posto non lo verrebbe mai a sapere. La natura la fa da padrone, e dona alla cittadina e al su circondario un alone selvaggio e innato.
Prima di partire dalla ‘mia’ villa liberty, approfitto del primo vero ‘contatto umano’ dell’intero viaggio, chiacchierando un po’ a colazione con il vero proprietario dell’edificio. Gli chiedo della storia della casa, che mi dice essere stata costruita per volere di alcuni ricchi esponenti dell’alta borghesia locale a inizio Novecento, passata più volte di mano per via ereditaria, e rimasta comunque fino a non molto tempo fa di pertinenza di un ramo della famiglia per la quale era stata eretta. Mi racconta delle condizioni di fatiscenza alle quali l’aveva acquistata e delle sue fatiche per rimetterla a posto e conservarne le caratteristiche architettoniche che la rendono unica nel panorama cittadino. Mi parla poi delle difficoltà avute nel sopravvivere con la sua impresa, messa seriamente in pericolo dall’avvento della pandemia di covid che aveva praticamente azzerato il flusso di ospiti della pensione e del ristorante annesso, dopo che aveva da poco terminato l’attività di restauro dell’immobile. Passiamo ad un argomento potenzialmente delicato, come quello della politica, quando gli chiedo se secondo lui si stia meglio adesso, con uno stato indipendente sloveno, o sotto il regime di Belgrado, vivo fino al 1991. ‘It’s the same shit’ afferma, ‘prima la gente non doveva preoccuparsi di nulla, veniva dato tutto ciò di cui si aveva bisogno, ma non si godeva di una libertà assoluta e soprattutto i soldi erano pochi. Adesso c’è maggiore libertà, ma la concorrenza è spietata, si lavora da mattina a sera, e comunque i soldi sono sempre e comunque pochi.
Finita la colazione esco per l’ultima camminata, prima della maratona ferroviaria che mi attende. Torno a visitare con la luce del sole la grande chiesa che domina il centro. Le grandi vetrate decorate illuminano l’interno con originali giochi di luce, che danno un tocco di colore alla severa ed imponente struttura. Esco quindi all’esterno, per alcune foto da cartolina con l’edificio religioso che si rispecchia nelle ferme acque del fiume. Continuando nella peregrinazione per il centro, mi imbatto nella casa di un apicoltore, decorata con alcuni cimeli storici dell’apicoltura all’esterno, simili a quelli visti a inizio viaggio a Radovljica. Dall’insegna vedo che la casa fa anche da negozio, suono alla porta e mi apre una simpatica signora sui settant’anni. Mi dice di essere la madre dell’apicoltore e mi racconta dei mieli tipici della zona, prodotti da questi magici imenotteri, e della differente conformazione delle arnie slovene, rispetto ad esempio a quelle utilizzate in Italia, con i telaietti collocati in orizzontale. Esco quindi accompagnato da un barattolo di miele di abete, che sicuramente assaggerò non appena arrivato a casa.
Proseguo il mio cammino, e su consiglio del mio ospite, mi reco al vicino lago di Kočevje, sorto abbastanza di recente (anni Ottanta del secolo scorso) nell’area dove in precedenza c’era una miniera. Anche oggi la giornata quasi primaverile dà un tocco di pace e tranquillità all’ambiente, e decido di fermarmi un po’ su una panchina in riva al lago per goderne. Nel parcheggio adiacente, una giovane coppia francese su un improvvisato van sta riordinando il mezzo, spargendo sull’asfalto tutto il contenuto della loro casa viaggiante. Nei pressi, una coppia porta a spasso il proprio pargolo, che trasporta fiero uno stelo di canna come fosse una spada. L’atmosfera mi ricorda quella di relax che ho trovato in qualche mio viaggio tra Australia e Nuova Zelanda. Il posto merita veramente una sosta più lunga, ma l’ora della partenza del mio treno si sta avvicinando, e devo rientrare alla villa per recuperare lo zaino. Ripercorro da un’altra strada il tragitto verso la cittadina, ridiscendendo dal lago. Durante il percorso ho modo di ammirare il Kočevski rog, altopiano carsico ricoperto da foreste che domina la città.
Alla villa mi attende il proprietario, che come il giorno prima si è offerto di darmi un passaggio in stazione.
Il treno è già sul binario (Kočevje è capolinea e tratto terminale della linea verso Lubiana) e, giusto il tempo di salutare la ‘solita’ locomotiva a vapore posta fuori dalla stazione, si parte alla volta di Grosuplje. Arrivato a destinazione, scendo al volo per un veloce cambio con il prossimo treno, che mi riporterà a Lubiana. A differenza della maggioranza dei convogli su cui ho viaggiato finora, esso parte già piuttosto affollato, e si riempie man mano che si avvicina alla meta.
Giunto nella città, e avendo una mezz’oretta abbondante fino alla partenza del prossimo treno, ne approfitto per una puntatina veloce verso il centro storico. Lubiana è la capitale, e si vede. Pullula di gente, e di begli edifici molti dei quali in stile liberty, come la ‘mia’ villa di Kočevje. Arrivato allo Zmajski most (il ponte dei draghi), ammiro i lucertoloni di bronzo messi a guardia del fiume, che sono anche il simbolo della città. Costeggio quindi il fiume Ljubljanica in uno dei tratti più famosi del centro, fino ad arrivare al Tromostovje, il ponte triplo che popola tutte le principali cartoline di Lubiana. Nonostante sia già passata l’Epifania, le strade sono ancora addobbate con le luci e le decorazioni natalizie, che donano alla scena un’aria di festa. Il tempo sta scorrendo troppo veloce per i miei gusti, vorrei proseguire a seguire il lungofiume popolato da un’umanità festosa in localini caratteristici, ma è quasi giunto il momento della partenza del prossimo convoglio, e mi dirigo quindi verso la stazione.
Il treno avrebbe dovuto portarmi direttamente a Koper (Capodistria), ma scopro che arriverà fino a Divača, dove dovrò abbandonare per la prima volta le strade ferrate e proseguire in pullman alla volta della costa istriana, a causa dei lavori di raddoppio del binario dalla località sul Carso verso il porto sloveno.
Da Lubiana verso Divača il percorso è quello della storica Ferrovia Meridionale, completata nel 1857 per collegare Vienna con Trieste. Purtroppo si sta facendo buio, ma faccio ancora in tempo a scorgere ciò che resta di uno dei gioielli della linea ferroviaria originaria, il viadotto di Borovnica, a due ordini di archi, per alcuni decenni il più grande ponte in muratura d’Europa, distrutto durante la seconda guerra mondiale. Di quella meraviglia rimane ora visibile solo una pila, che si erge triste e solitaria tra le case del villaggio omonimo.
Finora il clima era stato sempre benevolo, ma ora, in arrivo a Divača, piove a dirotto. Il pullman ci sta già aspettando all’esterno della stazione, e sotto grosse gocce di pioggia effettuiamo il trasbordo. Il tragitto su gomma, complice anche l’oscurità, non è così suggestivo come quelli sinora effettuati, e percorrendo l’autostrada arriviamo in circa mezz’ora a Capodistria. Volendo potrei fermarmi qui e proseguire il giorno seguente, ma vista la vicinanza da casa prevale il desiderio di riabbracciare la mia bambina, e decido di ripartire con l’ultimo treno per Opicina. Ho comunque ancora un’oretta per il cambio, e nonostante il tempo inclemente, decido di spenderla per coronare il viaggio con un degno finale, uno sguardo al mare, del quale stavo cominciando a sentire la mancanza.
In testa ai binari della stazione fa capolino una locomotiva, ma stavolta è diversa dalle solite. È più piccola, ed è (forse) l’ultima rimasta della ferrovia Parenzana, linea ora non più esistente che collegava Trieste con Parenzo, in Istria, e che ora ha trovato nuova vita come suggestiva pista ciclabile.
Dalla stazione, la costa dista quasi due chilometri, e per raggiungerla devo percorrere sotto la pioggia una zona periferica, con strade a quattro corsie, varie rotatorie e grandi capannoni commerciali. Il contrasto con la città vecchia è notevole. Le due parti sembrano messe vicine per caso, con gli ampi ma anomini, vuoti e un po’ squallidi spazi della periferia che circondano le strette ma vivaci viuzze in pietra della cittadella storica veneziana. Dopo aver percorso i lunghi vialoni, entro finalmente nel perimetro del borgo dalla porta Muda, dalla quale si fa subito notare l’elegante fontana Da Ponte, illuminata nel buio della sera. Risalgo quindi sotto la pioggia sempre più battente verso la piazza Tito, la piazza principale. Lungo le vie, luminarie natalizie illuminano il mio cammino e mi accompagnano per la strada, donandomi degli sprazzi di allegria nonostante l’atmosfera plumbea. Se finora non ho incontrato anima viva, ad eccezione di un paio di auto sui vialoni, trovo la piazza animata da gente varia, riparata nella caffetteria a bere e a chiacchierare del più e del meno. Mi godo un po’ il posto, tra il campanile della cattedrale e la facciata merlata del Palazzo Pretorio, anch’esso illuminato come la fontana vista in precedenza. Voglio celebrare con un caffè caldo la tappa finale del mio viaggio, e decido di farlo nella piazza che porta il mio nome (ma non a me dedicata), peraltro affacciata sul mare. Percorso ancora qualche centinaio di metri, eccomi finalmente a rivedere il mare. È un’emozione unica, per me che vivo sul mare e che sono abituato a vederlo ogni giorno è una presenza quasi scontata, e mi rendo conto che non averlo a tiro per tutto quel periodo via terra mi aveva fatto venire nostalgia, come fosse uno di famiglia.
Gustando il caffè, ne approfitto per riposare un po’. La lunga giornata comincia a farsi sentire, e il clima piovoso non aiuta a recuperare energie. Dopo poco riparto per riprendere la strada verso la stazione. Il menù prevede il ritorno in pullman a Divača, da dove prenderò l’ultimo treno in assoluto del viaggio, che mi riporterà a riattraversare dopo sei giorni un confine, e a concludere l’avventura a Opicina, dove tutto era iniziato. La parte finale non riserva particolari segni di nota, complice anche l’oscurità e la pioggia, nel moderno elettrotreno biancoazzurro dove siamo rimasti in due (eccetto macchinista e capotreno).
E’ l’ultimo chilometro della mia corsa, e me lo godo tutto.
Sarà forse un caso, ma termino di scrivere queste righe, dedicate a un viaggio in treno, comodamente seduto su una poltrona di un altro treno.
Ho spesso ripercorso con la memoria le tappe del viaggio, soprattutto negli ultimi giorni, sulla via del ritorno. In questi sei giorni ho trascorso ventinove ore in treno, percorrendo 1311 km, quasi l’equivalente di un Trieste – Reggio Calabria. Probabilmente la mia esperienza sarebbe stata più avventurosa e ‘scomoda’ fino a pochi anni fa, ma ora con il rinnovo dei convogli da parte delle ferrovie slovene si hanno le stesse comodità reperibili sulle reti di altri paesi a noi vicini (Austria e Svizzera, ad esempio). Le storiche littorine, con le panche in legno, sono ormai memoria del passato, e sopravvivono solo in alcune tratte secondarie; ho comunque avuto la fortuna di provarle andando a Ravne na Koroškem e nella zona di Novo Mesto.
Come ho avuto modo di dire all’inizio, è un viaggio particolare, che consiglio solo agli amanti dei viaggi in treno. Agli altri, e in particolare a chi ha fretta, non mi sento di dire altrettanto.
Ad attendermi a Opicina, come a chiusura del cerchio, mio papà, che senza saperlo è stato l’ispiratore di tutto questo.
Sul marciapiede della stazione ci riabbracciamo, è bello essere a casa.
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Mi hai fatto fare un suggestivo viaggio !
Grazie
Grazie a te Maria!
Sono contento ti sia piaciuto, il bello è che è anche a portata di mano…