Giorno 1:
OPICINA – SEŽANA – JESENICE – KRANJ – RADOVLJICA – KRANJ (212
km, 4h 34’)
Si parte
Per l’occasione recupero un mio glorioso compagno di viaggi passati: lo zaino! Forse
non manterrà le maglie belle in ordine come il trolley, ma a me sa tanto da avventura e
da viaggio ‘on the road’, anzi, per l’occasione, ‘on the rail’.
Il piano di battaglia per il primo giorno prevede che, da Opicina, rimanga sul primo
treno per una sola fermata, scendendo a Sežana, dove ho la coincidenza per Jesenice.
Da Jesenice riscenderò poi verso Radovljica e Kranj.
In stazione di Opicina mi accompagna mio padre, anche lui ferroviere a suo tempo. Sul
primo binario, un treno passeggeri sloveno in attesa, sarà lui a darmi il battesimo? Pare
di no, il tabellone con le partenze segna il treno per Sežana al binario 2. Ecco che subito
un primo imprevisto: il treno in arrivo da Trieste al binario 2 in realtà non prosegue, e
bisogna invece salire sul treno visto in precedenza al binario 1, che peraltro si muove
con un leggero anticipo rispetto all’orario del tabellone (ma in orario secondo quanto
riportato sul sito delle ferrovie slovene). Si parte!
Il tempo di una fermata, 10 minuti circa, per passare dall’Italia ed entrare in Slovenia.
Arrivo a Sežana, dove trovo sullo stesso marciapiede il treno pronto con destinazione
Jesenice.
La parte iniziale di questa seconda tratta attraversa il mio Carso, in zone a me note, che
spesso ho percorso in auto o in bici, ma mai in treno. La prospettiva è un po’ diversa,
si passa costeggiando numerose doline, in tratti completamente boschivi, o in mezzo
ai vigneti del tipico vino Terrano. Purtroppo c’è una nebbia molto fitta che non
permette di godere del panorama come meriterebbe. Da Kreplje il tracciato è quello
storico della Staatsbahn, o linea Transalpina, costruita a inizio ‘900 dagli austriaci
come alternativa alla Ferrovia Meridionale per collegare Vienna con Trieste. Le
stazioni principali, come Dutovlje – Duttogliano e Štanjel – San Daniele del Carso, sono tutte dello stesso stampo, in pietra carsica con un corpo centrale più alto delle due
ali laterali, e su di esso una finestra con sbalzo asimmetrico rispetto alla facciata. In
ciascuna di esse il capostazione è presente, e alza ancora la paletta per dare il nulla osta
alla partenza del treno. Le fermate minori spesso sono dei vecchi edifici ormai chiusi,
e alcune di esse si trovano in luoghi isolati, nessuna casa nelle vicinanze, e solo una
stradina sterrata ne rivela la via d’accesso per i viaggiatori.
Lungo il percorso, ho conferma della diffusione di una delle attività più tipiche della
tradizione slovena: l’apicoltura. Oltre ai classici prati, noto non di rado in luoghi per
me inusuali quali i piazzali di stazione, subito a margine dei binari più estremi, una
manciata di arnie, tenute probabilmente da qualche ferroviere. Chissà se gli operai
hanno stretto un patto di non belligeranza con questi insetti, in occasione dei lavori di
manutenzione su quel tratto di linea, per non infastidire gli imenotteri ed evitare di farsi
pungere…
Nei pressi di Nova Gorica la ferrovia corre parallela ad una pista ciclabile, a dividerle
una recinzione metallica di colore blu-bianco-rosso: è il confine italo-sloveno, allora
italo-jugoslavo, che aveva diviso Gorizia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale
come una piccola Berlino, e che passa proprio sulla piazza della stazione della
Transalpina. Dopo il conflitto, con la ridefinizione dei confini, queste zone si sono
trovate ad essere spartite sulla carta come fosse una partita a Risiko, senza tener conto
di chi ci vivesse, con risultati spesso aberranti, come il cimitero diviso in due a sud di
Gorizia, con la linea confinaria che tagliava anche le tombe. Escludendo l’ingresso in
Slovenia da Opicina, è il primo confine che incontro nel mio viaggio, un confine ora
aperto e tratto comune della fratellanza tra i due popoli, ma che purtroppo in passato
non è sempre stato così, un muro che rimane ancora nella mente di alcuni, e che viene
sadicamente resuscitato dai nazionalisti e populisti di turno, specie in occasione delle
elezioni.
Dopo aver percorso il primo tratto praticamente da solo, se si esclude il capotreno e
quattro sparuti passeggeri, a Nova Gorica finalmente sale un po’ di umanità, prevalentemente gente del posto, oltre a una chiassosa comitiva familiare italiana
diretta al lago di Bled.
Passata Nova Gorica il treno attraversa il fiume Isonzo su quello che è un capolavoro
dell’ingegneria: il ponte di Solkan (Salcano), il ponte ad arco in pietra più grande del
mondo con i suoi 85 metri, realizzato dagli austriaci, e ricostruito dagli italiani dopo la
Prima Guerra Mondiale. Aggrappato ai ripidi pendii, il treno continua a risalire il corso
dell’Isonzo, dal colore smeraldo che spicca nonostante la nebbia. Queste zone sono
bellissime, con la natura che dà il meglio di sé in tutte le stagioni, e si fatica a realizzare
che furono teatro di uno dei più sanguinosi fronti della Grande Guerra.
Dopo Most na Soči (Santa Lucia) la ferrovia lascia l’Isonzo e devia verso nord-est,
toccando altre zone molto suggestive come il lago di Bled, che si intravede per qualche
minuto dal treno prima di arrivare alla graziosa stazioncina omonima. Si risale quindi
fino a Jesenice, ultima città slovena sulla linea Transalpina, prima dell’eroico
centenario tunnel delle Caravanche verso l’Austria.
Arrivato a Jesenice ho un breve tempo per il prossimo cambio, sufficiente a
sgranchirmi le gambe e dare un’occhiata anche dall’esterno al grigio cemento armato
della stazione, tutt’altro che attraente. Rientro, e trovo al primo binario il prossimo
treno: l’Intercity per Lubiana, con cui sarei sceso a Kranj con una sola fermata
intermedia.
Salito a bordo, avverto un rendez-vous con il passato: le carrozze sono a scompartimenti, come quelle su cui ero solito viaggiare in Italia negli anni ’90. Su questa nuova tratta trovo un altro grande fiume a farmi compagnia lungo il tragitto, la
Sava, che incontro a Globoko e mi porta fino a Kranj, lungo paesaggi selvaggi, violati solo dal tracciato della ferrovia.
Arrivato a Kranj, mi colpisce la dimensione limitata del fabbricato della stazione, se comparato con l’importante città che serve, anche a confronto con quanto visto in
alcune apparentemente sparute località incontrate lungo il tragitto sin qui effettuato.
Inoltre, a differenza di quanto sono abituato a trovare in una stazione, non vi è alcun indicatore dei treni in partenza e in arrivo, se non l’orario cartaceo piazzato dietro il vetro di una bacheca, oltre alla mancanza di sottopassi per raggiungere i vari binari, elemento però comune nelle stazioni slovene. I viaggiatori locali non sembrano infatti disorientati da simili carenze.
A Kranj vado di corsa in ostello a lasciare lo zaino, spero mi perdonerà. Le ore in treno
già percorse non mi bastano, e voglio risalire nuovamente in direzione di Jesenice per
una tappa a Radovljica, cittadina caratteristica, famosa per ospitare il museo dell’apicoltura, fulcro della tradizione popolare slovena.
Arrivo a Radovljica quando sta per fare buio. La stazione è a mezza costa sul fianco di
una collina, dalla cui balconata si dovrebbe avere una vista mozzafiato. Peccato che la
nebbia, ancora persistente in questa parte di Europa, mi nasconda la vista del monte
Tricorno, il più alto della piccola nazione che mi sta ospitando. Risalgo per alcune irte
stradine, e mi ritrovo nel centro del borgo, una vera e propria bomboniera, ingioiellata
con le luci natalizie del periodo. Dopo la visita all’interessante museo dell’apicoltura,
mi immedesimo in un’ape, e vado a zonzo nelle viuzze del paese alla ricerca dei miei
fiori da bottinare. Trovo subito qualcosa di piacevole: al piano terra dell’edificio
principale cittadino si trova una scuola di musica, frequentata a quell’ora da bambini e
ragazzi.
I suoni riecheggiano nel paese, e dalle finestre mi fermo a spiare l’attività,
rimanendo ad ammirare la gioia che traspare dal volto di una bambina, mentre sta
imparando a suonare il pianoforte. In una stanza vicina, un adolescente si impegna con
fare professionale mentre adopera una fisarmonica. Sarà il periodo, sarà la visione di
quei momenti di felicità, fatto sta che il cuore mi si apre in una pace indescrivibile, e
sento per un attimo la mancanza di un abbraccio familiare con cui condividerla.
Vagato ancora per un po’ senza meta, torno a prendere il treno per ritornare a Kranj.
Non sia mai che vada in astinenza da treni.
Arrivato nella destinazione finale della lunga giornata, dalla stazione seguo la strada
che oltrepassa il fiume e mi porta verso il centro storico, situato su un alto sperone
roccioso alla confluenza dei fiumi Sava e Kokra. Le vie principali che attraversano
l’abitato sono tempestate da luci natalizie, e da scritte illuminate beneauguranti; una
timida pioggerellina raffredda la serata, e rende più radi e schivi i pochi passanti
incrociati.
Telefono a mio fratello, che abita non troppo distante, e ci diamo appuntamento per
cena. Torno quindi in ostello per una doccia e un minimo di riposo dopo le
peregrinazioni della giornata. Rimango un po’ deluso, a quarant’anni avevo scelto
l’ostello con l’immaginario di tornare giovane, e di fare nuove conoscenze, trovo
invece un compagno di stanza intento a guardare il film Matrix dal cellulare, e in tutta
la struttura solo una sbrigativa donna delle pulizie comparsa al momento del check-in.
Esco per andare a cena e ridiscendo verso la zona più moderna della città, dove mi
incontro con mio fratello per una reunion familiare. Chiacchierando volentieri del più
e del meno, tra una birra artigianale e un formidabile hamburger, la serata vola
piacevole e purtroppo rapidamente.
Come ho già avuto modo di percepire negli altri viaggi vissuti, nonostante di solito sia
una persona piuttosto riservata e introversa, noto che il vagabondare mi apre
nuovamente ai contatti con il genere umano. Pur avendo appena cominciato il mio
viaggio, e quindi non essendo stato neanche un giorno intero in solitaria, aver passato
una bella serata in compagnia ha contribuito notevolmente a tenere alto l’umore,
nonostante la mancanza della mia bambina rimasta a casa e l’incombente cupola di
nebbia e umidità che gravano su Kranj, clima che solitamente mi spinge sul
malinconico.
Ritorno quindi in ostello per il meritato riposo e con la speranza di un’ultima
chiacchiera con uno sconosciuto, trovando però solamente il mio compagno di stanza,
stavolta in compagnia di Tom Cruise e del suo nuovo film.
Domani mi aspetta un’altra tappa lunga ed eccitante, che mi porterà in cinque ore a
toccare Lubiana e Maribor per cambio treno, percorrendo poi una ferrovia secondaria
fino a Ravne na Koroškem. Punto a questa cittadina montana vicino al confine con
l’Austria, della quale faceva parte fino a ottant’anni fa, per cercare tracce della
prigionia lì trascorsa da mio nonno, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Chissà
se la tappa sarà di aiuto a ricostruire parte della mia storia familiare?
Il viaggio continua…
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