7 Aprile 2023

Per un soffio d’amore

el sunto Nono appuntamento con la rubrica dedicata a dei brevi racconti horror ambientati a Trieste. La rubrica ha cadenza mensile

Stefano Vascotto aveva trentasei anni. E non aveva mai avuto una relazione con una donna.
Fin da quando era ragazzo, in periodo adolescenziale, aveva provato alcuni timidi approcci con l’altro sesso, ma nessuna sua coetanea sembrava apprezzare anche solo l’idea di provare a stare assieme a lui.
Nel corso degli anni si era iscritto a tutti i siti internet di incontri possibili, postando le sue foto migliori, compilando profili su profili, nella vana speranza di trovare qualche ragazza o donna con la quale intraprendere almeno una conoscenza. Ma, per il mondo femminile, Stefano Vascotto restava un alieno. Nelle occasioni dal vivo, per quanto cercasse di aprire qualche dialogo con qualche donna, questa lo ascoltava con sufficienza, poi con una scusa qualsiasi se ne allontanava. Stefano aveva un aspetto mediocre. Su una scala di valori dall’uno al dieci, lui si sarebbe classificato al posto quattro. Aveva capelli bruni, a volte corti, a volte lunghi; occhi marroni, un volto ovale, col naso a patata e una barba scura, che a volte si radeva e altre volte no. Indossava degli occhiali grandi, dal fusto spesso e nero, che gli conferivano un’aria da intellettuale. Il fisico era nella norma, niente di eccezionale e in certi periodi risultava un pò sovrappeso.
Insomma, per il genere femminile, Stefano risultava né carne né pesce. Un carattere docile, fin troppo mansueto, coronava la sua indole sofferente. Per questo motivo, visse piuttosto male gli anni dell’adolescenza e a trentasei anni, con tutti i rifiuti che gli gravavano nella mente e nell’anima, aveva perso ogni speranza. Si trascinava nelle giornate, coltivando imperterrito il sogno di diventare uno scrittore. Da qualche anno a quella parte, stava cercando di stendere il suo primo romanzo. Una storia d’avventura mista a horror ambientata in Egitto, che vedeva come protagonista un profanatore di tombe che si scontrava con un’antica maledizione. Tuttavia, si incamponiva sui vari capitoli, scrivendo, cancellando e riscrivendo, in modo quasi maniacale. E più si avvicinava alla parola “FINE”, più tornava indietro a modificare altri aspetti della trama, o dei personaggi, o della struttura narrativa.
Il giorno della sua svolta sentimentale avvenne il 23 febbraio del 2023. In modo del tutto inatteso, ricevette un messaggio nella chat di Instagram da una certa Sabina, un semplice e banalissimo “ciao”. Spinto da curiosità, decise di visitare prima il profilo della ragazza. Aveva trent’anni, solo nove foto sul social, ma quelle nove foto valevano per mille. Sabina aveva postato solo immagini che la ritraevano in pose sensuali, con indosso shorts o bikini. Non aveva molti followers, ma diverse reazioni sotto a ogni fotografia. Non si capiva di dove fosse o dove vivesse.
Dato che non aveva nulla da perdere, Stefano decise di risponderle con un altro semplice e banalissimo “ciao”.
Sabina rispose quasi subito, chiedendogli se fosse single. Stefano rispose di sì. Per un attimo accantonò il romanzo che stava riscrivendo per l’ennesima volta e si concentrò sulla chat. Iniziarono a scriversi del più e del meno, dei loro hobby, dei loro interessi. A Stefano sembrava strano che una ragazza così attraente avesse scelto proprio lui per scambiare quattro chiacchiere. Poi, capì anche di doversi godere il momento, cosa piuttosto rara nel corso della sua esistenza. Si gongolò in quella sensazione di inaspettato benessere, e a una richiesta di Sabina si scattò una foto del suo volto sorridente. Gliela inviò, ricevendo una risposta che lo lasciò basito: lei lo trovava davvero molto carino. Dopo una serie di altri discorsi, Stefano scoprì che Sabina abitava con sua zia a Divaccia, a circa venti minuti da Trieste. Sapere questo gli fece sobbalzare il cuore in gola. Sabina rincarò la dose affermandogli che avrebbero potuto vedersi nel fine settimana, almeno per conoscersi dal vivo. La zia sarebbe stata assente, perché lontana da casa per motivi di lavoro, perciò avrebbero potuto passare un po’ di tempo assieme, in totale intimità.
Stefano non ci pensò due volte, rispose in modo affermativo. E Sabina si dimostrò volenterosa a venirlo a prendere a Trieste per portarlo a casa sua; poi, verso sera, l’avrebbe ricondotto in città.
Si diedero appuntamento per quel sabato stesso. E quando abbassò il cellulare, Stefano provò una sensazione di primavera nel petto e di un’estate afosa nei pantaloni. Per precauzione, onde evitare dibattiti o rimproveri, decise di non dire nulla ai suoi due genitori con i quali conviveva. Suo padre, di certo, non avrebbe apprezzato quell’appuntamento al buio. Sua madre, invece, l’avrebbe lasciato fare. D’altronde, a trentasei anni, Stefano doveva essere artefice del suo destino.
Cenò assieme a loro, discorrendo poco, tra un boccone e l’altro, in prevalenza sugli sviluppi del suo primo romanzo. Secondo lui, stava arrivando a una svolta e mancava ancora poco prima di poterlo sottoporre a qualche editore. Suo padre non ebbe mezze misure.
“Mi chiedo quando ti troverai un lavoro serio”, mormorò, masticando una polpetta.
Stefano non ribadì. Incassò il colpo e rimase in silenzio.
Quella notte sprofondò in un sonno agitato, in cui si mescolava il volto radioso di Sabina con quello altrettanto soddisfatto di una editor della Mondadori, che si congratulava con lui per l’ottimo lavoro svolto sul romanzo.
Si destò con la mente carica di speranze, di sogni che restavano sempre aperti. Trascorse quel venerdì chiuso in casa, a rivedere gli ultimi appunti del romanzo, a modificare altre parti del testo, a limare qualche dialogo. Non si rese nemmeno conto dello scendere del sole e, per svariati minuti, non ricordò che l’indomani sarebbe stato il giorno dell’incontro con Sabina. Quando lo capì, sobbalzò sulla sedia e si lanciò in bagno. Si fece una lunga doccia ristoratrice, fischiettando qualche canzone romantica.
Quando si coricò a letto, fece una cosa che non faceva ormai da anni: ringraziò Dio per il colpo di fortuna che gli era capitato.
Quel sabato non dovette attendere molto. Aveva dato appuntamento a Sabina in via Giulia, all’altezza della Piazza dei Volontari Giuliani. Col cuore che gli tamburellava sulla punta della lingua, seguiva il traffico che gli sfilava davanti in attesa del suo arrivo. Poi vide una Fiat Panda bianca accostarsi al marciapiedi e suonare il clacson. La raggiunse, trattenendo il respiro. Quando si abbassò al finestrino, per guardare nell’abitacolo, incrociò lo sguardo ammaliante di Sabina. Questa lo invitò a salire. Stefano non si fece pregare. Prese posto accanto a lei, sul lato passeggero. Per un attimo, affondò nei suoi occhi castani; sembravano due gemme preziose di un materiale ancora sconosciuto. Sabina indossava un piumino rosa fucsia che le metteva bene in risalto le linee sinuose del suo corpo, assieme a dei pantaloni leggings neri che aderivano perfettamente alle gambe. Calzava delle semplici scarpe da ginnastica bianche. Aveva raccolto i capelli lisci e neri in una coda di cavallo e strinse la mano a Stefano, regalandogli poi un sorriso malizioso che gli sciolse ogni nervo nel corpo.
Durante il tragitto parlarono del più e del meno. Stefano non mancò di raccontarle la storia del suo romanzo, dalla nascita dell’idea iniziale fino agli ultimi ritocchi che aveva compiuto il giorno prima. Lei lo ascoltava curiosa, interrompendolo solo ogni tanto per fargli qualche domanda di approfondimento.
Senza rendersene conto, superarono la piccola chiesa di Divaccia e svoltarono a sinistra. Ancora pochi metri e Sabina sterzò a destra in una piccola strada sterrata. Questa sembrava snodarsi all’interno di un bosco, e Stefano si guardò intorno curioso. Solo dopo qualche ulteriore metro, poté scorgere una piccola abitazione a due piani: le mura bianche, il tetto scuro e un piccolo balcone in ferro al primo piano. Sembrava una tipica casetta di campagna.
La Fiat Panda si fermò. Sabina spense il motore e gli sorrise. Stefano scese dal veicolo, chiuse la portiera e si fece guidare all’interno dell’abitazione.
Appena ebbe chiusa la porta dietro di sé, Stefano si trovò avvinghiato a lei. Era come se gli fosse saltata letteralmente addosso, riempendolo di baci. Stefano si sentì mancare. Inebriato dal suo profumo, un misto tra fiore d’arancio e mandarino, e dal tocco insistente delle sue labbra carnose, si lasciò guidare direttamente in camera da letto, la seconda porta a sinistra al piano terra.
Le persiane della stanza erano socchiuse, perciò una tenue penombra abbracciò i loro corpi uniti. Sabina lo fece ruotare su sé stesso, facendolo crollare poi sul materasso. Iniziò a levargli i vestiti. Stefano riuscì a emettere solo un mormorio di piacere e sentì il cuore quasi esplodergli nel petto quando vide Sabina scivolare fuori dai suoi vestiti con movimenti sinuosi e sensuali.
Per la seconda volta, in poco tempo, ringraziò Dio per esistere e per essere nei suoi stessi panni.
Sì, per una volta si sentì fiero e orgoglioso di essere Stefano Vascotto.
Sabina si sfilò il reggiseno e gli slip neri. Poi avanzò verso di lui con movenze felpate, sembrava una tigre pronta a divorarlo vivo. E lui si sarebbe lasciato divorare tranquillamente.
Si avvinghiò a lui, immerse le labbra nelle sue. Poi scivolò su un fianco, in modo da portarsi sotto al suo corpo. Ora Stefano la sovrastava, reggendosi sui palmi delle mani. La baciava, tra un ansito e l’altro, un mormorio e l’altro. Dopo qualche minuto, si staccò dalle sue labbra, inarcò la schiena e le aprì le gambe. Le sua mani scivolarono sui seni sodi e ben compatti. Con l’anima vibrante, si sistemò sul materasso, sentendosi pronto per affondare dentro di lei.
Ma in quel momento, dei tonfi sordi, alle spalle, attirarono la sua attenzione. Sembrava il suono di alcuni passi affrettati. Si fermò, si girò e si paralizzò, come fulminato.
Un uomo, alto quasi quanto lui, però dalla carnagione olivastra, con dei baffetti scuri sotto al naso, il fisico asciutto, con indosso un parka verde militare, lo stava fissando. Impugnava una pistola.
Stefano aprì la bocca per dire qualcosa.
Ma l’uomo premette subito il grilletto. Lo sparo sembrò scuotere le pareti della casa. E Stefano poté sentire il proiettile sfondargli la pelle all’altezza del petto. Venne sbalzato sul materasso, rovinando a pochi centimetri dal corpo nudo di Sabina.
La ragazza non aveva detto nulla, né aveva reagito in qualche modo. Scivolò giù dal letto, iniziando a vestirsi. Stefano la guardò con occhi sgranati. Sgranati dalla sorpresa, dalla rabbia.
La vide affiancare l’uomo olivastro, dirgli qualcosa all’orecchio e poi svanire nelle ombre del corridoio. Stefano esalò un mormorio, un lamento doloroso. Era come se il suo petto fosse attraversato da tizzoni ardenti che gli scavavano la carne.
L’uomo olivastro gli si fece più vicino, alzò la pistola, mirando alla testa. Stefano chiuse gli occhi.
Un secondo sparo. L’ultimo.
E per Stefano Vascotto si spense ogni luce e ogni suono.
Akanksha Kapoor abbassò la pistola, con la canna ancora fumante. La inserì in una fondina che teneva legata al fianco. Si abbassò sul corpo di Stefano, lo cinse con le braccia e lo sollevò dal materasso. Tenendolo in grembo, svanì nel corridoio. Attraversato questo, raggiunse un piccolo bagno e lo adagiò nella vasca.
Stefano era già nudo, perciò non avrebbe dovuto spogliarlo e perdere altro tempo. Indossò dei guanti in lattice, sollevò un seghetto chirurgico elettronico e ne avviò il motore. Un ronzio fastidioso si impadronì di ogni altro suono. Si abbassò una mascherina trasparente sugli occhi e iniziò il suo lungo lavoro di taglio. In un angolo del bagno erano già stati sistemati dei sacchetti in plastica, che avrebbero presto ospitato gli organi di Stefano.

Secondo i dati aperti del progetto Counter-Trafficking Data Collaborative, gestito dallo IOM, l’International Organization for Migration, a gennaio 2019 il fenomeno del traffico d’organi umani riguardava più di 91.000 casi attinenti a 169 paesi.
La banca dati è apertamente consultabile e aggiornata da organizzazioni operanti da tutto il mondo, che attestano l’esistenza del fenomeno.

FINE

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