Il sipario è già aperto, la sala si fa buia e un cupo rumore di vento si fa sempre più assordante. Il personaggio interpretato da Lorena, interpretata da Laura Bussani dà inizio a un monologo, che ben presto si interrompe senza terminare. Così comincia Senza un soldo, liberamente tratto da Senza un soldo a Parigi e a Londra, di George Orwell.
Anche questo articolo si interrompe. Per sottolineare che oggi, 16 dicembre 2021 è un giorno perfetto per parlare di questo spettacolo. Un giorno di sciopero generale indetto da due su tre dei sindacati confederali, per sottolineare l’allarmante precarietà dei lavoratori, l’ingiusta pressione fiscale sulle fasce di lavoratori più deboli, l’erosione del welfare, l’assenza di provvedimenti per contrastare i sempre più numerosi incidenti sul lavoro e (ricordiamolo: tutto ciò mentre i partiti che si dicono dalla parte dei lavoratori stanno ora al governo) la miseria in Italia tocca sempre più persone. Non c’entra? C’entra, e ci arriviamo presto.
Senza un soldo a Parigi e a Londra risale al 1933, è la prima opera edita di George Orwell ed è (quasi completamente) autobiografica. Schifato dalla sua esperienza come civil servant nelle colonie dell’impero britannico, a 24 anni Orwell si licenzia e passa alcuni anni svolgendo i mestieri più umili nella capitale francese e poi in quella britannica, Resta ben presto al verde e costretto a sopravvivere svolgendo infime mansioni o beneficiando della (scarsissima) pubblica carità. Non c’è nulla di romantico o bohémien nel suo racconto di quel lungo periodo. È un reportage fra persone che la miseria ha ridotto ai minimi termini nel fisico e spesso nell’umanità. Al di là dello stile, qua e là ancora acerbo, il testo è a tratti ancora molto attuale; ma per fortuna in ampie parti non lo è più.
Marcela Serli, regista dello spettacolo, ha raddoppiato il piano del racconto, mettendo in scena le prove di uno spettacolo sull’autobiografia Orwelliana. Laura Bussani e Francesco Godina interpretanoLorena e Franco, gli attori che provano, ma tra un brano recitato e l’altro emerge, con prepotenza, il racconto della miseria che si nasconde nella nostra società e nelle loro vite di persone dello spettacolo, lontane tanto dal successo quanto da una minima sicurezza economica.
Questa esperienza di precarietà, che sulle prime sembra toccare solo le persone di cui Franco e Lorena parlano (senza, per altro, possedere le parole giuste per nominarle) e che li circondano, si rivelerà poco per volta un tratto costitutivo delle loro stesse vite. Lorena ne è già consapevole ma tenta di tenerla a bada come può. Franco all’inizio ancora crede alle illusioni sussurrate dal capitalismo, ma verrà costretto ad ammettere a se stesso che il successo e la stabilità economica sono quantomai improbabili.
I due attori procedono nelle prove e nelle reciproche confessioni; nello stesso tempo la miseria, evocata dai rumori di un tempo ostile e dagli elementi instabili (precari?) della scenografia, deborda oltre il palco e ingolfa gli spettatori, che a loro volta si chiedono, forse, quanto sia solida la sicurezza che ostentano, quanto lontano possano portare i loro sforzi per vivere bene, su quanto aiuto possano sperare da parte un governo che, a fronte dell’avanzare della povertà, taglia le tasse ai ricchi assieme al sostegno alla sanità – e bolla come irresponsabili le persone che oggi hanno deciso di scioperare.
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