17 Settembre 2018

Lo scantinato dei social: la violenza verbale

el sunto Lo scantinato del condominio social: la violenza verbale. Parole O_Stili e le campagne di sensibilizzazione contro la violenza nelle parole.

Continua la nostra rubrica volta a sondare il terreno inamovibile e ricco di insidie sul quale ormai tutti camminiamo: quello dei social network.

Se nel primo articolo ci siamo occupati di osservare un grande condominio social di Trieste, per fare un po’ di chiarezza sulle persone che lo abitano e sull’utilizzo che ne viene fatto; ora spostiamo l’attenzione sullo scantinato del condominio, su quella stanza sotterranea la cui porta viene preferibilmente tenuta chiusa: la violenza verbale nei social network. La chiave che verrà usata per aprire questa porta si chiama Parole O_Stili: un progetto di sensibilizzazione contro la violenza nelle parole, nato a Trieste.

Ciò che ci chiediamo adesso è: può una campagna di sensibilizzazione combattere efficacemente la violenza nella parole? Indubbiamente l’intenzione di Parole O_Stili, progetto che qui viene solo preso come esempio, risulta qualcosa di positivo e sicuramente il fine che si propone è degno di lode. Quello che si vuole porre in questione però non sono le intenzioni, ma l’effettiva efficacia dei modi che una campagna di sensibilizzazione può adottare.

Parole O_Stili si muove essenzialmente su due ambiti: quello pubblico-istituzionale (comprendente comuni, aziende e università) e quello prettamente scolastico. Per quanto riguarda il primo ambito di intervento, la campagna propone la responsabilizzazione nell’uso delle parole – in rete e anche al di fuori di essa, perché non ci dobbiamo dimenticare che la rete “virtuale” fa sempre parte della realtà – attraverso un manifesto da firmare. Le questioni che si aprono sono due: una campagna di questo genere, deve avere come target le grandi istituzioni pubbliche? E, a chi arriva questo manifesto? L’impressione è che questo manifesto non solo sia poco efficace perché raggiunge un pubblico che dovrebbe essere già consapevole dell’importanza delle parole come quello universitario (e nel caso in cui non ne sia consapevole, non saranno certamente 10 buoni propositi a cambiare la situazione), ma anche perché tale manifesto viene semplicemente firmato dall’autorità in questione e viene dunque a mancare la trasmissione all’intero organo istituzionale. Il manifesto ci sembra essere una formalità che si ferma ai cosiddetti “piani alti”.

Più interessante e sicuramente è il progetto attinente alle scuole. Parole O_Stili infatti si occupa di offrire sia una breve preparazione al personale docente, sia il materiale didattico per gli studenti. In questo ambito il problema della violenza verbale, con particolare riferimento al mondo dei social, viene affrontato in maniera opposta all’ambito precedente: si passa da una sorta di imposizione dall’alto di 10 regole, ad una proposta più radicale di educazione coadiuvata dalla volontà di ogni singolo insegnante. Questo è il massimo che una campagna di sensibilizzazione possa fare, ma è sufficiente la spiegazione del problema per debellarlo? Se pur questo progetto nei riguardi della scuola risulti un’iniziativa sorprendente, non sembra comunque essere abbastanza per vincere la battaglia contro la violenza verbale, perché conoscere il problema non significa averlo risolto. Inoltre, il problema principale non è la disinformazione sull’esistenza o sui modi in cui la violenza verbale si manifesta, perché utilizzando i social è certo che anche i più giovani avranno già assistito a più di un’esperienza del genere. Allora ci si chiede: qual è il problema di fondo?

Per rispondere a questo quesito facciamo riferimento ad un recente fatto che ha coinvolto il celebre Gianni Morandi: un semplice scherzo architettato da un profilo fake, ha scatenato una valanga di insulti nei riguardi del cantante; insulti che non si sono placati nemmeno dopo l’avviso della falsità della notizia da parte di alcuni utenti (per saperne di più). Ma come mai buona parte degli utenti non si sono accorti della fallacia della notizia e del profilo? Come mai gli insulti sono continuati anche dopo che la notizia è stata screditata? Senza perderci in mezzi termini, sembra chiaro che il problema di fondo sia la superficialità con cui molti utenti si approcciano ai social, assiema all’ incapacità di avere un pensiero critico e alla sostanziale rabbia che sfocia nei social perché spesso, protetti da uno schermo, non si prova né paura, né responsibilità.

La violenza nei social, che si traduce in violenza verbale, è dunque conseguenza di un rapporto acritico con il mondo, il quale porta a dare credito a ciò che è falso, a fraintendere e infine a scontrarsi con gli altri. La violenza è sempre figlia dell’ignoranza e nessuna campagna può risolvere un problema così radicale. C’è forse bisogno di mettere mano al  sistema educativo?

 

 

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