Lasciata l’autostrada a Duino, la cittadina che annuncia la costiera triestina, ci vogliono una ventina di chilometri per raggiungere il capoluogo del Friuli Venezia Giulia. Venti chilometri che si dipanano tra una serpentina di curve appoggiate alla montagna carsica a strapiombo sul golfo. Il paesaggio è sempre spettacolare in qualsiasi stagione si percorra la costiera. Sui pendii di roccia grigia e frastagliata si allunga in estate l’ombra dei lecci e, d’inverno, le chiome di queste querce sempreverdi disegnano la passeggiata sul mare. In autunno le foglie rosso carminio del sommacco puntellano il bosco che all’inizio della stagione calda si riempie di asparagi selvatici e di altre specie vegetali che ne fanno un museo a cielo aperto di biodiversità. Il golfo, sulla destra mentre si raggiunge Trieste, è un enorme bacino che non ha quasi orizzonte. Le nuvole sono rare e spesso la bora, il vento gelido che spira da nord, spazza un cielo terso per gran parte dell’anno. Piccoli sentieri scendono al mare dove trattorie senza pretese preparano cozze e spritz – bevuto, come a Gorizia, con vino bianco mischiato ad acqua.
Sembra l’incipit di uno dei tanti articoli che ultimamente stanno uscendo su Trieste città turistica. In realtà si tratta dell’incipit di un ampio articolo del noto settimanale Internazionale che fa il punto della situazione sulla Ferriera di Servola.
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