di Paolo Ruvidiz
Il sogno mi sorprende in una locanda di Jaszebereny, dove la pianura pannonica si imbiondisce e il cristallino richiamo dell’Adriatico si stinge in quello cupo del Mar Nero.
Mi trovo davanti un uomo, indossa una sorta di cappello da alpino ma privo di penna. Lo riconosco: è Roberto Dipiazza, il sindaco della mia Trieste.
Mi fissa negli occhi, uno sguardo gelido che mi ricorda i pescatori del Mar d’Azov, poi scandisce una frase che rimbomba minacciosa come una clanfa dal Decimo Topolino: “Vai a lavorare che è ora, vergognati!”
Mi sveglio in un bagno di sudore. Cosa avrà mai voluto dire quel sogno? C’è sicuramente un messaggio ancestrale che devo scoprire, e c’è solo un modo per farlo: calzare le scarpe e mettermi in viaggio.
In principio fu Dipiazza, Dipiazza generò l’Ordine e l’Ordine si fece Strada. Seguendo le tracce battute da un gruppo di nomadi in sella a cavalli lipizzani, io e il regista Alex, a piedi come fuggiaschi siriani, ripercorriamo l’antico basolato della Via Gemina per giungere finalmente a Trieste. Eccola, la porta d’Oriente, frequentata da bastardi sanguemisto appollaiati tra due frontiere. Mentre l’aria è sazia di preghiere serbo-ortodosse e di traghetti che prendendo il mare verso Istanbul, nella mia testa solo una voce riecheggia con la cocciutaggine di un rabbino haredì: “vai a lavorare, vai a lavorare, vai a lavorare”.
Decido dunque di recarmi allo Sportello del Lavoro: un suk di volti ruvidi, slavi, turchi e micenei, dove senza muovere un passo (infatti siamo fermi in fila) possiamo veleggiare lungo le coste dalmate infestate dagli Uscocchi o infilarci nei vicoli di Costantinopoli. Dopo un’attesa di tre ore, l’impiegata, secca e compunta come un derviscio, mi informa che il tempo di attesa medio per essere richiamato è di sei anni e tre mesi.
– La provi in Friul – mi consiglia.
Non mi demoralizzo ma, appena mi volto, scorgo il mio amico regista Alex venir trascinato via a forza da due energumeni massicci come cingolati sovietici a Jalalabad.
– El se ga lasà scampar che ghe piasi parlar! – mi confessa l’impiegata – i lo ga assunto subito al call center. Contratto de 18 mesi non pagado con possibilità de recesso NULLA. Miga mal, de sti tempi.
Trieste è una città viva e pulsante, una meravigliosa sintesi di mondi. La Barcolana, le cerimonie greche e serbe a un tiro di schioppo da quelle cattoliche ed ebraiche, gli eventi in quello che fu il porto d’Asburgo non si contanto. Uno per tutti, il più importante: la Bavisela. Mi dico che lì, forse, hanno bisogno di un ufficio stampa. Recandomi in sede mi fermo al bar a bere un capo in b. Il barista, Nevio, un uomo dal narrare rotondo e mani imponenti da agricoltore babilonese, mi sussurra confidente che la Bavisela non si farà più.
– Eh, no i gaveva più bori! – sentenzia con la schiettezza di un bicchiere di Vitovska.
Muovo i piedi con passi da viandante, un endecasillabo precario alla ricerca del contratto, della conferma, del bonifico a fine mese. Sulle Rive, a filo di mare davanti a una foresta di alberature e vele ammainate, passo davanti all’ex Pescheria Granda, oggi Salone degli Incanti. Mi viene in mente che qui si tiene annualmente ITS, la manifestazione della moda. Ma Ciano, l’organizzatore, mi gela:
– Gnente – mi dice – ITS xe morto. No se fa più. No i gaveva più bori.
Capisco che lavorare a Trieste non è così semplice, ma sul mio taccuino ho appuntato una sfilza di nomi. Sono i posti in cui presentare il mio cv, l’ultima trincea prima della capitolazione: Marchi Gomma, Godina, Smolars, Vetri di Murano…
Dopo un’ora di fallimenti mi siedo sconsolato su un gradino. Non rimane più niente. Cosa voleva dire Roberto in quel sogno? Mi diceva di andare a lavorare, ma qui no se pol. Mi sembra la Yeravan di qualche anno fa, incommensurabile perla travolta dalla crisi.
Si avvicina una vigilessa, la noto appena. Mi fa segno di alzarmi
– Sono 190 euro.
Mi spiega che con la nuova ordinanza non si può bivaccare per strada.
– Ma io non stavo bivaccando! – protesto – mi stavo disperando!
– E no se pol, cocolo. Xe comunque 190 euro.
Succede che a un certo punto ricevo una soffiata. Riprendo il cammino puntando verso Oriente finché non mi appare davanti: è lei la fine della Strada, visione inquietante e fata morgana. Una cresta dentata che fuma come quella di uno stegosauro: la Ferriera.
Mi avevano detto che l’area a caldo doveva chiudere i battenti, invece eccola lì, a fauci spalancate, l’ultimo rifugio del naufrago, fuoco perenne, passaggio obbligato come la Sfinge dei Greci.
Mi dicono che c’è posto e posso cominciare lunedì. Dubbio, pensieri, richiamo irresistibile come le rocce dell’Oberhalbstein o canto di muezzin in un minareto del Sangiaccato. Contratto a tempo indeterminato, garantito.
A cura di Fabio Turco e Fabio Marson
me dispiasi muli, ma stavolta il vostro articolo no me ga piasso per gnente
Per fortuna i gusti xe gusti 🙂
Finalmente Paolo Ruvidiz è tornato!
Fantastico Rumiz!
che figada tempo indeterminato! mi pensavo che iera a tempo determinato rinovabile ogni 100 giorni! 😀
Meraviglioso Rumiz e fantastico Ruviditz
E’ stata pubblicata una Poesia ispirata dalla vostra città
Gentilissimi,
certa di farvi cosa gradita, Vi scrivo per segnalarvi che sul sito “Storie di Città” è stata geo-localizzata una poesia ispirata dalla vostra città
http://www.storiedicitta.it/storia/trieste-bora-poesia-manuel-paolino/
Storie di Città è un importante progetto letterario di massa che consente a tutti coloro che amano scrivere di pubblicare Racconti, Storie e Poesie per poi geo-localizzarli su mappa nel luogo in cui sono stati ambientati o dal quale sono stati ispirati. Dall’altro lato chi ama leggere avrà la possibilità di intraprendere il viaggio più bello ed emozionante della sua vita…. Lo facciamo per l’Arte, la Cultura e il Turismo in Italia.
Alida
http://www.storiedicittà.it