12 Dicembre 2016

Promemoria_Auschwitz: L’esperienza di Giulia

el sunto Continua il nostro approfondimento del progetto Promemoria_Auschwitz, che abbiamo scelto di raccontare attraverso la voce dei suoi protagonisti

Continua il nostro approfondimento del progetto Promemoria_Auschwitz, che abbiamo scelto di raccontare attraverso la voce dei suoi protagonisti: i giovani che vi hanno partecipato. Dopo aver sentito l’esperienza di Dino Perco, educatore, è il turno di Giulia.

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Giulia Kakovic è una studentessa, al primo anno di economia e gestione dei beni culturali all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha partecipato a Promemoria_Auschwitz nel febbraio del 2016, quando ancora era una studentessa del Liceo Petrarca di Trieste.

Cosa ti ricordi del progetto Promemoria_Auschwitz e cosa ti ha lasciato?
Ricordo che è stato un percorso ricco di emozioni. Mi ha permesso di approfondire un argomento, quello dell’olocausto, che a scuola si tratta spesso troppo superficialmente. In particolare, si concentrano tutte le colpe sulla figura di Hitler, dimenticando il ruolo che il popolo ha avuto nella la riuscita del genocidio. Si potrebbe dire che una delle tante cose che il progetto mi ha lasciato è una diversa prospettiva da cui analizzare gli avvenimenti: mi ha fatto comprendere e ragionare su aspetti che prima ritenevo trascurabili o su cui non mi ero mai soffermata.

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Perché oggi è importante parlare della seconda guerra mondiale come nei termini di questo progetto?
Lo è perché il progetto non si concentra semplicemente sul racconto degli eventi della guerra, ma su un aspetto della guerra che ha ben poco di bellico e molto più di sociale: l’olocausto, appunto.  Si tratta di un evento che ha avuto la portata che ha avuto perché in quel momento storico c’era il bisogno di trovare un capro espiatorio su cui riversare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. Perciò molte persone innocenti sono state uccise.

Oggi ci troviamo in una situazione molto difficile e delicata, in cui la xenofobia e i nazionalismi sembrano riprendere terreno. Ogni giorno vediamo alzarsi più muri di quanti ne vengano abbattuti e la paura e l’odio dilagano. Sembra quasi che abbiamo perso la capacità di immedesimarci nell’altro e di riconoscerlo prima di tutto come essere umano e non come nemico che vuole per forza farci del male. Dovremmo restare più umani e credo che questo progetto ci aiuti a farlo.

Cosa vuol dire “praticare la memoria”?
Credo sia la cosa più difficile da fare. Praticare memoria significa non dimenticare e non far dimenticare, non considerare il passato come qualcosa di lontano da noi, ma soprattutto significa riconoscere i campanelli d’allarme che ci avvisano che le cose nel nostro presente non stanno andando come vorremmo.  In quest’ottica, dopo un’esperienza del genere, è necessario praticare ogni giorno memoria per rispetto delle vittime e di noi stessi.

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Senti ancora i ragazzi che hai conosciuto durante il progetto?
Alcuni sì. Molti di questi hanno deciso, dopo questa esperienza, di iniziare o continuare un percorso di volontariato all’interno di diverse associazioni nella nostra città.

La parte conclusiva è la “restituzione”, in cui i partecipanti raccontano l’esperienza nelle scuole e alla cittadinanza. Perché è un passaggio importante?
Lo è principalmente per due motivi: in primo luogo organizzare una restituzione ti permette di rielaborare l’esperienza, per coglierne gli aspetti fondamentali e spogliarla di tutte quelle emozioni che, per quanto forti ed importanti, non ti permettono altrimenti di vederla razionalmente. In secondo luogo, la restituzione è importante per trasmettete a tutti quelli che non hanno avuto la possibilità di fare quest’esperienza almeno un pezzetto di quello che si è imparato e per far scaturire alcune delle domande sorte durante il percorso. La speranza ultima resta però quella che una volta ascoltato il tuo racconto ognuno vada a informarsi e ad approfondire questo argomento.

 

 

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