Siamo lieti di riprendere questa serie di interventi sul “Museo della letteratura di Trieste” con un intervento di Harald Hendrix, italianista olandese che durante le sue ricerche si è occupato in più occasioni di musei letterari e case degli scrittori, e conosce di persona la situazione triestina.
Mentre il turismo globale si sta evolvendo a ritmi vertiginosi rivelandosi uno dei pochi settori economici che promettono di rimanere di primissimo ordine, Trieste si chiede come gestire il suo patrimonio letterario tutto particolare, con un’infrastruttura – museale o non – che sia efficace a livello di spesa pubblica, che risponda alle esigenze dell’utenza, e che rispecchi l’eccezionalità del patrimonio letterario triestino che come pochi altri può vantare una natura profondamente e intrinsecamente sopranazionale. Ma che domanda è, se la risposta vi è inclusa? Che sarebbe appunto utilizzare quello straordinario patrimonio per dare focus alla visita della città, creando una ‘narrativa’ di Trieste (poiché così si dice nel gergo degli operatori turistici) che convinca i visitatori a fermarsi qualche notte in più, lasciando di conseguenza in città una cifra ben superiore a quella consueta.
Perché il racconto di Trieste: un’identità di frontiera, come lo definirono Claudio Magris e Angelo Ara nel 1982, è colmo di quel fascino che piace proprio al turismo globale interessato a realtà storiche fuori del comune che facilmente si collegano alle preoccupazioni del mondo odierno, offrendo magari qualche spunto di riflessione e dibattito: sì, anche i turisti amano commentare quel che vedono e vivono nei luoghi visitati. Che quel racconto di Trieste e della sua identità di frontiera è profondamente radicato nel contributo dei suoi letterati ce l’hanno insegnato oltre a Magris e Ara tanti altri, fino a coloro che prima di me hanno nutrito questo dibattito.
Per cui è quel patrimonio eccezionale che si adegua più degli altri – peraltro relativamente modesti – a raccontare Trieste a un pubblico globale interessato a capire immediatamente quel che distingue la città delle tante altre realtà in zona con cui in un modo o nell’altro deve competere. E non solo a un pubblico di stranieri, ma anche alla propria cittadinanza che con il passare delle generazioni tende a perdere gradualmente la memoria delle sue radici culturali del tutto particolari, in un mondo che inesorabilmente si evolve verso un’omologazione globale che proprio per quel motivo sente il bisogno di conoscere e rilevare le proprie radici.
Ma come raccontare Trieste in base al suo patrimonio letterario? Con un’infrastruttura diffusa capace di inserire quel racconto nel tessuto urbano e comunicarlo con strumenti e ritmi diversificati che rispondono alle varie esigenze delle diverse utenze. Non in un museo-archivio letterario, dunque, anche se una tale istituzione deve essere parte integrale e anzi centrale del sistema nella sua complessità. Ma in una grande varietà di luoghi, preferibilmente pubblici e sempre accessibili (con relativa diminuzione della spesa necessaria), ove si rileva il significato del luogo come parte integrale della ‘narrativa maestra’, con un impiego vario e accattivante di strumenti di presentazione materiale e virtuale, dalle targhe e le statue alle app e le sonorizzazioni. E con una rete di connessioni fra questi luoghi, presentati a livello di dépliant e di app, connessioni multidirezionali che permettono varie letture della narrativa presentata, consentendo dunque una personalizzazione dell’esperienza vissuta da parte dell’utente. Tali percorsi possono poi essere arricchiti, inutile rilevarlo, da elementi commerciali, creando una base solida per collaborazioni fra il pubblico e il privato nell’elaborazione e il necessario continuo aggiornamento di tali strumenti.
E quale ruolo spetta, in questo contesto diffuso e in gran parte virtuale, a un elemento stabile e ben materiale qual è il tradizionale museo della letteratura? Solo in parte potrà – ma deve – essere centro di studi, in base a fondi archivistici di una certa consistenza. Presentare Trieste tramite il racconto evocato dal suo patrimonio letterario comporta non solo giustificare quella narrazione con la presenza in loco di almeno alcune fra le sue fonti, ma anche offrire occasioni di approfondimento per chi non vuole accontentarsi della fugace esperienza offerta ai visitatori occasionali; e molte fra le scuole cittadine potrebbero approfittarne. Importante il suo impegno per la presentazione intelligente, nello stesso museo e in altri luoghi, di materiali originali pertinenti agli spazi vissuti e frequentati dagli autori triestini, preferibilmente interni completi nei luoghi originali – la libreria di Saba –, considerando che elementi autentici come questi hanno effetto profondo anche su visitatori inizialmente poco interessati.
Ma maggior peso ancora nella sua missione avrà la regia intellettuale e gestionale del sistema diffuso sparso in città, che avrà continuo bisogno di aggiornamenti e di nuovi strumenti di comunicazione per soddisfare le esigenze di un’utenza che continuerà a crescere (e dunque a offrire sempre maggiori opportunità economiche), ma che tenderà pure a diversificarsi sempre di più e chiedere prodotti capaci di rispondere alle più svariate richieste.
El xè parente?
@1
el sabatico silenzio xè sta interoto da un quesito ‘ssai intrigante….
astenendomi dal commentare questo articolo, chiedo solo: ma a voi piace Veit Heiniken????? giusto oggi sul Piccolo c’e’ una sua mini-intervista. Io ho letto tre dei suoi primi libri ambientati a TS e non l’ho apprezzato. Voi?
@3 michela: mi piace Heinichen, ho letto tutti i suoi romanzi, ma non l’intervista. Aspetto con trepidazione il prossimo romanzo e la nuova indagine del commissario Proteo Larenti dal titolo “Trieste e i cugini Hendrix: tra rock e università”.
@4
orpo,bella doppietta Giorgio. Due piccioni con una fava. Con un sol post hai risposto al quesito serio (3 ) e a quello faceto (1-2)
‘cugggini’.
go capìo.