C’è stato un tempo in cui uomini duri e coraggiosi, in fuga dalla fame e dalla miseria, inforcavano una bicicletta e spingevano disperati sui pedali per ore e ore. Su strade polverose e piene di buche, con mezzi pesanti più di 20 kg, vestiti di lana e cotone e mangiando quello che trovavano lungo la via, con un paniere scarno dentro cui mettevano un paio di uova e un pezzo di pane e formaggio e qualche attrezzo per riparare la loro due ruote. Diciotto, venti ore di corsa, di notte, con una debole fiammella a illuminare pochi centimetri davanti alle loro ruote. Non erano professionisti. Erano avventurieri, cavalli pazzi in fuga da qualcosa, in cerca di fortuna.
Erano gli anni dei pionieri del pedale. Di gare talmente lunghe e sfiancanti che solo uno sarebbe giunto alla fine. Questa era l’idea di Henri Desgrange, ideatore della più importante e famosa gara al mondo, il Tour de France.
Da allora molto è cambiato. E quasi si fatica a riconoscere nel ciclismo moderno e nello sport in generale, quello spirito. Eppure le sfide sportive appassionano miliardi di spettatori in tutto il pianeta anche ora, alla vigilia di un’altra Olimpiade dei popoli mai così divisi e mai così poco credibile. Popoli divisi da una crisi senza precedenti nella storia moderna, con milioni di migranti e disperati in fuga, con ogni mezzo, da fame e povertà. Quanti, con un paio di sponsor sulle loro magliette sporche e sui loro logori bagagli, potrebbero incarnare lo spirito di quel tempo perduto? Quante anime disperate meriterebbero che le loro storie fossero raccontate.
In un’epoca di doping farmacologico e tecnologico, in un mondo sempre più conflittuale, un manipolo di uomini e donne attraverseranno l’Europa divisa, dal Belgio alla Turchia, passando per Francia, Svizzera, Italia, Slovenia, Croazia, Montenegro, Kosovo, Albania, Bulgaria, Grecia fino a Canakkale in Turchia.
Terre difficili, percorse da tensioni e guerre, attraversate dalle rotte dei disperati che mettono tutti in apprensione quest’anno ma che dimostreranno, se il traguardo finale non verrà modificato all’ultimo momento, anche in corsa, che pur in tempi bui c’è ancora spazio per un tentativo: ritrovarsi umani. Bussare stremati a qualche porta sperando che qualcuno l’apra e ti accolga, ambasciatore a due ruote che celebra la vita, fortunato a essere nato nella parte meno povera del mondo e che proprio per questo motivo, con una bicicletta e poche cose appresso, può attraversare questo Continente tanto sotto pressione.
Autosufficienza, logistica, capacità di navigazione, pianificazione, abilità, spirito di adattamento, forza e determinazione saranno messi a dura prova in questa edizione.
Quattro i Check Point previsti dopo la partenza, fissata venerdì 29 luglio alle ore 22, dal muro di Grammont in Belgio, a Geraardsbergen.
Clermont Ferrand in Francia, Furkapass in Svizzera, Passo Giau in Italia, Durmitor in Montenegro prima dell’arrivo a Canakkale in Turchia, saranno i punti obbligatori attraverso i quali passare. Un arrivo alternativo, in caso di forte instabilità politica o atti di terrorismo, è previsto presso il Faro di Alessandropoli.
Sarà un’edizione dura, più breve rispetto a quella del 2015 che misurò approssimativamente tra i 4200 e i 4500 km ( ricordo che, Check Point a parte, il percorso viene scelto e pianificato autonomamente dai corridori) ma con un dislivello superiore, tra 45mila e i 48 mila metri.
Si può gareggiare singolarmente o a coppie. Parole d’ordine rimangono sempre fair play e no support.
Chi volesse seguire la corsa potrà connettersi al sito www.transcontinental.cc oppure attraverso il sito www.trackleaders.com che monitorerà in tempo reale la posizione dei corridori tramite lo SPOT GPS obbligatorio e in dotazione a tutti.
Sono attive numerose pagine facebook, tra le quali quella ufficiale, Trancontinental Race e Transcontinetal Race (italiano) e Lucide follie a pedali on the road attraverso cui seguire le imprese dei concorrenti.
Tra essi possiamo segnalare Kristopher Allegaert, vincitore delle prime due edizioni, Josh Ibbett vincitore nel 2015 e Stephane Ouaja che lo scorso anno concluse la gara pedalando su una bicicletta a scatto fisso. Una decina gli italiani al via.
Chi volesse invece incontrare e applaudire i ciclisti potrà farlo raggiungendoli, dopo aver monitorato la loro posizione sul sito trackleaders. Indicativamente, i primi corridori, dovrebbero arrivare al Passo Giau tra martedì e mercoledì (2-3 agosto) e passare per Trieste già il giorno successivo. Come riconoscerli? Porteranno quasi tutti un cappellino Pedaled sotto il casco con impresso sul frontino il loro numero di gara.
Se voleste saperne di più sulla Transcontinental Race e altre gare di lunga distanza, potrete acquistare Lucide follie a pedali a questo link.
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