4 Luglio 2016

Un cuore e una capanna per la città di carta

el sunto Perché non esiste un museo della letteratura di Trieste? Riccardo Cepach, curatore dei musei Svevo e Joyce, ha una teoria e una proposta in merito…

Apriamo con l’intervento di Riccardo Cepach, curatore dei musei Svevo e Joyce, un confronto a più voci a proposito delle forme e delle possibilità di un “Museo della letteratura di Trieste”. Settimana dopo settimana, ospiteremo i punti di vista di esperti e interessati, per comporre un mosaico di aspirazioni e suggerimenti. Buona lettura!

 

È un esodo inavvertito – perché discontinuo, irregolare e, via, non certo drammatico – ma è un esodo anche questo: carte che lasciano la città di carta per andarsi a seppellire in archivi grandi, efficienti e lontani. Era già successo con quelle di Fulvio Tomizza partite per Lugano (e la sempre schietta signora Laura, vedova dello scrittore, può testimoniare che avevo cercato senza fortuna di convincerla a non farlo); succede ora di nuovo con Claudio Magris, che ha deciso di affidare il suo archivio al Centro Manoscritti di Pavia, creatura che Maria Corti ha immaginato (e realizzato) a partire dal 1969, solo sei anni in ritardo rispetto al momento in cui, visionaria e pragmatica come nessuna, Anita Pittoni lanciò nel 1963 la sua idea di un Archivio degli Scrittori Triestini intitolato a Stuparich, in cui raccogliere e valorizzare le testimonianze di uno dei più importanti centri di elaborazione della letteratura modernista europea, Trieste. Solo che Anita Pittoni non l’ha ascoltata nessuno e il materiale che lei ha raccolto (fra cui, pare, sei novelle del tutto sconosciute di Italo Svevo che, lo so, lo sento, sono ancora qui da qualche parte, nel cassetto di qualcuno) è andato disperso.

Del resto, anche se non ci sono le prove, sono anni che nell’ambiente degli studiosi e dei curiosi di cose letterarie circola un agghiacciante aneddoto sulle casse di libri (e forse anche carte manoscritte) che James Joyce aveva lasciato al fratello Stanislaus qui a Trieste (casse che si possono vedere in un documentario Rai degli anni ’50): che quest’ultimo, illo tempore, avrebbe proposto questo materiale in vendita al Comune di Trieste – “a un prezzo ragionevolissimo” aggiunge maligna la voce – per sentirsi rispondere «James chi? Quel pazzoide pornografo irlandese? Ma per l’amor di Dio, no!…».

Blooomsday – Quando Trieste celebra Joyce

Blooomsday – Quando Trieste celebra Joyce

Che sia vero o soltanto ben trovato (comunque queste casse sono finite alle Università americane, è un fatto) l’aneddoto testimonia di una lunga onda di disconoscimento e incomprensione, da parte della città di Trieste, della straordinaria stagione artistica che qui si è vissuta nei primi anni venti (nel ’21 esce Il canzoniere di Saba, nel ’22 l’Ulisse di Joyce e nel ’23 La Coscienza di Zeno, tre capolavori rivoluzionari concepiti e in gran parte scritti qui: ma ci rendiamo conto?) e delle conseguenze che questa irripetibile parabola ha causato e ancora causa (un’altra città di duecentomila abitanti in cui lavorano, a ogni nuova generazione, cinque, sei, o più scrittori affermati a livello nazionale e internazionale?). Per non parlare della caratteristica unica di una storia letteraria che si sviluppa in diverse lingue, dall’inglese di Charles Lever e Richard Francis Burton al francese di Paul Morand, al tedesco di Ricarda Huch e Theodor Däubler (per tacere di quello di Rilke, ché Duino dov’è?) allo sloveno di Vladimir Bartol e Srečko Kosovel (è troppo lontana Sežana?), al joyciano. Quella della letteratura triestina è una storia senza paragoni, pari forse soltanto a quella delle sue enormi rimozioni.

Per questo ho trovato molto opportuno l’intervento di Alessandro Mezzena Lona sul “Piccolo” dello scorso 24 giugno, che ha preso spunto dalla partenza delle carte di Magris per riaprire la riflessione su un altro degli inafferrabili fantasmi del nostro eterno dibattito culturale: il museo della letteratura triestina.  O meglio: a dire il vero l’articolo parlava della piena realizzazione del progetto di “parco letterario” triestino en plein air in cui il rapporto fra la città e il suo patrimonio letterario diventi evidenza quotidiana, secondo l’idea di Renzo Crivelli e la suggestione di uno dei più grandi esperti del rapporto fra i luoghi e le parole letterarie, Harald Hendrix dell’Università di Utrecht.  Sicché, è chiaro, la mia automatica traduzione – una specie di Google translator  mentale, altrettanto veloce e altrettanto rozzo – in “museo della letteratura” non può che derivare dalla mia deformazione professionale di curatore dei musei Svevo e Joyce.

Sì. Ma non solo. Deriva anche dalla mia convinzione che un museo della letteratura triestina sia lo strumento fondamentale da porre al centro di quel museo en plein air che, è verissimo, Trieste rappresenta. Un luogo in cui questa grande, grandissima storia venga raccontata, prima ancora che conservata e protetta (senza trascurare che, con buona pace di Magris e delle sue scelte, la sola esistenza di un tale centro, affidabile e attivo, rappresenterebbe un filtro rispetto alla ulteriore dispersione di questo patrimonio). E pazienza per tutti quelli che, appena sentono la parola “museo”, si sentono tirare la pelle per la polvere e cominciano a togliersi immaginarie ragnatele dai capelli. Ci sono esempi virtuosi di valorizzazione di patrimoni immateriali (o solo parzialmente materiali) in Europa, strutture efficienti e coinvolgenti, capaci di raccontare un territorio più approfonditamente di qualsiasi stanco museo della città e più efficacemente di qualsiasi fiera del prodotto tipico.

E se, alla fine, proprio in virtù delle tante eccezionali specificità che ho cercato di ricordare brevemente, non ci riuscisse di trovare bello e pronto un modello? Se dovessimo costituire noi una piccola eccellenza in questo campo? È proibito fare una cosa meglio degli altri? Scegliere di essere una piccola avanguardia, non fosse che per recuperare gli errori e le sottovalutazioni del passato?

Riccardo Cepach

(in apertura: testo fotografato da Trieste o del nessun luogo, di Jan Morris, 2003 Il Saggiatore – p. 67)

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1 commenti a Un cuore e una capanna per la città di carta

  1. Terry Passanisi ha detto:

    Ne ho scritto, più o meno, a riguardo qui: https://downtobaker.wordpress.com/2016/06/29/trieste-citta-letteraria-non-troppo/#more-284
    Spero di poter contribuire al dibattito.
    Grazie

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