25 Novembre 2015

Non solo il 25 novembre, ma anche il 26

el sunto il 25 novembre, ma anche il 26 novembre e tutto l'anno. Con due parole d'ordine: condivisione e aiuto reciproco. E senza l'uso della violenza.

Lavoratrici, madri, figlie, nonne, compagne, amiche, amanti, cuoche, allieve. Solo raramente una di queste cose, molto più spesso due, tre, o anche quattro cose assieme. Un figlio piccolo, uno oramai grande ma disoccupato, un marito assente, un compagno troppo presente, un amante indeciso.

Nell’inevitabile confronto con coetanee e altre donne la cosa che accomuna i nostri racconti è una costante sensazione di stanchezza.

Ci raccontiamo di come siamo stanche. Anche esaurite. Di come tenere in piedi tre lavori, una famiglia e il cane sia diventato oramai insostenibile. Di come il tempo per noi stesse sia diventato un lusso.

E soprattutto ci chiediamo: ma come siamo arrivate a questo punto? Com’è che noi, così istruite e consapevoli, ci ritroviamo davanti a un bar a parlare di tutto ciò che avremmo voluto evitare come la peste? Com’è che ci ritroviamo accanto a un marito violento e non sappiamo come uscirne? Com’è che ci ritroviamo a dover scegliere fra uno stipendio e la cura dei figli?

I dati statistici, oltre ai racconti delle mie amiche al bar, ci dicono che la vita delle donne è tutt’altro che sostenibile. Il rapporto del World Economic Forum del 2014 sulla distanza tra uomini e donne per quanto riguarda opportunità economiche, partecipazione politica, istruzione e salute (il cosiddetto “Gender Gap Index”), ci dice che l’Italia è tra i paesi europei nei quali le donne godono di minori possibilità (politiche, economiche, di sviluppo professionale) e si fanno carico di maggiori incombenze (gestione del lavoro domestico e di cura su tutte).

No. Non si tratta della solita solfa di come noi donne ce la passiamo peggio degli uomini. Di come quasi duemila anni di sottomissione siano stati troppi. O di come sono fighe le quote rosa. Discorsi che lasciano il tempo che trovano. Sì, perché neanche gli uomini se la passano troppo bene. Anche gli uomini sono vittime di violenza. Anche gli uomini sono vittime di un sistema che non permette loro di essere padri presenti al cento per cento.

Penso che la parola chiave in tutta questo marasma, dal quale non sembra ci sia una via d’uscita rapida, sia CONDIVISIONE. Condivisione dei compiti in casa e del ruolo genitoriale. Libera scelta di ciò che vogliamo essere da grandi e indipendente dagli stereotipi, condivisione degli spazi di lavoro e di aggregazione. Condivisione e aiuto reciproco fra esseri umani, per fare fronte insieme ai cambiamenti economici e sociali della società e del territorio in cui viviamo.

Non solo il 25 novembre, ma anche il 26 novembre. Tutto l’anno. Affinché essere lavoratrici, madri, figlie, nonne, compagne, amiche, amanti, cuoche o allieve non sia un peso, ma una risorsa.

*immagine tratta da il gioco del rispetto

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6 commenti a Non solo il 25 novembre, ma anche il 26

  1. dimaco ha detto:

    Beh le amiche al bar sono le fonti statistiche più affidabili.

  2. Sara ha detto:

    E perché voi omini non andé al bar? 🙂

  3. dimaco ha detto:

    Certo che ghe andemo. Ma xe pien de babe e allora optemo per l’osteria.

  4. bombastic ha detto:

    più che condivider mi preferiso divider. mi a casa mia e ti a casa tua e se se vedi pel tempo libero. anche perchè tutte me disi che per lore veder l’omo far i lavori de casa e fregar le pignate xe la morte dei sensi

  5. Sara Matijacic ha detto:

    Ecco. El “non rivar a veder l’omo far i lavori de casa” xe l’inizio de tutto.
    Oppur el contrario, come nel mio caso. Pena metto le man in cusina, mo moroso preferisi no vardar. 😉

    Che poi mi la condivision la vedo anche nella suddivision dei compiti: mi fazo questo e ti te fa quel. Ma sempre suddivision xe.

  6. aldo ha detto:

    Se pol anche sudivider i compiti e alternarli, tipo stavolta ela sta in cusina a meter a posto e lui va in bagno a far sesso e la volta dopo el contrario.

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