13 Novembre 2015

E se il profugo fossi tu?

el sunto Se lo chiede Luigi Nacci in un post del suo blog, pubblicato dopo le polemiche in seguito all'iniziativa A Trieste l'ospitalità e di casa.

E se il profugo fossi tu? Cosa faresti? Come sarebbe la tua vita? Se lo chiede Luigi Nacci in un post del suo blog, pubblicato dopo le polemiche in seguito all’iniziativa, elaborata dal Comune, Prefettura, Caritas e Ics, A Trieste l’ospitalità è di casa.

Immagina di essere di messo di fronte a una scelta: entri a far parte di un gruppo di terroristi, o vieni ucciso. Immagina di essere contro la violenza, di non voler aderire a una causa che ritieni sbagliata, e allo stesso tempo, come è comprensibile che sia, di non voler morire. Immagina di essere messo di fronte a questa scelta da giovane. E di dover decidere da solo, perché i tuoi genitori sono morti. Immagina di dover decidere in fretta. Il tempo di tirare giù la saracinesca del negozio in cui lavori per poche monete al mese, il tempo di una sirena che annuncia un bombardamento, o di una soffiata che annuncia un imminente scontro a fuoco. Scegli di scappare.

Nel tempo di una telefonata devi racimolare qualche straccio e correre al punto in cui avevi sotterrato i tuoi pochi risparmi. Li avevi sepolti lì perché dove vivi tu non ci sono più banche, o forse non ci sono mai state. Prendi gli stracci, i risparmi, la paura, e ti affretti da quel tizio che sai ti troverà un passaggio. Non è un tizio raccomandabile, anzi. Ma è l’unico che ti garantirà un passaggio fino alla frontiera. Vai da lui, gli dai l’equivalente di un anno di stipendio, e monti su un camion della spazzatura. Ti rannicchi, si rannicchia sopra di te un altro e sopra di lui un altro ancora. Siete centinaia. Per qualche giorno viaggiate così, stipati come bestie al macello.

Ti danno una bottiglietta d’acqua e un dolce, ti dovranno durare tre giorni. Smontate, fate la frontiera a piedi. Sei in un altro Paese. Quale sia non importa, tanto non ti ci potrai fermare. Entri in un altro camion, assieme ad altre centinaia di persone. Così per giorni, fino al mare. Scendi, vacilli, hai la febbre, sali su una barca, non vedi il mare, non sai come sia fatto il mare, rivedi la luce a poche decine di metri dalla spiaggia, ti obbligano con la forza a buttarti in acqua, non sai nuotare ma ormai non fa differenza. In qualche modo, aiutato dalla disperazione tua e altrui, raggiungi la riva. Da lì, ti è stato detto, dovrai arrampicarti fino alla cima di quel monte che ti sta davanti. Lì passare la notte. All’alba del giorno dopo potrai scendere nel deserto, dove un altro tizio poco raccomandabile ti raccoglierà. Il deserto.

Un tappo di acqua a testa, e se ne vuoi di più calci di fucile nelle clavicole. Il cibo si dà a chi è più debole. Tu sei forte, ancora, e ne hai di meno. La traversata nel deserto dura un tempo non calcolabile. Tu non sai leggere e scrivere, non hai calendari da sfogliare, probabilmente non li sai sfogliare, non sei bravo a fare di conto, noti solo l’avvicendarsi della canicola e del gelo. Un altro mare in vista, altri soldi da estrarre dalle calze, un altro tizio poco raccomandabile, un’altra barca, stavolta molto grande, un container buio in cui ficcarti assieme alle altre carni disperate. Settimane sul mare senza vedere il mare. Quando aprono e entra la luce, ti rendi conto di essere ancora vivo. Scendi, sei arrivato, ti dicono. È un Paese dell’Africa, diviso tra bande sanguinarie, gente che cammina per la strada con coltelli lunghi quanto un braccio, questo non te lo scorderai. Chi l’ha mai visto un coltello così?

Arrivi a un villaggio. Nessuno ti chiede i documenti. Nessuna legge. Ti arrangi come puoi, dormendo di qua e di là. Trovi lavoro in un’officina, ti spezzi la schiena per tre mesi, e alla fine del terzo mese ti viene addirittura l’arroganza di chiedere di essere pagato. Non ti pagano. Te ne vai, poco dopo rimani coinvolto, per caso, in uno dei soliti scontri tra esercito più o meno regolare e banda sanguinaria. Fermi, arresti, morti e così via. Tu sei ancora vivo. Ti mettono in galera. Anche quello è un tempo non misurabile. Alla fine ne esci vivo, e decidi di tentare la sorte. Spendere tutto quello che ti è rimasto per farti sbattere su un barcone. Oltre il mare, dicono tutti, c’è l’Italia. Non sai niente dell’Italia. Né dell’Europa. Ma sai che lì c’è una vita tranquilla. La meta non è l’Italia, né l’Europa, ma la vita tranquilla. Ti imbarchi.

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