NdR. Parlo in qualità di fruitrice di piccoli e grandi eventi a Trieste. In questi anni stanno cambiando le dinamiche della movida, soprattutto per quanto riguarda l’offerta musicale per i giovani. Penso ad esempio ai nuovi locali pubblici aperti nella zona del viale o ad una Città vecchia che continua a rivivere con nuovi poli di aggregazione.
Allo stesso tempo però ho come l’impressione che le realtà consolidate che si occupano di animare la vita notturna della città, non bastino più e che i giovani (o chi si sente ancora giovane) chiedano qualcosa di più. Una discoteca? Una sala da 100 o 150 posti dove socializzare e ascoltare la musica che ci piace? Qualche grande evento in più all’anno?
Non lo so.
O meglio non ho l’autorevolezza per fare una riflessione articolata sul tema. Ho chiesto perciò ad Andrea Rodriguez, da anni animatore delle serate triestine di dirmi la sua. Ecco cosa mi ha inviato.
Carissima Sara, concordo che può essere una cosa buona riflettere e far riflettere i giovani e anche quelli diciamo “giovani dentro” su cosa è cambiato a livello musica, vita notturna, intrattenimento, cultura a Trieste in questi anni e ti ringrazio per aver pensato a me per una riflessione di questo tipo. Lo farò seguendo i tuoi spunti.
Mi chiedi se i grandi concerti a Trieste sono abbastanza e se servono a qualcosa.
Servono senz’altro a far venire a Trieste molta gente da fuori città quindi sì, secondo me hanno un senso.
Più economico e turistico che culturale secondo me.
Intendiamoci: Bruce Springsteen per me ha un grande valore culturale come artista, ma la cultura alla quale mi riferisco in questo ambito è una cultura della partecipazione e un evento simile, per ovvie ragioni, non la prevede. Perlomeno non la prevede partendo dal basso, che poi è la parte che mi interessa di più. Questi eventi riguardano le Istituzioni e dei promoter importanti come Azalea ad esempio, non associazioni giovanili: è logico.
E sono poi, per l’appunto, Grandi Eventi. Occasioni speciali. E tali devono restare.
E’ sensato secondo me che siano un paio all’anno, non lo sarebbe se fossero un paio al mese.
Mancando a Trieste una struttura che possa ospitare in maniera adeguata concerti da 1000/1500 persone, concerti per i quali il Palazzetto è troppo grande, ecco che ci troviamo subito nella fascia di concerti medio-piccoli, concerti da club, eventi che possono e dovrebbero essere caratterizzati da quello spirito partecipativo di cui parlavo prima.
A questo livello, secondo me già da anni a Trieste l’offerta ha superato la domanda e la sgradevole sensazione è quella di offrire ottimi pranzi a persone che hanno già lo stomaco pieno o non hanno minimamente fame.
Fino a 7 o 8 anni fa c’era più interesse, ma c’era perché la musica era fruita in modo più attento anche a casa, in privato.
Oggi, prevalentemente, gli ascolti sono distratti e non c’è stato alcun passaggio di testimone a livello di passione per organizzare o semplicemente per fruire.
Molta gente che ai concerti nei club ci andava, oggi di sera sta a casa con i figli o fa altro e a chi ha 20, 25 anni interessa far festa, non vedere una band (tolti rari casi, è ovvio).
Mi piacerebbe arrivare a una dimensione quindi ancora più raccolta: al concerto per 50 persone o addirittura per 20, in posti piccolissimi, intimi, micro-club o soggiorno di casa, perché no?
Restituire al live la sua importanza: ci vai perché vuoi proprio quello, non ci vai perché ci sarà gente.
Eventi curatissimi per un pubblico ristretto che paga volentieri perché sa cosa vuole, e vuole qualità: mi piacerebbe questo.
Tornare alla passione, quella vera. All’emozione dell’evento unico.
Ci sono però ostacoli enormi alla sostenibilità economica di tutto ciò: in primis una burocrazia scandalosa quanto inestricabile.
E’ tutta una zona grigia di mezzi permessi e mezzi divieti e i costi di questa burocrazia rendono praticamente inaffrontabile il tutto.
Tradotto: a livello di costi, ci vai sicuramente e matematicamente sotto se vuoi essere in regola (ammesso che riesci a capire cosa voglia dire, e non è scontato) e mantenere un prezzo del biglietto normale.
E quando parliamo di prezzo del biglietto a Trieste tocchiamo un tasto assai dolente: il pubblico si è fatto l’idea che pagare per un concerto che non sia i Pearl Jam sia una cosa strana, anomala.
Molti preferirebbero spendere in consumazioni al bar, il biglietto lo vedono come una “tassa” inutile e qualche drink in meno.
E’ un retaggio terribile di 20 anni fa, quando bastava scrivere “Musica dal Vivo” e facevi il pieno, quindi consumazione obbligatoria 5.000 lire e avevi risolto: oggi è la ricetta perfetta per il disastro.
Gli artisti con un certo nome, non solo musicisti ma anche dj, costano parecchio: non è possibile e non è neppure secondo me “eticamente” giusto regalarli. E’ come sminuirne il valore.
Parlando di dj, e quindi di clubbing e quindi di quello che vogliono oggi i giovani triestini che escono di venerdì e sabato e fanno mattina, beh c’è da farsi una domanda: perché non c’è un vero club a Trieste, una vera discoteca?
In un’avventura imprenditoriale di questo tipo entrerei subito: mi stimola molto.
“Vera discoteca” uguale: “Locale pubblico con impianto audio/luci e capienza tali da poter ospitare i nomi House o Techno a livello mondiale che invece passano in Slovenia”.
Perché a Trieste non c’è?
Per me perché sarebbe insensato investire capitali quando sussiste una situazione non regolamentata adeguatamente.
Mi spiego subito.
Se sei un bar, musica a volume di sottofondo e chiusura imposta ad un’ora precisa.
Sei un bar quindi, dovresti fare il bar.
A una certa ora, cominciano a lavorare invece i locali notturni.
Se sei un club, musica a un altro volume, che non è di sottofondo ma serve a far ballare.
Altro lavoro, altri orari, altri costi.
Al bar vai bere e a chiacchierare con gli amici, non a ballare, poi il bar chiude e vai in un club, in un locale notturno, oppure dove vuoi.
Ma se i bar diventano mini-club sui generis a costi da bar, nessuno ha interesse a creare un club a costi da club perché l’operazione non è economicamente vantaggiosa, anzi è una catastrofe annunciata.
Un tipo di divertimento e socializzazione in centro, in mezzo alle case, con un orario.
Arrivato quell’orario il divertimento si sposta in zone più periferiche, isolate, dove non disturba e va avanti in libertà.
In tutto questo ci vedo bene anche l’attività di realtà come i centri sociali, ma dovrebbe puramente sociale e aggregativa e basta.
Senza costi e balzelli vari, ma anche senza guadagni: qualcosa di esterno a logiche lavorative e commerciali, un po’ come fare una festa di compleanno a casa propria.
Invece purtroppo è tutta quanta una zona grigia tra il profit, il no-profit, l’associazionismo, l’impresa e l’arrangiarsi.
In queste condizioni o si va a fondo o si galleggia: non ci può essere evoluzione perché è tutto appeso a un filo.
Il continuare a barcamenarsi in questa situazione per me era diventato frustrante e insoddisfacente.
Alla fine il vicolo è cieco: può essere anche lungo questo vicolo ma non ha sbocchi, finchè va, va.
Al momento non mi interessa più.
Certo, ci si vive o meglio ci si vivacchia, se non ci sono imprevisti ma è routine, è lavoro da ragionieri (senza offesa per i ragionieri, beninteso) con tutte le sfighe dela lavoro da ragionieri ma senza i vantaggi e le sicurezze.
Per me quindi, o business vero e proprio come dicevo prima a proposito di un VERO club oppure l’opposto.
E l’opposto sarebbe, romanticamente, tornare agli inizi.
Al “culto”, alla ricercatezza, al far scoprire al pubblico le tante gemme nascoste e a far capire il valore di queste gemme.
Senza, in questo caso alcuna ambizione economica, basta il pareggio.
Un lavoro sulla qualità e sulla passione.
Per pochi.
Ma buonissimi.
Articolo molto interessante che chiarisce le problematiche anche a chi non è esperto del settore.
Mi conferma un paio di impressioni:
1. Il settore soffre in modo più accentuato di altri i noti grandi mali dell’economia italiana: eccesso di burucrazia ed eccesso di tassazione, per cui se si fanno le cose in regole non è redditizio e può essere redditizio solo se non si fanno le cose in regola. Non so se l’amministrazione comunale può fare qualcosa per ridurre l’impatto locale di questi mali, ma se può sembra non occuparsene.
2. Gli interventi dell’amministrazione comunale sono finalizzati a ricercare un compromesso tra i vari comitati “Porfirio style” e gli interessi dei gestori dei locali, mentre è completamente inesistente una politica dell’amministrazione comunale rivolta al tempo libero dei giovani (e non solo) anche se siamo una città universitaria e si sa che nella scelta dell’università da parte dei fuori sede – a Trieste i fuori sede sono i 2/3 degli studenti – pesa anche la qualità del tempo libero.
L’Irlanda,è la magica terra dove la musica è arte,cultura,…..la puoi ascoltare per la strada o semplicemente bevendo qualcosa in un pub,….non servono i grandi spazi tipo palasport,stadi,…..
disemose ciaro, el problema dela musica dal vivo xe quel dela Siae, una società privata che ga el monopolio della riscossion dei diritti d’autore, applica tariffe improponibili, applica i propri regolamenti in maniera arbitraria, appesantissi in maniera spaventosa i costi de qualsiasi manifestazion artistica, riscuoti “diritti d’autore” anche su opere che no xe de sua competenza, passa ai autori non affermai una miseria e inveze arricchisi solo quei che xe za dentro el show business, distruggendo la possibilità de far manifestazioni live in Italia.
Al proposito consiglio de veder la puntata de Report su come funziona la Siae e su come che vien veramente ripartidi i soldi che i locai e le manifestazioni artistiche ghe passa a questi sedicenti garanti dei diritti d’autore: https://www.youtube.com/watch?v=EJTCiXB79co