27 Dicembre 2014

Un cìf a Trieste

el sunto Trieste è unica. Unica come quel caffè che solo in questa città potrai chiamare nero, capo o capo in b

cittàvecchiaSei ed altro non sei che un vagabondo metropolitano nato casualmente in questo mondo, per la precisione in quella Tropea che per alcuni secoli è stata considerata come la perla del Tirreno. Poi, arriva il momento in cui devi preparare le valigie. Vuoi studiare, vuoi formarti in una città “aperta”, vuoi studiare al nord, quel nord che hai conosciuto solo in televisione o nei libri.

Un lungo viaggio in macchina, silenzi, pensieri, passa la notte, ed arriva il giorno, il tuo giorno e con esso Trieste. Circa 1350 km di distanza. I tuoi amici, prima della partenza ti avevano detto: “a Trieste ci sono le mule”, nella tua ingenuità, avevi pensato alle mule nel senso di asine, quelle che qualche anno dopo il tuo arrivo nella città di confine incontrerai per davvero nella piazza della Borsa nel corso di una manifestazione.

Di Trieste, oltre alle mule dei tuoi amici, conoscevi la bora. O meglio avevi sentito parlare della bora. Un vento fortissimo che ti faceva cascare per terra. Bora e mule e nient’altro. Ma Trieste si è rivelata essere una dolce e malinconica ed allegra favola da vivere. Sceso dal treno, dopo esserti perso nello splendore del golfo che conduce sino a Grado, e sfiorato le grezze pareti carsiche, vedrai la statua della principessa Sissi, palazzi travolgenti ed imponenti e poi il mare. Una città assediata dal mare. Il mare, il tuo mare, che di tanto in tanto inonda le rive triestine.

Ti sentirai subito a casa. Per la prima volta, scorrerà sulla tua pelle e scivolerà dentro la tua anima, la voce, una piccola voce, una sublime voce, che non si perderà in alcuna valle dell’eco, e semplicemente ti dirà: “sei a casa”. Sarai a casa, pur non conoscendo nulla di Trieste, pur non avendo visto nulla. Ma ti attenderà l’attimo del fato, quell’attimo che ti avrebbe detto, per l’ultima volta: “sei a casa”. Andrai verso il centro ove incontrerai una piazza grande, la più grande che tu abbia mai visto, ed innanzi ad essa un molo, che sarà il molo dei triestini e di Trieste. Un molo sospeso sull’Adriatico. Un molo che ti permetterà di essere nel bel mezzo tra il cielo ed il mare.

molo audace

La nebbia e la piazza bagnata da qualche goccia di pioggia renderà quella distesa enorme di pietra come uno specchio, e tra te e te penserai: “si chiamerà Piazza degli specchi”.Invece no. E’ piazza dell’Unità d’Italia. Ma come accade a Trieste, cosa che imparerai nel corso degli anni, spesso ogni via, od ogni luogo, ha un doppio nome. Piazza dell’Unità d’Italia o piazza Grande, Molo Audace o molo san Carlo, anche la canzone di Trieste Viva là e pò bon la si può scrivere in Viva l’A e po bon. Ciò dipende a quale periodo storico sentirai vivere il legame tra il tuo essere uomo o donna e la Mitteleuropa che scorre per le vie di Trieste. Impero austro ungarico od Italia. A te la scelta. Trieste ti offrirà questa scelta. Anche se in passato scrivere “Cari stornei, quando sto istà Tornè a svolar de qua e de là, El nostro nome portè lontan, Stornì la gente ma in italian!”,  comportò ad Oddo Broghiera ( Edoardo Borghi) un ammonimento da parte del Commisariato austriaco; oppure il mitico Marameo, giornale politico satirico “pupazzettato” che nel 1933 per ordine dell’Ufficio stampa del Capo del governo, vide essere diffidato il proprio direttore, perché si incoraggiava la letteratura dialettale e ciò contrastava con il volere del Regime Fascista che riteneva i dialetti italiani tutti “un vieto residuo dei tempi di divisione e servitù”.Venne poi soppresso nel 1942.

caffè degli specchi

Storia, quanta storia. Una storia che è talmente viva che il giornale di Trieste, il Piccolo, ha uno spazio, chiamato segnalazioni, che è l’unico in Italia a dare così tanta voce alla storia ed ai ricordi dei cittadini. Mai leggerai tante lettere e segnalazioni ed interventi sulla storia così come accade quotidianamente nel giornale di Trieste. I motivi sono vari, diversi, d’altronde Trieste è una città che ha vissuto speranze e sofferenze di mille colori, colori che spesso si son persi nei meandri della perfidia umana. E la storia è viva. E la storia è la vita di Trieste. Ad un certo punto comprenderai, che se vorrai vivere a Trieste dovrai studiare, studiare la storia, quella storia del confine orientale che a scuola hai conosciuto in modo sbrigativo, ma che nella moderna Tergeste è ancora viva eccome. Trieste è la città con il suo a, b,c chiaro preciso e conciso. A come città delle assicurazioni, b come città della mitica Barcolana e c come città del caffè, quel caffè che, dopo esserti perso tra gli specchi infiniti e piccoli ed indeterminati di piazza dell’Unità, non potrai che sorseggiare.

Perché Trieste, più di Napoli, è la vera capitale del caffè.  Ordinerai un caffè. Il tuo primo caffè a Trieste. La barista ti dirà: “Nero?”  Tu non capirai, e risponderai con un canonico: “Un caffè”, cioè intendendo un caffè normale. E lei sorridendo dirà: “Talian”… “No, cìf” potrà dirti un cliente tipico triestino.  Già, talian, già cìf, ma ci vorranno giorni perché tu possa capire come ordinare un caffè a Trieste e settimane per capire il perché del talian o del cìf.  Perché a Trieste sei triestino, ed essere triestino vuol significare essere un concentrato di culture, d’altronde se è la città di Svevo, Joyce e Saba e Cergoly un motivo vi sarà o no? Non avrai mai la sensazione di essere in Italia, eppure è quasi un secolo che Trieste appartiene all’Italia. Avrai la sensazione di essere in un luogo che ti ricorderà la Vienna imperiale, la Roma epocale, la Budapest magistrale e danubiana di Magris.

caffè a triesteMa sarai a Trieste. La città dove è viva l’allegria, la città del carnevale, la città che in passato ha anche conosciuto la corrida, infatti, esiste via del Toro, perché lì vi era una stalla che ospitava gli animali per la corrida che si svolgeva nel giovedì grasso. Una città che ha vissuto mille metamorfosi senza mai perdere il senso della critica. L’esempio degli esempi sono Gigugin e Barbara, che sembrano essere le versioni al femminile degli Atlanti di Parigi del 48 bis rue de Rivoli, due statue che sormontavano l’atrio del vecchio Eden di Trieste, l’attuale cinema Ambasciatori, e che turbarono gli animi dei triestini tra “chi disi ben, chi disi mal”, per lungo tempo e le critiche trovavano e trovano ancora oggi sempre fondamento in quel cuore, quel “cor che no cambia mai” e che non riesce ad adattarsi alle novità a volte stravolgenti in una società più globale di quanto si possa immaginare.

cavana

E tu, in tutto ciò, capirai di essere un regnicolo, o forse un cabibo, termine diffuso in particolar modo nella vicina bisiacaria, oppure un cìf semplicemente confrontandoti con alcuni triestini, sempre solari, anche perché amanti del sole di Barcola, e pronti alla battuta facile. Cìf, ovvero cifariello. Riporta all’omicidio d’onore commesso dal cantante Cifariello a Napoli. Delitto d’onore. Roba che ben avrai conosciuto nella tua Calabria e nel tuo sud, ma a quanto pare sconosciuta in questa fetta di terra per lunghi decenni.

Cifariello , a quanto dicono alcuni triestini nei bar, perché è lì che imparerai molto di questa città, venne anche usato dalla polizia in un rapporto prefettizio, specialmente per evidenziare come alcuni costumi dei meridionali, che giunsero in migliaia a Trieste durante quello che venne considerato come il periodo dell’italianizzazione della città, fossero poco ben accetti dalla gente locale. Ed una volta appresa la storia dell’origine del termine cìf, ti confronterai con i triestini sull’origine di quella parola e per te sarà una immensa soddisfazione spiegar loro quel tutto che hai appreso perché in quel momento ti sentirai parte integrante della vita locale.

Ma cìf oggi è un termine poco usato, come ti dirà il librario della più bella libreria di Trieste. La libreria di Saba, anche se a dire il vero si chiama la libreria antiquaria. Il poeta Umberto Saba l’acquistò nel 1919 e diventò un punto di riferimento per molti intellettuali triestini come Svevo, Stuparich e l’amico Giotti di Umberto e autori italiani del calibro di Carlo Levi. Osserverai una foto, una sua gigantografia in bianco e nero e penserai ad alta voce: “Quella foto è uguale alla statua di Umberto Saba, alla quale per ben due volte hanno rubato la pipa ed una volta hanno staccato il bastone”. Ed ecco che in quel preciso momento aprirà la porta il libraio, che ha conosciuto Umberto, e ti dirà, in tono scherzoso, che certe cose non si possono tollerare: “La statua è stata realizzata proprio ispirandosi a quella foto, la cui copia è quella presente nella libreria, e si pensa che sia stata scattata a Roma”.  E quell’occasione ti offrirà la possibilità di conoscere alcuni particolari importanti e significativi sulla vita di Saba ed il mondo che correva all’interno di quelle mura di via San Nicolò 30. Infatti, parlando con il figlio di Carlo Cerne, Mario, unico erede e che mantiene in vita quel gioiellino, avrai il modo di rivivere alcuni particolari emozionati delle cinque poesie sul calcio, dopo aver chiacchierato sul calcio di una volta, su cosa significasse essere ultras una volta, conoscerai la vera origine di quelle poesie. Già, le Cinque poesie sul calcio scritte da Umberto Saba nascono in modo singolare, ma in un modo che non deve sorprendere, poiché sarà quello tipico del poeta di Trieste. Si è detto e scritto che è andato allo stadio casualmente, oppure perché ha ricevuto in regalo un biglietto o per accompagnare la figlia. In realtà questi tre elementi non sono esclusivi ma corrono e vivono insieme. Le cinque poesie sul calcio, che si aprono con il saluto ai rosso alabardati amati dai triestini e che si concludono con la gioia e la capriola del portiere della squadra che ha segnato, una gioia che si contrappone al dramma ed alla tristezza del portiere avversario, nascono all’interno della libreria di Umberto. Carletto, ovvero Carlo Cerne, era un grande appassionato di calcio, un gran tifoso della triestina. Il suo umore variava e mutava spesso in base ai risultati della triestina. Ora felice e gioioso ora triste ed in solitudine con i suoi pensieri sul perché della sconfitta.

Umberto Saba è stato un grande, forse il più grande, studioso dell’animo triestino. Tramite i suoi versi è riuscito ad immortalare passioni, dolori, sentimenti, amori, che ben hanno espresso la realtà e la sensibilità di una intera comunità. Percependo quello stato umorale a dir poco variabile, quale quello del suo socio di libreria, Carletto, decise, Umberto, di andare direttamente nel luogo fonte di tante gocce di sentimenti, allo stadio. Ciò per capire il calcio, per capire il perché ed il come una semplice partita di calcio potesse condizionare in modo così determinate lo stato umorale del suo amico Carletto. Questa storia la potrai conoscere alla libreria di Saba, un luogo che è ancora oggi fonte di immense sorprese e che per la sua atmosfera ricorda vivamente la famosa libreria Shakespeare and Company del V arrondissement di Parigi, sulla Rive Gauche a cui non ha nulla da invidiare. Anche perché l’Antiquaria di Saba, a livello internazionale, viene considerata come una delle dieci librerie più importanti dell’intero pianeta.

Ma a Trieste tutto ciò conta poco, perché, pur avendo mille ed infinite potenzialità, vive il suo dilemma di Amleto. No, non è “essere o non essere”, ma se pol o no se pol? A volte prevale il no se pol, ma confiderai sempre nell’affermazione del se vol, chissà magari un giorno sarà il se vol a sbilanciare la bilancia del dilemma a favore del se pol. Quel se pol che ha permesso a Trieste di diventare, dopo Vienna, la città più importante dell’Impero Austro Ungarico, quel se pol che ha consentito a Trieste di esprimere il meglio di se stessa attraverso la cultura, la letteratura ed anche l’arte che a volte consente di osare l’oltre. Quell’oltre che potrai incontrare con il canonico giro in barca, una canna da pesca, e lontano dal rabbioso mondo maniacale, silenzio e mare, silenzio e sole, tu ed il sole.

Alle spalle la città e schizzi di mare bagnano le strade amare e d’amare di Barcola che mai affonderà, mentre dall’alto del ciglione carsico scivola via il magma di cemento e vetri, dominato da quello che viene chiamato come il “formagin” di Trieste, ma altro non sarà che il santuario di Montegrisa, da molti considerato come il faro della luce dell’Istria. Già perché a Trieste vi è un detto che vuole Trieste come il mondo e l’Istria come il paradiso. Un magma nato dall’eruzione dell’edificazione di massa, sollevata dall’artificio di emozioni e con persone mascherate dalla voglia di apparire e umori rumori e ilarità questa è la società.  Un tuffo nel golfo, gabbiani e cormorani volano lontani e guarderai Miramare e penserai ancora a quell’Impero rimpianto e perduto, come il porto vecchio, immensa area dai binari dormienti in attesa di avere una risposta sul perché del perché oggi vige quel vuoto.

Quanti misteri e sensi di inquietudine corrono per i canti di Trieste che viene spesso schiaffeggiata da una bora così lunga, così intensa, che sconvolge buona parte della cittadinanza. Vento catabatico, anche catartico, che sfiorando la terra di Croazia, la Segna e Aidussina, tra mare e continente giunge per le vie di Trieste. E’ una sensazione incredibile quella di andar contro vento. Sempre contro. Deformazione di vita. Correrai sul Molo Audace per sfidare la Bora. Quando arriverai a gran fatica, ma con enorme soddisfazione sulla punta del Molo, vorresti urlare “vittoria, vittoria” guardando quel faro alto e bianco dominante questo piccolo angolo di Adriatico.

Ma ultimamente la bora ha vita dura, perché un altro vento si contende il dominio su Trieste. Il libeccio o Garbin.  Sempre più invadente e burbero.  Ma tal vento di Ponente o Mezzogiorno mai potrà partorire esclamazioni dai suoni poetici, come “Un refolo de bora me ga voltà l’ombrela”, perché la bora è parte essenziale di Trieste e Trieste senza la bora semplicemente non è.  Vi sono delle vie a Trieste dove potrai essere schiaffeggiato dalla bora od ascoltare il suo ululato. Come la classica via della Bora, in città vecchia, via del Pratello nel rione di Roiano o per la via san Vito di Trieste.  Rione, sì, rione. Guai ad usar il termine quartiere a Trieste, perché potresti sentirti dire che sei “duro come un scalin”. Vi sono delle certezze che non devono essere sconnesse dalla vita triestina, ed una di queste è il rione.

Tanti rioni che circondano la città, e la città è il vecchio cuore di Trieste, che pulsa in quella Cavana che tanti cambiamenti ha subito nel corso della storia, da bordello al cuore vitale di Trieste dai mille e più colori, questa volta colori di vita e bellezza. D’altronde a Trieste si dice “’ndemo in città”, e per città si intende, tacitamente, quel triangolo metafisico che ha come punti di riferimento le statue di Saba, Svevo e Joyce. E quanta bellezza regna indomita su Trieste. Quel senso di bellezza che dal castello San Giusto ti conduce al tram di Opicina. Il tram blu di Trieste che nei tempi fasti attraversava la piazza Grande, percorrendo quella strada che congiungeva e congiunge il rude Carso al seno di Trieste, lì ove sorge il faro dell’impero caduto, l’obelisco di Opicina, tra pini e carpini neri, tigli e pini d’Aleppo sino a giungere a pochi passi dal confine.

Sì, perché a Trieste, in pochi minuti, potrai vivere l’ebrezza di andare oltre il confine o rimanere dentro il confine. Ora Italia, ora Slovenia, ora Slovenia ora Italia, ed in un niente volerai via verso quell’est che tanto vive e pulsa tra le strette vie cittadine. A tal proposito, in città, parlando con i triestini, quando si affronteranno i ricordi dei tempi del confine, ti capiterà spesso di ascoltare storie ed anche leggende, che hanno scalfito la memoria di intere generazioni. Una di queste è che quando, per errore o meno, oltrepassavi la linea di confine, senza fare la solita trafila dei controlli, ecco i militari della temuta Jugoslavia fermarti e come premio ottenevano dieci giorni di ferie.

Sarà vero? Non sarà vero? Poco importa, quello che è stato è stato e nessuna verità storica potrà mai mutare il sentimento come tramandato all’interno delle proprie mura domestiche. Ricordi stretti, come strette sono le vie dell’antica Tergeste e dove vivrai esperienze a dir poco uniche ma ripetibili solo all’interno degli spazi ben delineati di questa terra contesa.

Non sarà difficile incontrare un gabbiano sul primo ciglione carsico, od osservare il gattaro rionale di Trieste dare da mangiare sia ai gatti, soggetti immancabili per le strade locali, che a qualche gabbiano. Una ciotola per il gatto, una per il gabbiano. Cioè a Trieste oltre ai gattari ci sono anche i gabbianari.

Trieste è unica. Unica come quel caffè che solo in questa città potrai chiamare nero, capo o capo in b, unica come quel canto in tono allegro e molto vivace, in pieno stile verdiano, “Che la vadi ben, che la vadi mal Sempre alegri e mai passion, Viva la’ e po bon..”.  Il moto triestin che è arrivato sino in Costa d’Avorio, il moto triestin che fermerà la tua corsa nel deserto perché qui troverai l’oasi della certezza, e questa certezza è Trieste

note: testo che ha partecipato al concorso d’inchiesta dedicato a giovani autori emergenti promosso dal Circolo della Stampa di Trieste per celebrare i 50 anni della sua attività anno 2014

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