15 Novembre 2014

Battiato e il Joe Patti’s Experimental Group: la musica colta spiegata alle masse

“Vi ringrazio per il vostro entusiasmo ma penso che finirà presto, almeno per la prima parte del concerto”. La mette subito giù dura Battiato, introducendo il suo concerto al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, un avvio -come dire- per niente ruffiano per un concerto che, au contraire, ha titillato le papille musicali di tutti noi devoti al Maestro.

Franco Battiato, UdineLa tournée è incentrata sul suo ultimo lavoro, quel Joe Patti’s Experimental Group che a un mese dall’uscita ha già fatto accapigliare pubblico e critica: se c’è una cosa di cui possiamo star certi è che Battiato non cerca la strada più facile, non cerca di riscaldare il solito minestrone, mettere in cantiere un disco di soli synth (o quasi) alla soglia dei settant’anni, quando i suoi colleghi al massimo della sperimentazione fanno uscire un Greatest Hits sotto Natale (che dopo la befana è già nei cestoni degli autogrill a 4.99 euro), è segno di una freschezza mentale, di una ricerca della sfida che gli fa sicuramente onore.

Il concerto parte con un arpeggio al piano nel quale i vuoti sono portatori di senso molto più delle note, secondo la lezione cara ad Erik Satie; fin qui tutto bene. Gli svarioni iniziano quando Battiato ruota su se stesso e si mette al synth -un vecchio analogico che non sono riuscito ad identificare, soltanto somigliante al glorioso VCS3 di Fetus e Pollution – ed immediatamente eccoci proiettati a Monaco nel ’72 ad una performance dei Popol Vuh. Piccolo inciso, quando cito i Popol Vuh il pensiero va a quell’epoca di sperimentazioni, di avanguardie elettroniche della Kosmische musik; ecco, Fetus, l’album di esordio di Battiato, un lavoro totalmente incentrato sull’uso del sintetizzatore,  è coevo dei primi lavori dei Popol Vuh e dei Tangerine Dream, tanto se vi dovessero sorgere pruriti di esterofilia o complessi di inferiorità.

Battiato snocciola la scaletta fra deriveFranco Battiato, Udine contrappuntistiche e accenni di musica sacra (“Le voci si faranno presenze” ha un andamento solenne, ieratico; Battiato guarda molto ad Oriente ma la lezione della musica sacra occidentale l’ha imparata bene); ogni tanto appaiono frammenti di testo che risvegliano l’attenzione del pubblico non certo abituato a spettacoli così ostici, singoli versi che citano opere passate del Maestro, appunti sparsi di un diario musicale lungo quarant’anni..

Il primo pezzo che fa parte della produzione storica è “L’ombra della luce ” ma è solo con “Il secondo imbrunire” che il Maestro approccia il lato più pop -nel senso buono- della sua produzione; a tratti alterna l’italiano al tedesco al quale la sua inappuntabile pronuncia (scherzavo) dona un’ inattesa musicalità. Da li in poi è tutto in discesa, i pezzi in scaletta son sempre più conosciuti e l’entusiasmo del pubblico, nella prima parte inchiavardato alle poltroncine, inizia a farsi percepibile; una nota particolare per una “Oceano di silenzio” alla quale la tessitura di archi (anche se è sempre il synth) dona un sapore quasi mahleriano. Battiato, nel disannunciare “Prospettiva Nevskij” cita Labranca, che su questo pezzo aveva incentrato un memorabile, velenosissimo pamphlet: chapeau, ci vuole un bel po’ d’autostima a presentarsi attraverso i propri critici.

Un finale pirotecnico con “Voglio vederti danzare” e il pubblico che si ammassa timido sotto il palco con il Maestro si congeda accennando un – e ribadisco, uno solo- passo di danza.

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2 commenti a Battiato e il Joe Patti’s Experimental Group: la musica colta spiegata alle masse

  1. Fabio ha detto:

    “ogni tanto appaiono frammenti di testo che risvegliano l’attenzione del pubblico non certo abituato a spettacoli così ostici”
    Meno male che c’era chi poteva dirsi ontologicamente pronto ad un professionato
    resoconto …(scherzavo anch’io).

  2. Archibald ha detto:

    ” Il silenzio del rumore delle valvole a pressione…..”

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