Intervistiamo Rossella Strani, che conduce da più di 10 anni dei laboratori per donne nei quali, lavorando su diversi temi, si impara la pratica dell’autostima. Giovedì 2 ottobre, a Trieste, ci sarà una presentazione per le interessate; nel frattempo, potete incuriosirvi o approfondire quel che ne sapete in merito con l’intervista che Rossella ci ha gentilmente concesso.
Qual è il percorso che ti ha portato a immaginare questi corsi di autostima?
L’interesse per l’autostima mi è nato facendo l’operatrice del centroantiviolenza della mia città. Affiancando le donne che vogliono uscire da situazioni di violenza ho sentito la necessità di frequentare una scuola di sociopsicologia di genere (www.autostimadonne.it).
Condivido con Paola Leonardi (la sociologa e psicoterapeuta che ha ideato tale scuola alla fine degli anni ’90) la convinzione che il disagio femminile possa essere interpretato come una sofferenza culturale legata all’appartenenza di genere e che in quest’ottica vada affrontato, con metodi dichiaratamente dalla parte delle donne.
Come definiresti in maniera semplice l’autostima, e che valore le attribuisci?
L’autostima è la capacità di attribuirsi un valore autonomo, che risente in modo relativo delle opinioni e delle aspettative esterne. Essa è il risultato di un consapevole lavoro interno che punta a realizzare le proprie peculiarità. È necessaria come il bere e il mangiare, perché serve per affrontare qualsiasi prova, tuttavia noi non nasciamo con questa capacità, dobbiamo apprenderla. I contesti in cui cresciamo e in cui viviamo sono cruciali per apprenderla o meno in maniera autonoma e spontanea.
Che cosa blocca, e come si può migliorare, la capacità di valutare correttamente se stessi?
Il mio punto di riferimento è un’autovalutazione realistica. Questo significa elaborare una pratica di confronto esterno e interno che ci dia un equilibrio emotivo soddisfacente, adatto a scegliere in maniera responsabile quello che possiamo fare e a interpretare ogni delusione non come un fallimento personale ma come un insegnamento. Credo che non sia possibile un’autovalutazione realistica in condizioni di subalternità psicologica e culturale.
Ma non pensi che così facendo si possa nutrire invece il narcisismo delle partecipanti? Non c’è un rischio di dare false sicurezze all’ego, rinforzando l’autostima?
Il narcisismo cela spesso una scarsa autostima perché il narciso o la narcisa si rispecchiano nell’altro per trovare conferma, non per crescere. Costruire un sistema autovalutativo di cui si è consapevoli, applicando l’autoempatia e l’empatia, consente invece di lavorare costantemente sulla distanza tra l’immagine reale e l’immagine ideale che abbiamo di noi. Le partecipanti ai seminari si esercitano alla sospensione del giudizio, all’autoempatia, all’empatia e alla comunicazione non violenta, proprio per costruire un’ autostima duttile, in grado di esprimere le proprie opinioni senza pretendere una condivisione o una contemporaneità.
Anche se il percorso che ti ha portato a formularli ha una matrice tutta femminile, non pensi che i tuoi corsi di autostima potrebbero essere utili anche agli uomini? E se sì, a che condizioni, e che cosa pensi che dovresti modificare per farli funzionare?
Penso che il metodo che ho elaborato possa comprendere uomini che collaborino alla riduzione delle dipendenze culturali legate all’appartenenza al proprio sesso. Nel caso in cui degli uomini volessero partecipare ai seminari, modificherei il lavoro tenendo conto anche della loro partecipazione e dei loro punti di vista. Non ho una conduzione direttiva, la adatto alle peculiarità del gruppo con cui mi confronto nei seminari.
In che modo, invece, descriveresti il modo in cui le partecipanti ai tuoi corsi imparano a vedere qualcosa di differente in loro o nell’ambiente circostante? E in che modo ciò le porta a cambiare il loro modo di agire?
Comprendere il proprio sistema autovalutativo significa prendere in considerazione il modo in cui costruiamo le immagini interiori di noi stesse e delle nostre capacità. Le immagini di sé sono correlate ai nostri comportamenti e all’autonarrazione. Io lavoro sull’attribuzione dei significati, e questi possono sempre essere cambiati per ottenere risultati migliori.
Il corso ha i suoi tempi e i suoi ritmi, che hai calibrato negli anni. Una volta finito il corso, cosa rimane dentro alle partecipanti? Come continuano a utilizzare nella vita quotidiana quanto hanno appreso?
Da quello che mi dicono le donne, il Laboratorio di autostima apre a un nuovo modo di essere. Si sceglie di uscire dalla subalternità e di seguire la propria guida interiore, di essere responsabili del proprio sistema autovalutativo. Una volta che si inizia nel contesto appropriato del Laboratorio si va poi avanti anche da sole nella vita di ogni giorno. Le pratiche imparate servono ad abituarci ad adattare continuamente le immagini interiori, i comportamenti e le autonarrazioni.
Cerchiamo di essere realistiche ed efficaci. E soprattutto, registe della nostra vita.
Presentazione del prossimo laboratorio di autostima “Ri-amare”:
giovedì 2 ottobre, alle ore 18.00
presso la sede del Goap in via San Silvestro 5, a Trieste.