10 Settembre 2014

Merry Mismas

el sunto Ultima puntata della rubrica di Fabio Marson dedicata ai viaggi sugli autobus di linea. Mezzinudi continua tuttavia sul suo blog

La parentesi triestina di mezzinudi si conclude con questo episodio. Fabio Marson continua però i suoi viaggi nel trasporto pubblico, è possibile seguirlo in giro per l’Italia sul suo blog.
Questa invece la pagina facebook.

Linea 24 (Stazione C.le – S. Giusto)

D’accordo: Piazza della Libertà, come tutte le piazze davanti a una stazione, è un formidabile magnete che attira a sé quanto di meno appetibile in circolazione. Ci sono piccioni spiumati, agili pantigane, simpatici ubriaconi e tossici chiacchieroni come agenti immobiliari. Ma se riuscite a vedere ciò che sta sotto, ecco che un fascino improvviso vi acchiappa e vi trascina in un altro mondo. Ha ragione Biagio Marin, il buon vecchio Biagio, quando lascia intendere che è in questa piazza che si può capire quanto Trieste sia cambiata tra Settecento e Ottocento. Fino al 1780 qui c’era il mare, e bagnava le pendici del colle di Scorcola. Ma era un periodo di cambiamento per tutti, anche per la geografia. E così, pietra dopo pietra, il mare ha lasciato posto alla Piazza del Macello (c’era un macello), quindi la Stazione, quindi piazza della Libertà.

IMAG0807È qui che ha capolinea la 24, grossomodo dove un tempo sorgeva il macello di cui sopra. Ancora una volta è un autobus corto, di quelli che sembrano più pulmini di paese che corriere di città. “Ci sono strade in cui è difficile passare anche con questo che è piccolo, tipo per via Madonna del Mare” mi dice l’autista in un italiano dalle vocali aperte “con un autobus normale rimarrei incastrato”. Se quand’ero bambino questi bus mi facevano simpatia, ora ho imparato ad apprezzarne le qualità: nelle linee grandi, più frequentate, appena ci si incrocia con lo sguardo si viene colti da un pudore primordiale. Qui, invece, la curiosità viene vista come valore aggiunto.

Si mollano gli ormeggi. Il piccolo autobus si fa strada nel traffico come uno scooter, e dal finestrino non posso fare a meno di notare gli spostamenti delle “pirie” locali, che prima erano lì e ora sono già là, passando di bar in bar in una transumanza cittadina inacidita dal terrano.

Non è una di quelle linee in cui si conoscono tutti. Nessuno saluta l’autista, nessuno si informa a gran voce sui progressi delle rispettive piorree, e chi monta a bordo si rintana sui sedili vicino al finestrino. Davanti a me, una coppia di giovani turisti punta il dito sulla mappa di Trieste, dirigendo un’orchestra immaginaria fatta di strade, musei e buone trattorie.

Non poteva che terminare qui questa rubrica su Trieste, a bordo di un piccolo autobus mezzo vuoto che dal centro sale fino al colle di San Giusto. Il nostro Campidoglio è un’accozzaglia di Storia e gente, tutto alla rinfusa. E pure la Cattedrale è un mismas di pietre, intenzioni e idee. Insomma, in piccolo è metafora della nostra città.

autobus san giusto

Al ritorno ci sono solo quattro turisti, due uomini e due donne. Le donne sono sedute una di fronte all’altra, coperte di berretti, poncho e k-way. È l’outfit più in voga in quest’estate 2014, così fresca che se ci si scambiasse qualche dono in più sembrerebbe Natale. E parlano. Parlano tantissimo. Mentre scendiamo dal colle per far ritorno al centro, si sentono solo le loro voci, che rivelano un’evidente origine veneta. Con quella parlata galoppante di vocali spalancate e frasi masticate, mi piace pensare ai veneti come ai texani d’Italia, solo che invece di bicchierini di whiskey cattivo brandiscono calici di Prosecco.

IMAG0809Se le due donne insistono in questa apnea di parole, i due uomini no. Seduti opposti, ognuno vicino a un finestrino, si godono il viaggio in religioso silenzio, con lo sguardo gettato fuori a pescare strade e scorci. Solo giù per via San Michele uno dei due sembra svegliarsi. Gira il collo quanto basta per far entrare l’amico nel campo visivo e rotea gli occhi ingabbiati tra le rughe di un sorriso.

“Te se ricordi quando la gavemo fatta de corsa?” gli chiede

“Sì che me ricordo” risponde lui, annuendo serio e guardando dritto davanti a sé.

Tutto qua. Tornano protagoniste le ciàcole delle rispettive mogli, che sono così veloci e così ben legate tra loro che non riesco a capire neanche una parola. Quando si alzano, domando loro di dove sono.

“Treviso” mi risponde quella nel poncho blu. E senza che chieda altro, mi prende in contropiede

“Ci piace tanto Trieste, appena possiamo veniamo sempre qui”. L’amica annuisce, i mariti si alzano in silenzio e attendono la prossima fermata.

“E sai perché ci piace tanto Trieste?”

Faccio di no con la testa, mentre l’autobus accosta sulle Rive.

“Perché i triestini dicono quello che pensano”.

Scendono. A bordo torna il silenzio, interrotto solo dal tossire dell’autista, così frequente e acuto da comporre una sinfonia di squittii.

L’autobus si immerge nel traffico un’altra volta. Dopo tante parole, affrontare in silenzio gli ultimi metri fino al capolinea non mi dispiace affatto. È una quiete sottomarina, e nell’aria, tra le pieghe invisibili di smog, nafta e pesce cucinato dai ristoranti, riesco a distinguere il profumo del sale.

Ogni volta che torno a casa ci metto sempre un po’ a sentirlo. Ma quando ce la faccio, ecco, è una bella soddisfazione.

Fabio Marson

Scritto ascoltando “Nino Rojo” di Devendra Banhart

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6 commenti a Merry Mismas

  1. sfsn ha detto:

    Trevisana: “Ci piace tanto Trieste perchè i triestini dicono quello che pensano”.
    Triestin: “Mona.”

  2. Fiora ha detto:

    Ne avevi poca carne (umana) da mettere al fuoco su questo autobus 24. Il quartetto di turisti e l’autista. eppure ne hai fatto un altro gioiellino dei tuoi.
    Per “..sguardo gettato fuori a pescare strade e scorci” complimenti!

  3. giorgio (no events) ha detto:

    È stata una bella serie di “quadretti”: grazie.

  4. Dario ha detto:

    Meno storie su questo bus, e no te podeva capitar che turisti. Ma coi quali xe più facile che non con i nostri speso scontrosi anziani. E xe interesante per sentir un punto de vista esterno. La 24, il bus per andar a san giusto, xe come il bus a due piani: dubito te ghe troverà triestini sora. Mi stesso penso de no gaverla mai ciapada. Bravo

  5. Fabio ha detto:

    In effetti ammetto che stavolta è stata piu difficile, non è una linea di grandi chiacchiere. Ma forse è giusto concludere così!

  6. paola ha detto:

    Ogni linea ha la sua “ora di punta”, o il suo momento più espressivo e rappresentativo.
    La 24 andrebbe vsita di mattina, quando si riempie di bimbi sui passeggini (ora autorizzati nei bus) e di pupetti di uno-due-tre anni col pelouche sotto braccio, che si conoscono tra loro come un appuntamento fisso. E’ quello del tragitto per gli asili nido o le scuole d’infanzia, di cui il colle di S. Giusto è pieno. Nella stessa zona molti genitori usano anche l’auto, e formano code di doppie file parcheggiate lungo il tragitto del bus per “brevissima” fermata-accompagna-pargolo, per cui la 24, complice una strada già stretta, deve fare ulteriori impossibili slalom o arresti, tra infiniti scatolotti di metallo che formano ingorghi pre-orario lavorativo. Può capitare di vedere frotte di genitori che escono dalla propria auto ormai bloccata, per andare a spostare motorini parcheggiati male da prorpietari ignari (lo spostamento a volte si risolve nel tenere i due-ruote angolati, in bilico su uno dei due cavalletti, quel tanto che basta a guadagnare qualche centimetro utile a non fargli toccare il fianco del bus n.24), in modo da porre fine alla serie di clacson urlanti a cui si sono uniti in coro anche i bimbetti lamentosi, che non si spiegavano l’anomala interruzione nell’andamento fluido del bus, di cui preferivano un rassicurante dondolamento continuato. Da vedere, e poi della 24 ne riparleremo!

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