Pronti, attenti e…scatto! Il 1 giugno 2014 sarà una data da ricordare per tutti i triestini, in particolare per gli appassionati della bicicletta. Quest’anno infatti il Giro d’Italia si concluderà proprio a Trieste, città che quindi consacrerà il vincitore della corsa. Per celebrare l’arrivo del Giro nel capoluogo giuliano, i giovani Massimiliano Milič e Fulvio Enrico Bullo hanno deciso di seguire per Bora.la, e in collaborazione con il portale di informazione Impatto Visivo, gli ultimi cinque giorni del Giro che quest’anno prevede le temibili salite del Passo San Pellegrino, Gavia e Monte Zoncolan.
Spinti dalla passione per la boucle nazionale e dall’immancabile morbìn che li contraddistingue Massimiliano e Fulvio compiranno un viaggio on the road attraverso gli splendidi panorami alpini alla scoperta del Giro d’Italia. Nei 872 chilometri che li separano dall’arrivo a Trieste, i due, armati di videocamera, reflex e smartphone, cercheranno di capire perché ogni anno la corsa rosa riesce ad attrarre migliaia di persone (come si è visto dall’entusiasmante partenza di pochi giorni fa a Belfast, in Irlanda del Nord) a dispetto degli scandali doping che spesso affliggono questo sport. Cosa c’è dietro questa incrollabile passione per la bicicletta? Dei ricordi d’infanzia? La dimensione festosa e aggregante? L’amore per le montagne? Sensazioni e aneddoti raccolti da ciclisti, tifosi, meccanici fino agli albergatori e ai venditori ambulanti di gadget per le strade del Giro saranno quindi parte integrante dei racconti dei due giovani triestini.
Dal 28 maggio fino al 1 giugno, Massimiliano e Fulvio pubblicheranno quotidianamente su Bora.la e Impatto Visivo un resoconto della giornata comprendente un breve articolo scritto, una video-cronaca e una gallery fotografica. Seguiranno inoltre degli aggiornamenti social in tempo reale tramite Instagram e Twitter.
Qui sotto riportato una lettera aperta ai lettori di Bora.la da parte di Massimiliano.
31 maggio 1998. Ricordi vividi ma frammentati. E’ il giorno della tappa a cronometro del Giro d’Italia. Salita di Strada del Friuli. Il sole è alto. Fa caldo. Ho all’incirca otto anni e mezzo. Centinaia e centinaia di persone sul ciglio della strada. Molta gente discute sui distacchi tra i diversi corridori. Poi, arriva lui. Il Pirata. Se fino a quel momento la gente si fermava semplicemente a incitare i corridori che passavano con Marco Pantani è diverso. Di Pantani a quell’età sapevo ben poco, solo che era un grande corridore. Mio fratello, i suoi amici, la folla, tutti vanno totalmente fuori di testa attorno a me. Mi passa davanti. Accade tutto in pochi secondi. Dalla faccia di Pantani traspare una fatica sovrumana. Ho la sensazione che sorregga un peso insormontabile: la voglia di vincere, una volta per tutte, il Giro d’Italia; la voglia di far felici milioni di sportivi italiani, non solo cicloamatori. E’ il simbolo positivo di una comunità intera. Pantani mi sorpassa. La folla lo insegue letteralmente fregandosene delle auto della polizia e della giuria. Io invece rimango fermo a guardare, un po’ perché è pericoloso lasciarmi correre per la strada, un po’ anche perché sono affascinato da quella figura che poi, nel bene e nel male, diventerà leggenda.
Assieme ai Mondiali di calcio di Francia ’98 e alla semifinale degli Europei di basket del ’99, questo è uno dei ricordi sportivi più vividi della mia infanzia. Da quell’anno non ho più perso un appuntamento davanti alla tv con il Giro d’Italia e, in età adulta, sono andato a vedere dal vivo le tappe più importanti. Con onestà, c’è da dire, che la mia passione per la bicicletta si è fermata alla semplice visione delle corse alla televisione. Solo negli ultimi anni ho finalmente dato sfogo a questo feticismo per il mezzo a due ruote, pedalando nel tempo libero tra le colline del Carso. Questa mia pigrizia adolescenziale non ha tuttavia diminuito la passione per il ciclismo e in particolare il Giro d’Italia. Ho gioito delle vittorie di Pantani, mi sono rattristato per le sue sconfitte come uomo e corridore, per poi sperare fino all’ultimo in qualche suo acuto nei primi anni del 2000; ho seguito appassionatamente i duelli, sia al Giro sia al Tour, tra Armstrong-Basso, Basso-Simoni, Riccò-Simoni, Contador-Armstrong fino alla vittoria al Giro dello scorso anno di Vincenzo Nibali. Chi di voi segue o e seguiva un po’ il ciclismo noterà che buona parte di questi corridori che ho elencato sono stati “beccati” o “accusati” di aver fatto uso di doping. Il doping. Quante volte mi (o vi) è capitato di stare a sentire miei coetanei esclamare “è uno sport di dopati del cazzo”, “ma che cazzo guardi quello sport di merda”, “tanto prima o poi si scopre che sono tutti dopati”. Cosa rispondo? Beh, è vero: è uno sport dove buona parte dei ciclisti si è dopata, si dopa e forse si doperà in futuro. E’ inutile parteggiare per l’omertà. Come racconta il giornalista della Gazzetta dello Sport, Marco Pastonesi, il ciclismo a livello professionistico è sempre stato uno sport di “dopati”, fin da Coppi e Bartali. Ma non è questo il motivo per cui seguo il ciclismo. Non è il gusto per la competizione la principale motivazione che mi ha fatto e mi fa amare questo sport. Ricordo un videogioco con cui passavo delle ore, tra le medie e le superiori, che si chiamava “Pro Cycling Manager”. La cosa che più mi esaltava di questo videogioco, il cui scopo era gestire una squadra ciclistica attraverso le varie tappe del Giro, era la possibilità, nelle impostazioni grafiche, di scegliere quanto pubblico e vegetazione aggiungere alle varie tappe. Senza i dettagli del pubblico, della vegetazione e delle montagne non c’era veridicità e emozione nel giocare. Solo pochi anni più tardi ho capito perché questa esperienza videoludica da nerd mi attirava così tanto. Nel 2006 per la prima volta sono andato a vedere, dal vivo, il Giro alla tappa del Passo San Pellegrino. Qui ho capito che della corsa rosa ciò che mi affascinava erano le persone, la natura, il clima di festa, le montagne, i ricordi condivisi tra un tifoso e l’altro. I corridori sono solo una parte di quel carrozzone di allegria e appeal che il Giro racchiude.
Fortuna (e tenacia del patrocinante della corsa rosa in Friuli Venezia Giulia Enzo Cainero) vuole che quest’anno il Giro finisca nella mia città, Trieste. Dopo aver visto per anni alla televisione e aver seguito svariate volte dal vivo, da semplice appassionato, questa corsa, ho pensato: è un segno del destino che il Giro si concluda a casa mia, perché quindi non seguirlo dal vivo dall’inizio alla fine? Diversi sono i temi da cui partire per il mio viaggio che mi sono balenati per la testa. Non è un caso se nel corso di questo articolo ho parlato di ricordi, doping e comunità per riferirmi al ciclismo. Assieme a Fulvio, amico e fondatore di Impatto Visivo Trieste, armati di videocamera, reflex e smartphone, ho deciso di seguire il Giro per capire se le mie motivazioni sono comuni alle migliaia di fans che vanno a vedere ogni anno questa corsa, o se ce ne sono altre e diverse. Gli scandali non accennano a diminuire (ma come sempre la speranza è l’ultima a morire, soprattutto in un mondo come questo), perché allora la gente segue il ciclismo? Cosa sta dietro questa inossidabile passione: i ricordi d’infanzia com’è capitato a me? L’amore per la natura e le montagne? La voglia di fare festa?
Animati da questi molteplici quesiti, io e Fulvio, con l’incredibile morbìn che ci contraddistingue, il 28 maggio ci metteremo in viaggio con direzione Sarnonico da dove partirà la 17° tappa del Giro d’Italia.
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