12 Maggio 2014

Al Miela arrivano gli ORB e anche per l’elettronica è tempo di “operazione nostalgia”

el sunto The Orb al Miela, la cronaca di una serata di musica

Andare ad un concerto degli ORB, per quelli della mia generazione, è un po’ come guardare le proprie foto di vent’anni fa. Io avevo i capelli strani (ok, quello anche adesso, ma ell’epoca erano di più) parecchia ferraglia attaccata alle orecchie, diversi kg di meno e la stessa voglia di ballare, inevitabile prendersi male. Quello strano spleen, quella malinconia e una certa arietta di delusione erano palpabili venerdì sera al Miela per l’attesissimo live del duo inglese: il fatto è che anche per l’elettronica sono arrivati i tempi delle operazioni nostalgia e questa è una cosa con cui dobbiamo inevitabilmente fare i conti.

La critica più sentita venerdì sera è stata “set discontinuo, non c’era flusso”. Vero, verissimo, però io ho visto gli ORB dal vivo la prima volta quasi vent’anni fa in un’afosa serata milanese e posso dirvi che in vent’anni non è cambiato molto. Quello che negli anni è cambiato, in peggio, è la svogliatezza con cui Patterson e socio affrontano il live. Patterson fa una sorta di dj set incentrato sull’inserire fuori tempo dei campioni e smanettare vistosamente su controlli che non sortiscono effetti percepibili all’udito. L’altro performer, che le note stampa accreditano essere Philippe Le Gonidec non fa banalmente niente, sorride garbato, mostra gesti d’intesa con Patterson ma di lui si vede solo un mezzobusto dietro ad un laptop; senza fare dichiarazioni troppo azzardate possiamo dire che al confronto i dj nel nu metal sono elementi IMPRESCINDIBILI.

Molto piacevoli, invece, i visual proiettati nel corso della serata al punto che per qualche momento persino Patterson si è girato a guardarli; in generale l’allestimento del teatro ha reso “credibile” la location grazie alcuni accorgimenti davvero furbi e low cost come delle “colonne” realizzate con lunghi drappi di zanzariera e alcuni copertoni di recupero a fare da ossatura. Pollice su, da questo punto di vista.

La performance è stata invece penalizzata da un sound system e da un’acustica non all’altezza della situazione, nonostante il rinforzo di alcuni subwoofer supplementari piazzati alla base del palco (custoditi come fossero di cristallo da un solerte addetto alla sicurezza: mentre aspettavo il live mi ci son seduto sopra e son stato fatto sloggiare nel giro di pochi secondi). Adesso non dico che bisognava affittare l’impianto di Kool Herc ma la fruizione di musica di questo tipo in assenza di volumi e pressioni adeguate è una esperienza frustrante e pesantemente penalizzante. Non sono paturnie da fissati, dal dub all’elettronica, la percezione della musica è prevalentemente “fisica”, se non senti il basso nella pancia, poche chiacchiere, non stai sentendo quella musica ma un’altra cosa. Torna di prepotente attualità, se mai non lo è stata, l’assurda lacuna di una città come Trieste che ad una fortissima passione del pubblico e all’intraprendenza di molti organizzatori non sa offrire una location adeguata a concerti di questa dimensione, ragion per cui molti appassionati preferiscono farsi un oretta di macchina e andare a Kino Siska dove l’esperienza della musica può dirsi finalmente completa. Un vero peccato perché qui tutti ce la mettono tutta, tranne quelli che dovrebbero.

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